François Cazzanelli, la velocità dietro casa
«Più il terreno diventa tecnico, più essere veloci e leggeri diventa una specialità riservata a un’élite alpinistica. Ti basti pensare alle salite in velocità sul Nose. Fantascienza! Ovvio che su terreno via via più tecnico parte del tempo deve essere impiegato per proteggersi, per assicurarsi, per fare sosta. Anche nell’alpinismo però c’è voglia di confrontarsi con il tempo, ma personalmente non penso che vada cercata la velocità per confrontarsi con un tempo, ma perché invece è in grado di offrirti la possibilità di godere di un maggior numero di prospettive stando in montagna. Spesso si vuole correre senza saper camminare: per muoverti veloce in montagna ritengo che sia fondamentale avere un curriculum alpinistico classico. Ci devi passare, devi essere un alpinista. Succede lo stesso nelle grandi gare di scialpinismo: per vincerle, per andare forte, non bastano i metri di dislivello che puoi macinare a bordo pista. Devi essere uno scialpinista».
Parole e musica di François Cazzanelli, che lo scorso inverno, per non annoiarsi, ha chiuso un progetto già provato due volte. Propio dietro casa sua, in Valtournenche. Perché non sempre bisogna andare lontani per trovare sfida e avventura. «È una cresta enorme, comprende in totale 20 vette: la più alta è quella del Cervino con i suoi 4.478 metri. Per le sue dimensioni, per le altezze e per i passaggi vertiginosi, la cresta è sicuramente una delle più spettacolari delle Alpi: misura circa 51 chilometri ininterrotti con 4.800 metri di dislivello positivo». François parla del primo concatenamento invernale delle Catene Furggen, Cervino, Grandes Murailles e Petites Murailles, portato a termine con Francesco Ratti. Il nostro Andrea Bormida l’ha intervistato su Skialper 130 di giugno-luglio. Però non hanno parlato solo del concatenamento, ma anche di Kilian, di materiali, si alpinismo classico, di Carrel, di Loretan…
Appuntamento su Skialper 130 di giugno-luglio, ora in edicola e prenotabile nel nostro online-shop.
Alla ricerca di Tom Ballard
«Il collegamento si era interrotto all’improvviso, ma Alex Txikon non aveva alcun dubbio: il video che stava guardando mostrava due corpi senza vita; non c’era stato il tempo di scattare una foto, prima che il drone smettesse di trasmettere, ma l’immagine di quei due corpi si era impressa nella sua mente. «Ho riconosciuto i loro zaini, i guanti, i berretti che indossavano e anche la forma dei loro corpi» racconterà dopo. I due corpi, legati alla stessa corda, distanti non più di tre metri l’uno dall’altro, si trovavano a circa 5.800 metri, in un labirinto di rocce e neve. Il primo, ancora appeso alla corda, penzolava all’interno e fuori dall’inquadratura del drone; il secondo, anch’esso attaccato alla corda, giaceva riverso su una roccia, qualche metro al di sotto del suo compagno».
Comincia così l’articolo di Michael Levy, editor di Rock & Ice, su Tom Ballard, pubblicato da Skialper in esclusiva per l’Italia. Più che un articolo un vero e proprio libro sulla vita dell’alpinista scomparso nel 2019 al Nanga Parbat insieme a Daniele Nardi. Un romanzo avvincente di 20 pagine per la passione che Levy ha messo nella prosa, ben tradotta da Simona Righetti con la revisione di Leonardo Bizzaro, ma anche un incredibile lavoro di documentazione, con decine di testimonianze e di citazioni. Ne esce un ritratto di Ballard fin da bambino, del suo rapporto con la madre Alison Hargreaves, definita da Reinhold Messner come la più forte fra le alpiniste donne e morta al K2 nel 1995. Un’ombra, quella della madre, che inseguirà per tutta la breve vita Tom che nella sua carriera alpinistica ripercorrerà spesso le orme di Hargreaves, come sulle grandi pareti Nord delle Alpi, che Tom ha completato in invernale e sulle quali accade anche un curioso episodio molto simile a entrambi. Alla Nord dell’Eiger infatti Alison si era imbattuta in svariati pezzi di equipaggiamento: una vite da ghiaccio, una piccozza, un guanto e altri piccoli frammenti non perfettamente riconoscibili e alla fine dei detriti aveva identificato il corpo senza vita di un alpinista. Si trattava di un alpinista spagnolo che aveva tentato la salita ed era morto cadendo. «Scendendo lentamente e con la massima attenzione dalla vetta dell’Eiger, Tom nota dapprima frammenti di plastica arancione sparpagliati nella neve, poi poco più in là un guanto e più sotto ancora scorge un corpo. Uno sciatore, incontrato poco prima sulla cima, è precipitato battendo la testa su una roccia; il casco arancione si è frantumato nell’urto e il ragazzo è morto. Tom non ha mai visto un cadavere e quella visione gli ricorda quanto pericolosa sia la passione che ha scelto come compagna di vita. La similitudine con quanto accaduto alla madre proprio sull’Eiger, più di vent’anni prima, lo colpisce non poco: Ci è successa quasi la stessa cosa. È molto triste, ma al tempo stesso è come aver vissuto un déjà vu commenterà».
