«Il giorno della gara a Bamyan è pieno di afghani con gli sci e in tanti vengono a vederli. A fare il tifo sono venuti anche alcuni dei bambini che avevamo visto a Jawkar, camminando per tre ore sulle montagne dove noi abbiamo sciato, con ai piedi scarpe da città e come pantaloni dei normali jeans».
Scrive così Ruedi Flück su Skialper 129 di aprile-maggio a proposito dell’Afghan Ski Challenge. Nel numero dedicato all’agonismo pubblichiamo un ampio reportage a questa gara che si tiene da dieci anni nel cuore di uno dei Paesi più belli e tormentati del mondo, una gara di skialp con modalità abbastanza diverse da quelle a cui siamo abituati sulle Alpi, spesso con concorrenti che utilizzano sci di legno e devono portarli a spalla in salita. O con spettatori armati di mitra. Ruedi è stato da quelle parti nel 2014 e il reportage è un avvincente racconto di viaggio, dove lo sci è, come spesso avviene, la scusa. Un viaggio nel quale ha incontrato anche Ferdinando Rollando, la Guida alpina italiana che in quegli anni operava in Afghanistan con la sua ong Alpistan. Un viaggio per visitare il luogo dove si trovavano le famose statue di Budda distrutte dai Talebani e per incontrare Sajjad Housaini e Alishah Farhang. Questi due ragazzi, grazie alla vittoria nella gara di quell’anno, hanno avuto l’opportunità di allenarsi per tentare di rappresentare il loro Paese ai Giochi olimpici di Pyeongchang nello sci alpino. Non ce l’hanno fatta, ma la loro storia ha fatto conoscere un volto diverso dell’Afghanistan. Ed è anche quello che cerca di fare, oltre i luoghi comuni, Ruedi con il suo articolo e le belle foto.
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