Tommaso de Mottoni ci racconta la sua gara
Per chi conosce le Alpi Lepontine, con le loro cime sempre innevate e protette da verdissime valli ignote al turismo di massa, una gara in questo scenario potrebbe creare aspettative di un percorso tecnico, a tratti alpinistico e alludere a sentieri appena accennati. Leggendo poi il regolamento di gara e soffermandosi su un ‘semi autonomia’, verrebbe da pensare ad un’organizzazione quasi assente e ad una cavalcata da fare quasi senza supporto. Insomma, 83 chilometri di avventura.
Con queste aspettative ho affrontato la gara, aspettandomi un terreno poco corribile e quasi nessuno lungo il percorso.
La Bettelmatt non è nulla di tutto questo.
Nello scambiare due parole prima dello start con l’organizzatore, Gianluca Barp, mi sento dire: “è una gara corribile, senza difficoltà tecniche ma che porta in alta montagna: una preparazione ideale alle gare lunghe di settembre e che toccano quote importanti”. Mi parla sereno, calmo e rilassato, con la semplicità e la schiettezza di chi vive in montagna. Lo ascolto e replico: “grazie Gianluca, poi facciamo quattro chiacchiere all’arrivo”, tra me e me penso: “questo la fa facile, il suo senza ‘difficoltà tecniche e corribile’, considerando che oltre a dover attraversare una trentina di nevai si devono scendere 500 metri di dislivello in due chilometri di ghiacciaio, e che le montagne qui sono spesso costellate da instabili pietraie moreniche, sarà ben diverso dal mio concetto di facile. Dubito fortemente che si possa definire una gara semplice e corribile.
Aveva ragione lui.
La Bettelmatt Ultra Trail è davvero una gara corribile, anzi, corribilissima, per chi ha gambe dal primo all’ultimo chilometro. Lo testimoniano le 10 ore e 39 minuti del primo classificato, Giulio Ornati seguito al secondo posto dopo 40 interminabili minuti da Andrea Macchi. Tutto il percorso si snoda lungo sentieri e mulattiere in ottime condizioni, senza nessun tratto esposto e senza alcuna difficoltà tecnica. Cinquemilacento metri di dislivello su ottantaquattro chilometri che si snodano interamente su vallate aperte, tra prati verdissimi affacciati su laghi e ghiacciai. Unica grande assente è l’ombra: tutta la gara è in quota e in piena battuta di sole, spesso amplificato dalla neve che è presente per lunghi tratti del percorso. Ed è proprio questo fortissimo contrasto che rende questa gara unica e di grande interesse: caratteristiche e scenari di alta quota in un contesto che consente di muoversi molto velocemente e non richiede grandi abilità tecniche.
Non fraintendetemi: la montagna è sempre la montagna e da sprovveduti non va affrontata mai.
Oltre a questo unico dialogo tra estremi, dove le vette ed il ghiacciaio conversano amabilmente con chi corre più che con chi arrampica, creando una sinfonia di passaggi tra erba verdissima, nevai accecanti e l’immensità delle nostre alpi che si affacciano sul Rosa e sulle Alpi Svizzere, non può non saltare all’occhio un’organizzazione con livelli di sicurezza nettamente al di sopra della media. Se molti organizzatori gettano fumo negli occhi per far iscrivere più gente possibile trascurando poi il percorso, qui è avvenuto esattamente il contrario.
Oltre ad un balisaggio perfetto, a tratti quasi imbarazzante e talmente tanto capillare da far pensare che i partecipanti siano delle capre poco pensanti e non esseri umani dotati di buon senso, spicca una presenza di volontari sul percorso mai vista prima.
Ancor più di rilievo il modo in cui sono stati disposti: quasi su tutto il percorso, la totalità dei passaggi alti era presidiata con volontari uno a vista dell’altro. Muniti di binocolo monitoravano ogni centimetro del percorso. Un’attenzione rarissima da riscontrare ed assente anche nelle competizioni più prestigiose e rinomate, ma che dovrebbe essere la norma.
Questo aspetto riassume perfettamente lo spirito ed il lavoro che c’è dietro questa competizione: molta sostanza, conoscenza perfetta del territorio ed un approccio alla sicurezza che solo chi conosce bene la montagna può mettere in atto.
Tutto questo con una cordialità e modestia da parte di un’organizzazione che potrebbe permettersi anche di ostentare un filo di boria, visti i 9 anni di successi alle spalle.
La Bettelmatt Ultra Trail si merita di essere considerata l’evento di punta per chi cerca il connubio tra velocità ed esperienza d’alta quota, senza però sconfinare nell’alpinismo. Un appuntamento che sembra, visto il successo di quest’anno, che l’anno prossimo potrebbe allungarsi ad avvicinarsi ai cento chilometri, se non addirittura a superarli e che merita sicuramente più interesse delle ‘cento o più’ dolomitiche che si tengono a fine giugno. Un monito molto forte a chi si iscrive a questa gara: se è vero che non ci sono passaggi tecnici o esposti, è altrettanto vero che è impossibile finirla camminando o prendendosela comoda. I cancelli orari predisposti dall’organizzazione sono solo apparentemente generosi, ma in realtà obbligano ad un ritmo piuttosto sostenuto.
Proprio questo è un aspetto che dà grande interesse a questa competizione: la gestione delle proprie risorse e la necessità di una partenza spingendo forte sulla prima salita, quasi 1400 metri, che va in netto contrasto con l’esigenza di gestire e centellinare le energie nelle ultramaratone. Forte è il rischio di “scoppiare” o di non fare in tempo ai cancelli: una difficoltà che compensa perfettamente l’assenza di insidie alpinistiche; un fattore che forse ha determinato un altissimo numero di abbandoni, quasi il 50%, numero ancor più significativo vista la semplicità del terreno e delle condizioni meteo assolutamente ideali.
Il successo e l’unicità di questa gara dovrebbe restare proprio questo: velocità e quota con cancelli molto selettivi, che a mio avviso non andrebbero rivisti o semmai andrebbero resi ancora più stretti, proprio per non svilire il carattere adrenalinico della manifestazione.
Unica grande pecca, il Bettelmatt ha dato forfait! Secondo i produttori troppo presto per il formaggio nuovo e troppo tardi per quello dell’anno precedente. Un’ottima scusa per tornare presto in queste valli.