Levy, attraverso le testimonianze di chi l’ha conosciuto meglio, dalla fidanzata ai compagni di spedizione, ripercorre l’infanzia di Ballard e la carriera alpinistica alla ricerca del perché sia andato al Nanga Parbat in inverno senza avere mai avuto esperienze, neppure estive, su un ottomila.
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Alex Txikon, l'alpinismo è immediatezza
«La vita media oscilla intorno ai 33.000 giorni, se dipendesse da me passerei la maggior parte del tempo di questo viaggio tra le montagne. Se ci fermiamo un attimo a pensare, ci sono molte cose importanti. Però solo due sono essenziali: la vita e il tempo. Ed è proprio in questi momenti che guardo indietro e vedo un bambino che gioca e sale sulla bici e, sorpreso e inquieto, mi domando: come è passato tutto così velocemente, vero?».
Alex Txikon ha preso sul serio questa sua affermazione, anche nei mesi scorsi quando si è allenato in Antartide prima di partire per l'Himalaya. Risultato? Road to Himalayas: partenza dal Cile a bordo di una barca a vela il 14 dicembre per andare a scalare ed esplorare nelle isole Shetland Meridionali, attraversando il burrascoso Canale di Drake. Poi, all’inizio di gennaio, con solo due giorni di riposo, subito in Nepal per scalare l’Ama Dablam e tentare l’Everest.
L’alpinista basco non è uno che ama rimanere fermo e il suo curriculum alla soglia dei 40 anno lo dimostra. E va in Himalaya quasi tuti gli inverni: «gli Ottomila invernali continuano a essere un luogo nel quale mi trovo a mio agio, mi piace lottare con le condizioni meteorologiche, mi piace soprattutto la montagna, perché è completamente diversa e non c’è l’affollamento degli altri mesi dell’anno». Su Skialper 130 di giugno-luglio Alex ci ha raccontato l’ultima spedizione, i suoi progetti, i suoi ricordi più belli, ha parlato di droni e di igloo, di bici, di moto, di rischio: «I limiti, la paura, il rischio li stabilisci tu stesso. La paura, il limite e il rischio sono i compagni della prudenza: più paura, più prudenza. Al contrario di quanto si pensi».
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Dani Arnold, la paura per amica
«L’obiettivo di questa spedizione era l'inverno freddo, quello giusto per tentare l'arrampicata su ghiaccio. Il riscaldamento globale sta rendendo le cose sempre più difficili alle nostre latitudini, quindi volevamo esplorare un nuovo posto, dove nessuno avesse mai scalato il ghiaccio». Un obiettivo raggiunto sul lago Bajkal, nella Siberia meridionale, dove di rado se si cerca il freddo ci si imbatte in qualcos’altro. «Abbiamo trovato esattamente quello che cercavamo, un freddo ben più intenso di quello che avevo provato sugli Ottomila: è stato fantastico. Ma anche la curiosità per il Paese, le persone e la cultura è stata un elemento importante di questo viaggio. L’ha arricchito molto».
