Dopo la vittoria al Freeride World Tour è indubbiamente lo sciatore del momento. Skialper ha intervistato Markus Eder sul numero 110 (puoi ordinarlo qui), ecco cosa ci aveva detto.
«Non c’è un granché dietro a quello che facciamo e con queste parole inglesi proviamo un po’ a venderlo». Ha risposto così, come un consumato frequentatore di talk show, a una raffica di «slidare un half-pipe, jibbare, tricks, kickers, twin tip» sparatagli addosso da Gigi Marzullo su invito di Fabio Fazio alla trasmissione Che Fuori Tempo Che fa, su Rai Tre, a dicembre. E pensare che Markus Eder, il futuro del freeride e del freestyle, l’unico italiano nel gotha dei park e delle run nella powder, a dire il vero uno dei pochissimi in assoluto al top in entrambe le discipline (e nei powder movie), davanti a una telecamera e ai giornalisti non si trova tanto a suo agio. «Non ero molto tranquillo, avevo paura di fare qualche errore di italiano» ha confessato a freddo. È sempre lui, il ragazzino terribile che faceva gare di sci alpino e che voleva essere capo di se stesso, senza ricevere ordini da un allenatore, che ha scelto il freestyle a 14 anni perché gli piaceva saltare e aveva iniziato a non vincere più tra i pali. E lo stesso che, quando il manager Franz Perini gli ha proposto i primi contratti con gli sponsor, ha voluto parlare in inglese per capire meglio «cose per me molto importanti». Markus Eder, nato a Brunico, ma residente in Valle Aurina, classe 1990, è uno sciatore completo. Nel 2010 si presenta al Nine Knights, con i più forti freestyler del mondo, e vince Big Air & Best Jibber. L’anno dopo Franz Perini lo iscrive al Red Bull Line Catcher, con il gotha del freeride. Non ci crede, non capisce come possa andare a confrontarsi con i big del freeride, lui che arriva dai park e dalla neve dura. Alla fine arriva secondo. «Se ci penso, dico che rimane ancora la mia gara più grande di sempre». Intanto nel 2013 vince la tappa italiana del Freeride World Tour, a Courmayeur. Markus Eder ha fatto il viaggio di Candide Thovex, dal freestyle al freeride, ma anche quello di Kilian Jornet, dalla natura addomesticata delle gare al grande outdoor, quello per esempio dei film nei quali è protagonista sci ai piedi, come Ruin & Rose di MPS Films. Ha sdoganato parole come big mountain e backflip da Fazio come Kilian ha portato il trail e le imprese di Summits of my Life al grande pubblico. Markus è lo skier globale italiano, adulato da Red Bull, con l’inglese come lingua ufficiale sui suoi canali social e quasi il doppio dei follower di Jérémie Heitz su Instagram. Ed è sempre più interessato allo skialp…
Markus, cominciamo con il capire chi sei: un freestyler o un freerider?
«Un freeskier, il termine giusto per definire chi come me fa tutto: freestyle, freeride, scialpinismo».
Giusto, scialpinismo. Qualche tempo fa dicevi che l’andare piano non faceva per te e che dovere camminare tanto per raggiungere le discese non ti piaceva…
«Quando ero piccolo la fatica non mi piaceva, ora inizio ad apprezzarla sempre di più. Quest’anno ho fatto 5-6 gite con i miei genitori e naturalmente sono più lento di loro, perché ho sci larghi e scarponi da freeride, ma l’apprezzo sempre di più».
Il park e la neve fresca sono due cose diverse, se dovessi scegliere?
«Credo che, con le giuste condizioni, oggi non avrei dubbio: neve fresca».
Hai scelto di competere ad alto livello nel freestyle e nel freeride, non è sicuramente facile, perché?
«È vero, oggi c’è sempre più specializzazione: chi punta alle Olimpiadi lavora solo nei park, altri sulla neve fresca, io faccio tutto perché sono così, mi piace saltare nei park e farmi una bella run in neve fresca, magari anche una gita scialpinistica. E poi, a differenza di chi fa solo powder, sono molto flessibile e posso sempre allenarmi».
Che cosa ha portato il freestyle nel freeride? Si può dire che il livello fuoripista è salito grazie ai trick fatti nei park come è avvenuto nell’arrampicata sportiva con le palestre?
«Sì, mi sembra un paragone giusto, se provi centinaia di volte i salti nei park, quando magari fuori non ci sono le condizioni, metti le basi per salire di livello nel freeride, impari i trick che ti servono nella neve fresca e poi atterrare sul duro aiuta ad avere la giusta sensibilità per atterrare anche sul soffice della neve fresca».
