Outdoor running, si respira una strana aria

Prima arrivarono gli esploratori solitari da terre lontane, poi le gare organizzate da appassionati praticanti, poi arrivarono i concorrenti, quindi le aziende di settore, altri concorrenti, altre gare, atleti da altre discipline, i record, i primi reporter e infine arrivarono i social, i giornali e anche le televisioni. Da una parte i nostalgici dei tempi che furono, in mezzo i puri, dall’altra i seguaci del nuovo che avanza. La giovane storia dell’outdoor running, a grandi linee, potrebbe essere così descritta.

Quelle poche volte che una gara veniva trattata sui quotidiani nazionali, rigorosamente nella pagina regionale, ci si lamentava anche per gli sbagli di nome, di luoghi o distanze. Per portare a casa testimonianza veritiera dell’impresa, si aspettava con pazienza la mail dagli organizzatori con i riferimenti dei fotografi accreditati e se ne consultavano ripetutamente le gallery per poi fare l’ordine. 

Poi le gesta isolate cominciarono a scendere lentamente dalle valli per farsi conoscere ai più con immagini, articoli, video e racconti. Il trial, la corsa per monti e la gara intorno al Monte Bianco diventarono quindi, prima trail, poi ultra trail e infine endurance trail. Qualcuno, come per magia, inventò le condivisioni e i tag, la gente ci prese confidenza e non ci fu neanche più bisogno di attendere snervatamente il lavoro dei fotografi.

Nel 2006 e ancora di più nel 2007, una delle poche gare che contagiava per qualche giorno l’immaginario collettivo, oltre a quello inscalfibile dei praticanti, era l’UTMB, appunto “quella gara intorno al Monte Bianco”. Su Marco Olmo, da parte degli sporadici interessati all’argomento poche domande e molte affermazioni sul suo talento. Con il tempo i personaggi sono poi diventati atleti. Oggi, dopo i meritati echi mediatici dell’UTMB e del Tor des Géants, sui vincitori, da parte degli stessi meno sporadici interessati poche affermazioni e molte domande sulla loro presunta lealtà sportiva. “Ma sei sicuro che quelli non prendano nulla?”. Quasi strizzando un occhio, come dire “dai che tu lo sai”. Capita a casa, dall’edicolante, al bar o nelle cene tra amici. Una domanda che odiamo con tutto noi stessi perché ci lascia completamente inerti, senza nessuna base scientifica o statistica che ci consentano di replicare onestamente. 

Forse il mondo dell’outdoor running è arrivato a una svolta. E forse, se è veramente un mondo speciale come molti di noi pensano, sarà uno dei primi sport che saprà difendersi con le sue stesse mani dall’insano nuovo che avanza alzando le barricate e proteggendo con tutte le sue forze unicamente il sano nuovo che avanza. Gli atleti, quelli veri, non meritano il fardello della non credibilità. Non lo meritano gli ultimi in classifica e non lo meritano i primi che di anno in anno ci deliziano con performance sempre maggiori. Gli atleti, quelli veri, sono le vittime di un sistema che è cresciuto velocemente senza essere attrezzato.

Potremmo parlare di cultura, di sensibilizzazione, ma il nuovo che avanza lo fa troppo velocemnte per concederci questo lusso. Gli organizzatori, quelli veri, possono e devono essere il motore di quella che a livello sportivo potrebbe essere una vera e propria rivoluzione culturale. Informatevi, non aspettate che arrivino le istituzioni quando ormai sarà troppo tardi. Chiedete i controlli gratuiti al Ministero della Sanità, non lo avete mai fatto. Provate a informarvi di quanto costano i controlli privatamente, se non lo avete mai fatto. Provate a immaginare che il popolo degli atleti, quelli veri, rinuncerebbe volentieri a una maglietta o a un pasta party per difendere il proprio Mondo. Provate a consorziarvi per una causa comune. Dichiarate a voce alta sui vostri siti che voi volete solo atleti veri. Provate anche a immaginare che ormai il gioco non è più credibile per nessuno. In poche parole, difendete il nostro bellissimo mondo, non lasciate che i sogni e le speranze rimangano tali, traformateceli in realtà.