Dani Arnold ha raccontato a Skialper la sua ultima spedizione in Siberia, della quale pubblichiamo anche le belle foto scattate da Thomas Monsorno. Ma a Veronica Balocco l’alpinista svizzero ha raccontato molto di più: della perdita di compagni d’avventura come Lama, Auer e Steck, della paura e del rischio, di quando va ad arrampicare con la moglie, dei free solo. E dell’Himalaya: «Quella in Himalaya è stata una bella esperienza per me, ma non ne sono uscito soddisfatto. Tecnicamente non è assolutamente nulla di impegnativo. Ogni persona con un Ottomila nel cassetto è celebrata come un eroe, ma ci sono molte montagne di duemila metri che richiedono molta più preparazione di una via normale laggiù».
Ne parliamo su Skialper 130 di giugno-luglio, ora in edicola e prenotabile nel nostro online-shop.
Io e Ueli
«Era tanto un maniaco della precisione quanto, talvolta, completamente fuori dagli standard e anche un po’ impacciato in quelle che sono le cose quotidiane, a noi più normali» scrive Simone Favero nell’articolo su Ueli Steck (Io e Ueli) che apre Skialper 130 di giugno-luglio. Ueli Steck è il mantra che ricorre in tutte le pagine di Skialper perché è l’ispiratore di tutti gli alpinisti che abbiamo intervistato nel numero dedicato all’alpinismo e a The Swiss Machine abbiamo dedicato anche la copertina, una bella foto di Jonathan Griffith scattata su Supercouloir. Però di Steck è stato scritto già tanto e volevamo un ritratto diverso, più intimo. Dell’uomo prima ancora che del recordman alpino. Così Simone Favero, che ha lavorato gomito a gomito con Ueli nel reparto marketing di Scarpa, ha scritto parole che lo rendono (un po’) più umano.
«Dormivamo spesso nello stesso appartamento, tre stanze messe a disposizione da Scarpa quando facevo tardi in ufficio (sempre, in pratica) che condividevo con gli ospiti che venivano in azienda. Con alcuni era divertente, con Ueli era uno spasso e accadeva sempre qualcosa di assurdo: uno dei must era l’allarme che partiva la mattina a causa delle sue uscite a orari impossibili per andare a fare allenamento: anche venti chilometri di corsa attorno ad Asolo prima dell’alba. Poi una doccia, dieci ore con il team prodotto, e quasi sempre guidava la sera stessa fino a casa, per non perdere l’alba della mattina dopo e andare a provare i prototipi che aveva appena sviluppato. Ricordo che tutti i discorsi erano incentrati sui materiali, ogni dettaglio doveva essere più leggero; un’ossessione quella verso la leggerezza che non era mai fine a sé stessa, ma racchiudeva anzi una necessità ed era un primigenio stimolo a migliorarsi, darsi obiettivi in cui l’asticella doveva sempre alzarsi di almeno due tacche». Questo è solo uno degli episodi che troverete in Io e Ueli, su Skialper 130, ora in edicola e prenotabile nel nostro online-shop.
La Sportiva estate 2021: arrivano Karacal, Cyklon e Aequilibrium
Una scarpa per medie distanze, una per le lunghe e una nuova linea che accetta ramponi semi-automatici. Sono queste le principali novità dell’estate 2021 di La Sportiva, alle quali si aggiunge la versione mid cut della storica Ultra Raptor. Gli highlight sono stati presentati oggi alla stampa internazionale in una video conferenza in diretta dallo show room di Ziano di Fiemme.
Karacal e Cyclon, due idee di mountain running
Negli ultimi anni la gamma di calzature per le lunghe distanze La Sportiva si è ampliata e alla storica Akasha si è aggiunta Jackal l’anno scorso. Dal 2021 arriverà anche Karacal, pensata per allenamenti prolungati off-road su medie e lunghe distanze ma anche per il recupero post gara. La calzata è ampia e l’obiettivo cushioning e comfort. La tomaia seamless mono-strato in 3D Mesh è pensata per la traspirazione, i rinforzi posteriori in microfibra inglobati sotto una pellicola termo-poliuretanica supportano la stabilità generale. L’intersuola è in EVA a doppia densità, mentre il puntalino thermo-form sagomato protegge dagli urti contro rocce e radici. Supporto e stabilità posteriore sono bilanciati da una buona flessibilità anteriore. La suola è in mescola FriXion blu durevole con tasselli a spessore differenziato Impact Brake System.