Sembra difficile da dire, perché il livello è altissimo, ma qual è la prossima frontiera del freeride?
«Jérémie Heitz ha sicuramente ridefinito gli standard della velocità e del big mountain, però si pensa sempre che non ci sia più nulla di nuovo da inventare e invece ogni anno si vede qualcosa di importante. Sicuramente il mio stile è diverso da quello di Heitz, io vado più piano e vedo la montagna come un parco giochi».
Non credi che avere sciato tra i pali ti abbia dato la tecnica di base per salire di livello?
«È probabile, ma quando sei al top ogni gradino in più è sempre difficile, come perdere qualche centesimo tra i pali. Come nello sci alpino o nello scialpinismo, all’inizio della stagione ti senti in forma, ma non sai come andrai realmente, o come andranno gli altri».
Nel film, Ruin & Rose, hai sciato anche sulle dune del deserto, vero?
«Sì, in Namibia, ma non è stato affatto facile come pensavo. Abbiamo anche contattato un tedesco che vive là e detiene il record di velocità con gli sci sulla sabbia per avere dei consigli però, quando abbiamo trovato un salto che sulla neve sarebbe stato perfetto, mi sono impiantato proprio sul dente e per riuscire a saltare abbiamo dovuto provare e riprovare».
Sciare in un film e fare una gara è decisamente diverso…
«Sì, io poi sono competitivo e mi piace vincere, ma nei film trovi quel senso di libertà, puoi sciare tutta una montagna e non solo una linea, hai l’elicottero a tua disposizione…».
I film stanno diventando un terzo lavoro…
«Sì, quest’anno infatti farò una sola gara, la Red Bull Cold Rush, dove ci sono salti in neve fresca, freeride e alpinismo. Però mi piacerebbe provare a fare il circuito Freeride World Tour seriamente, non solo un paio di tappe come in passato, è il mio obiettivo per la prossima stagione».
Facebook o Instagram?
«Instagram, mi piace essere up to date e so subito cosa succede dall’altra parte del mondo, per esempio se ha nevicato in Canada».
Il freeride è un’attività con una componente di rischio che non può essere sottovalutata, come ti rapporti con il rischio di valanga?
«Non mi piace rischiare a caso, se faccio un trick o un salto particolare e so che posso cadere, voglio essere sicuro che non ci siano sassi. Quando filmiamo in Alaska cerchiamo di non fermarci nei piani ma di avere sempre vie di fuga per non essere inghiottiti dalle valanghe. Rischio sì, ma con un piano b, senza usare la testa non ha senso. Queste situazioni ti insegnano ad apprezzare la vita e capire cosa ti piace di più».
Come cambia il concetto di sicurezza quando sei da solo e quando giri un film?
«Molto, quando vado con un amico ci muoviamo rischiando il meno possibile, anche perché dobbiamo considerare che se succede qualcosa non è facile venire a recuperarci velocemente, con un team come quello di MPS Films cambia perché ci sono 10-12 persone, Guide alpine, elicottero».
Sei mai rimasto coinvolto in una valanga o hai vissuto un incidente da vicino?
«Fortunatamente no e spero che non mi succeda. Qualche volta, specialmente in Alaska, dove sai che non c’è nessuno sotto, quando le condizioni sono rischiose proviamo a fare partire le cornici, provocando delle piccole valanghe».
Il tuo programma prevede anche un allenamento nelle tecniche di autosoccorso?
«Ne faccio un paio all’anno, di solito uno al Freeride World Tour e quando giriamo i film, ma non sono sicuro che mi verrebbe tanto facile agire in una situazione di pericolo: tra la teoria e la realtà c’è tanto spazio ed emozione e adrenalina giocano brutti scherzi. Per questo dico sempre ai miei amici che si sentono sicuri quando hanno artva, pala e sonda di allenarsi a usarli, tanto. La gente, quando vede i miei film, pensa che sia matto, ma spesso quando si va a fare skialp da noi ci si muove più in pericolo».
Usi sistematicamente un airbag da valanga?
«Sempre quando giro i film, faccio backountry vicino agli impianti o nel Freeride World Tour, per lo scialpinismo ancora no perché è troppo pesante. Per fortuna non ho mai dovuto aprirlo».
Che messaggio lanceresti a chi come te passa dal park alla neve fresca?
«Oltre a quello di portare sempre con sé l’artva e tutta l’attrezzatura tradizionale da autosoccorso in valanga, di tornare indietro se non ci si sente al cento per cento sicuri, non è mai una decisione sbagliata».