«Un tratto abbozzato, che si avvicina molto a essere dritto ma non lo è, che anzi, nella sua imperfezione fatta di un sistema di porzioni curve collegate tra loro, presenta una certa armoniosità. Un vestigio, un segno che testimonia un fatto accaduto o una condizione preesistente, rapida, temporanea. Sfido chiunque di voi a negarlo: quando sentite pronunciare il nome di Jérémie Heitz, la prima cosa a cui pensate è una traccia. Una traccia su un muro di neve bianco. La sua».
Dopo un anno di anticamera, Andrea Bormida inizia con questo incipit l’intervista a Jérémie Heitz sul numero 116 di Skialper, di febbraio-marzo, già disponibile nell’edicola digitale e dai prossimi giorni in distribuzione nelle migliori edicole. L’incontro qualche settimana fa, a metà gennaio, proprio prima di andare in stampa, al viaggio stampa organizzato da Scott a Zürs, per presentare le novità 2019.
LA NOSTRA LISTA DI DOMANDE – A quasi due anno dall’uscita di La Liste, abbiamo chiesto a Jérémie quello che era rimasto nella gola da tanto tempo. Non c’è dubbio che La Liste sia uno skimovie fuori dai canoni, dove tutto quello che è rimasto impresso nella nostra mente dopo la prima visione è una saetta che squarcia un muro bianco. Lo fa a pezzi, letteralmente. Un film che ha segnato profondamente il movimento dello sci ripido, che ha creato discussioni e anche qualche critica. In meno di cinquanta minuti tutte le certezze su come si sciavano le classiche big face alpine sono state prese a calci. Ecco una piccola anteprima delle risposte del ragazzo terribile dello ski de peinte raide.
DA SAUDAN A ROLLI – «Molte persone mi hanno accompagnato in questa scelta, consigliandomi i pendii che vedevano più adatti allo sci che volevo esprimere. Da mio padre, che essendo Guida ha potuto darmi delle dritte, a Sam Anthamatten, fino a Luca Rolli. E poi ci ho messo del mio. Volevo trovare belle montagne, dove poter sciare nel modo più fluido possibile, in velocità. Pareti che potessero offrire bella neve. Che si prestassero a questo. Come avrai capito uno dei miei riferimenti è proprio Sylvain Saudan… siamo perfino nati nello stesso ospedale e mio nonno sciava con lui!».
BY FAIR MEANS – «Solitamente io, con il compagno di turno, salivo dal basso. Le pareti le ho risalite quasi tutte per controllare le condizioni, per rendermi conto se c’era ghiaccio o altro. Alcune volte, prima della ripresa, ero già sceso su quelle pareti, come per esempio all’Obergabelhorn, dove avevo provato altre due volte. Una mi sono dovuto fermare a metà parete per il ghiaccio, un’altra avevo sceso il lenzuolo a sinistra (Wellenkuppe), che è forse anche più ripido. Raramente siamo stati depositati in cima dall’elicottero: come per esempio sulla Lenzspitze. Sammy mi ha chiamato e mi ha detto con quelle condizioni dobbiamo andare domani, o forse mai più. Siamo scesi a un compromesso, lo so…».