Ha un’anima diversa Cyklon, calzatura performance ideale per skyrace e corse off-road su terreni tecnici a media distanza. Frutto del lavoro di ricerca e sviluppo tra La Sportiva e Boa, che fa la sua apparizione dopo la VK Boa di questa estate, è un prodotto con focus su stabilità, precisione e avvolgenza grazie al nuovo sistema di chiusura Dynamic Cage con BOA Fit System integrato che lavora in sinergia con tre diversi elementi della tomaia. Il cuore del sistema di allacciatura è il Dynamic Flap interno che avvolge la calzatura e permette la regolazione dinamica della tensione agendo direttamente sul Boa Fit System con un movimento one-hand. Il puntalino in TPU protettivo e il pannello laterale multi-strato e termo-adesivizzato forniscono ulteriore struttura e stabilità. Il battistrada mud-ground, per utilizzo su terreni morbidi e fangosi, è in mescola La Sportiva FriXion White ultra aderente e prevede la possibilità di integrare chiodi AT Grip Spike in caso di utilizzi su terreni ghiacciati. L’intersuola è in EVA a bi-densità con inserto stabilizer.
Aequilibrium, la scarpa che mancava
Più che di singola scarpa si tratta di una nuova linea per l’alpinismo leggero e veloce, che accetta ramponi semi-automatici. Si posiziona idealmente tra Nepal e Trango e da questa ultima differisce soprattutto per la camminabilità e maggiore leggerezza. In pratica la suola è stata smussata al tallone per favorire la rullata e gli inserti dell’intersuola in PU permettono ai singoli tasselli di lavorare autonomamente. Il top di gamma è Aequilibrium Top GTX, pensato per gli impieghi più tecnici e a suo agio sui quattromila estivi. Ci sono poi le versioni ST GTX e LT GTX. La geometria a doppio tassello posteriore molto pronunciato aumenta l’effetto frenante in discesa e permette una rullata più fluida riducendo l’affaticamento muscolare. Durabilità e leggerezza convivono in armonia grazie al nuovo pacchetto suola/intersuola con costruzione a guscio Rubber Guard esterno e materiale espanso interno per un cushoning accentuato e leggerezza derivata da un minor utilizzo di strati di gomma. La versione Top GTX ha scarpa esterna con allacciatura Boa e ghetta esterna in Cordura. La suola è in mescola Vibram Mont.
Ultra Raptor, il mito continua
Ultra Raptor Mid II GTX è la versione mid-cut del modello trail running Ultra Raptor II, è ideale per utilizzi fast hiking ed escursioni con carichi leggeri. Impermeabile e traspirante grazie alla membrana Gore-Tex Extended Comfort. La tomaia è in tessuto mesh resistente alle abrasioni e traspirante, perfetta per utilizzi in tutte le condizioni. La tallonetta stabilizzatrice posteriore permette un perfetto controllo sui traversi. Il sistema di allacciatura è integrato con la tomaia a mezzo di passanti cuciti sul tessuto elastico interno e con rinforzi in alta frequenza sul mesh esterno: tale sistema permette di ripartire la tensione dell’allacciatura su tutta la tomaia ed avvolgere al meglio il piede per un perfetto comfort di calzata. Ultra Raptor Mid II GTX è disponibile anche in versione comfort wide-fit dedicata ai runner con piede a pianta larga. Il risultato è una calzatura da ultra running indossabile per molte ore consecutive ed adatta per utilizzi off-road su qualsiasi tipo di terreno.
