Ventitré anni fa usciva per la BLV Verlag di Monaco un libretto polemico intitolato Berg Heil. Heile Berge? Rettet die Alpen di Reinhold Messner. Venne pubblicato in Italia quattro anni dopo, per la Bollati Boringhieri di Torino, col titolo Salvate le Alpi. Erano anni intellettualmente vivaci in cui si iniziava a raccogliere le idee per delle Alpi nuove: ci si avvicinava alla Convenzione europea del Paesaggio, e si iniziava finalmente a capire che forse era il caso di lasciarsi alle spalle i vecchi modelli turistici novecenteschi, insieme al secolo che stava per finire. Insomma, stava nascendo quel gruppo di dieci, forse quindici intellettuali che dicevano le cose che ripetiamo ancora noi oggi. Erano storici, antropologi, climatologi e così via, per lo più torinesi, che da lì a dieci anni si sarebbero ritrovati uno a fianco all’altro tra le pagine del periodico Dislivelli. 

Tutto questo però avveniva lontano dalle pareti, dalle falesie, dai canali ghiacciati, dai sentieri. Sì, in mezzo a loro c’erano anche alpinisti, ma restava un mondo per qualche ragione troppo alto e inaccessibile, soprattutto per quei nuovi frequentatori che iniziavano a gironzolare tra le montagne: dei ragazzi che vestivano largo, che portavano il cappellino da baseball al contrario, che parlavano una lingua di strada, e soprattutto che non ascoltavano il Coro della SAT. Poi anche i ragazzini sono cresciuti, le informazioni sono diventate più accessibili e, soprattutto, il mondo ha iniziato ad andare sempre più convinta- mente in una direzione diversa. Il risultato è che le cose che dicevano vent’anni fa quei dieci o quindici illuminati, oggi sono nella bocca di un sacco di persone, di qualsiasi target. Talvolta per sentito dire, talvolta consapevolmente, talvolta fintamente. Fatto sta che ormai c’è tanta gente che ne parla e, per quanta potesse essercene al tempo, oggi ce n’è dieci volte di più: basta impianti, basta infrastrutture, basta sfruttamento del paesaggio, basta commercializzazione dell’outdoor, ma cura per le zone abbandonate, per un’economia lenta, per un turismo di prossimità, colto, consapevole e così via. 

Però nessuno aveva ancora fatto il grande salto. Perché il problema di tutta questa roba qua è che è tutto fuori che semplice, e ci sembra un grande salto nel vuoto. Come tutti i cambiamenti. E sembra un salto nel vuoto soprattutto per quelli che di questa roba ci devono campare. E sebbene esista un turismo nuovo, ed esista un outdoor nuovo, sebbene ci sia in realtà già tutto un sistema capace di rendere le Alpi un luogo più inclusivo, sebbene tutta questa roba qua esista, e abbia dimostrato di funzionare, non viene ancora vista come un’alternativa con la A maiuscola. Poi però quest’anno è successo qualcosa. Ed è successo che tutto quel sistema, vecchio, superato, supportato artificialmente con fondi pubblici, è stato spazzato via da una cosa che nessuno si era immaginato. E che non solo ha spazzato via tutta quella roba là, ma è come se ci avesse puntato il dito sopra per dirci: vedete? Di tutte queste cose fareste bene a dimenticarvene. 

Come tutte le crisi, questa ha colpito soprattutto i settori che stavano in piedi non si sa bene come, i castelli di sabbia. Però ha accelerato dei cambiamenti che erano comunque già in atto. E così facendo, quasi senza volerlo, ci ha creato su misura quell’inverno che fino ad ora avevamo soltanto letto nei libri, e che sognavamo da tempo; vale a dire senza quel turismo mangia e bevi, fatto di trenini rossi, di impianti, di piste, e di après-ski, che portano soldi, ma ne portano via di più. Il problema è che rimarranno indietro anche un mucchio di persone, ma questo succede con tutte le crisi. Per questa ragione non basta starcene a guardare quel mondo crollare, ma dovremmo anche iniziare a dare fiducia alle alternative di cui si parlava prima. E questo lo dovremmo fare prima di tutto noi come frequentatori. Insomma, abbiamo l’opportunità di rivedere le nostre priorità, di lasciarci alle spalle tutte le inutili sovrastrutture di cui ci eravamo circondati e soprattutto di avere delle Alpi spoglie e selvagge come non lo erano più da un secolo. 

Abbiamo avuto un’estate senza gare, che ci ha ricordato la ragione per cui corriamo e per cui andiamo in montagna. E che ci ha riportato a una dimensione originaria della corsa, senza gonfiabili e premi finisher. Le Alpi di questa stagione invernale sono Alpi selvagge, siamolo noi altrettanto. 

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