Il sogno di Franco Collé: Gressoney-Monte Rosa andata e ritorno in quattro ore e mezza
Crolla un record che durava dal 1997. Ieri alle prime luci dell’alba Franco Collé ha scritto la sua firma sul libro delle salite in velocità sul Monte Rosa. Partenza alle 4,30 da Gressoney, a quota 1.635, per arrivare alla Capanna Margherita (4.554 m) e rientrare in 4h30’45’’, 14’15’’ meno di Bruno Brunod nel 1997. Rimane però di Brunod il record di salita, che vede Collé dietro di 4’. «La neve nell’ultimo tratto dal Colle del Lys alla Capanna Margherita era polverosa e mi ha creato molte difficoltà, ma in discesa le condizioni erano ottimali» ha commentato Franco. La linea seguita da Collé copre 31 chilometri passando per il rifugio Mantova, Gnifetti e Colle del Lys. Erano tre anni che Franco pensava a questo FKT e l’assenza di gare in questa stagione estiva ha permesso di concretizzare il sogno di andare e tornare dalla montagna che vede dalle finestre di casa in quattro ore e mezza.
In un lungo post su Facebook, Marino Giacometti, padre dello skyrunning, ha riassunto la storia dei record sul Monte Rosa, dai vari versanti: «Nel 1988 un notiziario RAI riportava che un certo Valerio Bertoglio aveva salito il Monte Rosa in 4 ore. Da alpinista che ha salito molte volte il Monte Rosa, inclusa la parete est, uno dei miei pallini diventa farlo in meno di 4h. Ci riesco nel 1989 da Alagna, 3h53’. Solo qualche anno dopo scopro che il primo record di 4h (5h29’ a/r) era però da Gressoney, vale a dire circa 400 metri di dislivello e qualche chilometro in meno. La storia continua con le gare da Alagna dove Fabio Meraldi nel 1994 porta il record-gara a 3h14’ in salita e 4h23’27’’a/r. Nello stesso anno ci scappa il mio record da Genova alla vetta 16h30’ (tuttora imbattuto dal lato di Alagna). Nel 1997 in un ritaglio di tempo avevamo organizzato a Gressoney con Bruno Brunod, RAI Aosta e un cronometrista che certifica la salita in 3h05’ e ar 4h45’. La storia prosegue con il ritorno della gara a coppie da Alagna in cui si sfiora il record di Meraldi nel 2018 mentre come prestazione individuale (FKT) ci riesce per un soffio Marco De Gasperi, salita in 3h10’ e ar in 4h20’34’’ (3’ sotto il tempo di Fabio Meraldi in gara). Nel 2019, dal mare, ci prova Nico Valsesia passando però da Gressoney in 14h31’. Nel 2020 da Gressoney, Franco Collé abbassa il record a/r di 4h30’45’’ ma la miglior salita da questo versante resta di Bruno Brunod, 3h05’ contro 3h09’ impiegate da Collé».
Outdoor Italia: i produttori di articoli sportivi adottano rifugisti e Guide
Un gemellaggio tra le aziende che producono articoli sportivi outdoor e gli operatori turistici, dai rifugisti alle Guide alpine ed escursionistiche. Per fare conoscere il territorio dove dare sfogo alla nostra passione outdoor e chi di outdoor vive. Un’iniziativa per fare sistema. È la campagna social e digital #OUTDOORITALIA voluta da IOG Italian Outdoor Group di Assosport, l’associazione nata nel 2000 che raggruppa le principali aziende italiane leader nella produzione, importazione e distribuzione di abbigliamento, calzature e attrezzatura per l’attività outdoor e gli sport di montagna, con un totale di oltre 40 aziende associate. Un’iniziativa che vuole essere la rinascita dopo #IORESTOACASA, quanto di più in contrasto possibile con la ragione di esistere dell’industria outdoor, che ha tuttavia risposto in maniera responsabile, contribuendo nei mesi scorsi a promuovere attraverso i propri canali di comunicazione le misure di contenimento, raccomandando agli appassionati di rimanere in casa e di sospendere le attività sportive a contatto con l’ambiente.
In pratica i marchi italiani leader del mercato dell’outdoor che aderiscono a IOG Italian Outdoor Group hanno adottato alcuni operatori e strutture sul territorio che verranno presentati sul sito dell’associazione e sui canali social. «Siamo una delle destinazioni turistiche outdoor più amate nel mondo: dal mare, alla collina, alla montagna, il nostro ambiente naturale rappresenta la dimensione ideale per una vacanza rigenerativa a contatto con la natura. Pensiamo che sia nostro compito impegnarci per promuovere questo straordinario patrimonio, rendendo protagonisti quegli operatori che da questo ambiente traggono la propria fonte di sostentamento, aiutandoli a farsi conoscere meglio, in Italia e nel mondo, fornendo un aiuto concreto per la ripresa» ha dichiarato Luca Pedrotti, amministratore delegato del brand Lizard e presidente di IOG. «Abbiamo trovato un’intesa solida con una parte importante dei nostri associati, fra i quali figurano tutti i marchi Italiani leader nel mercato dell’outdoor, per portare avanti un’iniziativa che vorremmo diventasse un esempio su come si possa e si debba reagire con spirito pragmatico e solidale di fronte a un problema che ci deve vedere uniti, oggi più che mai».
La campagna, iniziata dal 15 giugno, si protrarrà fino a tutto il mese di luglio e agosto. «Ogni azienda socia di IOG ha attivato la propria rete di contatti sul territorio, offrendo loro la possibilità di fornire un messaggio promozionale sotto forma di video o di testo corredato da immagini, da diffondere attraverso il sito web e i canali social di IOG e attraverso i canali di comunicazione delle stesse aziende associate, per dare ancora maggiore eco al messaggio».
Ortovox continua a sostenere i rivenditori fisici tramite l'online shop
Con la campagna Support Your Local Ortovox Dealer, lanciata durante la chiusura forzata dei negozi imposta dall’emergenza Covid-19, il marchio outdoor ha versato ai rivenditori locali il 25% del fatturato ottenuto tramite l’online shop ortovox.com. Come annunciato lo scorso anno, Ortovox punta a unire il commercio al dettaglio specializzato con il proprio online shop. La nuova piattaforma del negozio digitale continuerà a fungere da base tecnica per i servizi B2B, garantendo numerosi vantaggi per i rivenditori locali.
A questo scopo, Ortovox, attraverso il nuovo online shop, si affida anche a Outtra. Questo strumento consente di verificare la disponibilità dei prodotti presso il negozio più vicino all’utente. In questo modo i negozianti collegati a Outtra possono contare su una vetrina digitale e hanno la possibilità di integrarla nella propria pagina web. Per proseguire questa collaborazione attiva con i rivenditori, Ortovox ha deciso inoltre di prolungare la campagna Support Your Local Dealer anche dopo la riapertura dei negozi e di continuare a sostenere i rivenditori specializzati versando il 10% del valore di tutti gli ordini (non resi) effettuati tramite l’online shop. Prima di confermare l’acquisto il cliente dovrà selezionare uno dei dieci rivenditori più vicini all’indirizzo di fatturazione che appariranno automaticamente sulla schermata. In questo modo il consumatore finale potrà quindi scegliere liberamente il rivenditore da sostenere. Il nuovo online shop incoraggia infine il consumo responsabile. Chiunque desideri acquistare un prodotto in negozio, infatti, può verificarne la disponibilità nell’online shop e successivamente contattare il negoziante di fiducia. Al fine di evitare il più possibile resi eccessivi degli ordini effettuati online e allo stesso tempo per contribuire alla tutela ambientale, Ortovox addebita ai consumatori finali una quota di cinque euro per ogni reso. Per ogni ordine non reso Ortovox dona cinque euro al fondo per la conservazione di Tarkine, l’ultima foresta vergine della Tasmania, terra natale delle pecore di razza Merino di Ortovox. Inoltre tutti i cartoni utilizzati per gli imballaggi vengono realizzati con carta riciclata.
Arriva Scott Supertrac RC 2
Scott lancia ufficialmente oggi la nuova Supertrac RC 2, la versione aggiornata della scarpa per medie distanze nata nel 2016. La v2 del modello della linea RC, pensata per gare su terreni anche tecnici e runner evoluti, mantiene la caratteristica suola radiale che è stata migliorata sotto il punto di vista della tenuta e della durata e aggiunge un rockplate in carbon-kevlar nella zona mediale per migliorare la stabilità e la protezione dal basso. La tomaia è realizzata con materiali Schoeller, per la precisione Coldblack e 3XDry. Il peso complessivo è di 270 grammi e il drop di 5 mm. L'intersuola è in Aerofoam Infinity che restituisce il 14% in più di risposta rispetto a strutture più tradizionali e garantisce un buon assorbimento. Scott Supertrac Rc 2 è già in vendita a 159,90 euro.
https://youtu.be/g416of6LHpI
È in arrivo Skialper 130
Un numero da leggere e conservare, come un libro. Con tanti capitoli dedicati all’alpinismo e agli alpinisti, ma, come nel nostro stile, alla ricerca della novità e della velocità. Ecco Skialper 130 di giugno-luglio, in arrivo nelle edicole a partire dal prossimo 23 giugno. In copertina un tributo a Ueli Steck firmato da Jonathan Griffith.
IO E UELI - Non poteva che essere dedicato a Ueli Steck l’articolo introduttivo del numero perché Ueli è il padre e il mentore di un certo modo di intendere l’alpinismo. Un ritratto inedito di Simone Favero che l’ha conosciuto da vicino quando lavorava nel reparto marketing di Scarpa. Un Ueli Speed Machine, ma anche umano, nella vita di tutti i giorni. Soprattutto un Ueli maestro più che idolo.
STEVE HOUSE - L’impresa con Vince Anderson sulla Rupal Face al Nanga Parbat, ma anche la sua teoria dell’allenamento, così ben spiegata in Allenarsi per un nuovo alpinismo e Allenarsi per gli sport di montagna, appena pubblicati in italiano dalla nostra casa editrice. Alessandro Monaci ha intervistato l’alpinista americano partendo dall’attualità e dalle difficoltà di allenamento durante il lockdown, per arrivare al passato più lontano.
DANI ALRNOLD - Nell’ultimo inverno è stato in Siberia, dove ha trovato «un freddo ben più intenso» di quello che aveva provato sugli Ottomila. Veronica Balocco ha intervistato Dani Arnold, ripercorrendo i suoi record di velocità, ma anche aspetti più intimi come il rischio, la paura, la perdita dei compagni di avventura. L’articolo è illustrato dalle splendide foto realizzate in Siberia da Thomas Monsorno, pubblicate in esclusiva da Skialper.
HEINI HOLZER - La rivalità per l’apertura di una nuova via. Flashback negli anni Sessanta con il racconto della prima sulla via degli amici, al Civetta, quando la cordata composta da Heini Holzer, Sepp Mayerl, Reinhold Messner e Renato Reali beffò altri team.
FABIAN BUHL - Prima Ganesha (8c) con uno stile purissimo: dal basso, in solitaria, autoassicurandosi, con appena quattro spit su sette tiri. Poi il volo in parapendio dal Cerro Torre, primo a gettarsi nel vuoto dopo avere scalato la vetta sudamericana. Non c’è dubbio che Fabian Buhl sia uno dei climber più creativi e Federico Ravassard l’ha sottoposto a una raffica di domande, dal boulder al parapendio, passando per… la cucina.
ALLA RICERCA DI TOM BALLARD - Uno straordinario reportage di Michael Levy sulla vita di Tom Ballard, morto sul Nanga Parbat nel 2019 insieme a Daniele Nardi. Il racconto della sua vita, delle sue imprese, da quella in invernale sulle grandi pareti Nord delle Alpi, sulle orme di Rébuffat, all’apertura di A Line Above the Sky in dry-tooling. Soprattutto il racconto della sua vita sulla scia di quella della madre, la grande alpinista Alison Hargreaves, morta sul K2 quando Tom era bambino. Un articolo pubblicato anche sulla rivista Rock and Ice, frutto di un dettagliato lavoro di ricerca, con tante testimonianze di ha conosciuto Ballard. Venti pagine da leggere come un romanzo.
FRANÇOIS CAZZANELLI - L’alpinismo classico in velocità, è questa la mission di François che abbiamo già intervistato su Skialper. Ma questa volta dalla Guida alpina della Valtournenche ci siamo fatti raccontare non solo del suo stile, ma soprattutto dell’ultima impresa, il concatenamento invernale delle Catene Furggen, Cervino, Grandes Murailles e Petites Murailles chiuso nell’ultimo inverno insieme a Francesco Ratti. Lo ha intervistato Andrea Bormida.
ALEX TXIKON - È rientrato appena prima del lockdown dall’Everest, che non è riuscito a scalare, e dalle Isole Shetland Meridionali, dove era arrivato in barca a vela dal Cile appena prima di partire per l’Himalaya, con solo un paio di giorni di break tra le due avventure. Con Alex Txikon abbiamo parlato di Nanga Parbat, Everest, K2, di salite invernali, Antartide, droni, igloo, testa, fisico, Edurne Pasaban…
KILIAN A NUDO - Se Steck è il padre dell’alpinismo in velocità, Kilian lo è delle imprese in quota arrivando dal trail running. Andrea Bormida lo ha intervistato chiedendogli quello che avremmo sempre voluto chiedere al re del fast & light. Abbiamo parlato di materiali, dalle scarpe, agli sci e alle piccozze, di rischio, di allenamento, di Stéphane Brosse, della sua idea di alpinismo, di Ueli Steck e di tanto altro. E Kilian non si è sottratto a nessuna domanda.
L’ARTE DEL CONFINO - Una riflessione sulle montagne, sull’alpinismo e il lockdown di Ben Tibbetts, chiuso nella sua casa di Chamonix nei giorni difficili dell’emergenza pandemia a disegnare le grandi pareti Nord delle Alpi. Una riflessione sulla bellezza dell’andare in montagna, ma anche sulle sensazioni che si provano a tornare ad assaporare sprazzi di quella libertà perduta.
MUST HAVE - Ben 23 pagine di prodotti per l’alpinismo selezionati dalla redazione e fotografati dal nostro fotografo di fiducia Daniele Molineris.
E POI… - Le discese di sci ripido sul Monte Bianco appena finito il lockdown, albe in quota, grandi Quattromila alpini e le imprese alpinistiche di Andrea Lanfri, atleta diversamente abile, sono gli argomenti del nostro portfolio fotografico. Mattia Salvi invece traccia un romantico parallelo tra la solitaria di Gian Piero Motti al Pilier Gervasutti e il primo passo dell’uomo sulla Luna, separati solo da poche ore, nei pensieri a inizio rivista.
Skialper 130 sarà in vendita in edicola dal 23 giugno ed è prenotabile qui
Masters Trecime Fix Carbon per il trail
Nella Outdoor Guide ora in distribuzione nelle edicole, tra i bastoni da trail running, abbiamo provato anche Masters Trecime Fix Carbon, che nei test si è a volte inaspettatamente chiuso sotto forti pressioni perché, probabilmente, in flessione accentuata, il tasto poteva aprirsi. L'azienda ci ha segnalato che quella fornita e testata era una vecchia versione e che ora il problema è risolto ed è cambiato anche un po' il look. Masters Trecime Fix Carbon è in carbonio. A seguire riportiamo la scheda tecnica e le foto aggiornate del prodotto. www.masters.it
In 4 sezioni, i tubi sono rispettivamente: ø 14mm x 1pz in fibra di carbonio 100%, ø 12mm x 2pz in CaluTech, ø 12 mm x 1 pz in AluTech 7075 e il sistema di fissaggio della prima sezione è Push-Pull.
Le altre sezioni sono collegate da una resistente corda che può essere tensionata attraverso un sistema di regolazione ad avvitamento.
La manopola Falco nella nuova finitura nera, il passamano morbido e particolarmente leggero e il supporto filettato con puntale in tungsteno, fissato al supporto in alluminio anodizzato, completano le elevate caratteristiche tecniche del Trecime Fix.
In dotazione: 1 paio di rotelle ad avvitamento del diametro di 50mm e il pratico sacchetto in PE per riporre i bastoni dopo l'uso.
Il peso al paio è pari a 301 gr nella misura 100 cm.
Misure disponibili: 100 cm (chiuso 33 cm), 110 cm (chiuso 35 cm), 120 cm (chiuso 38 cm), 130 cm (chiuso 40 cm).
Prezzo: 129,95 euro