E potrebbe continuare peggio…
Nei giorni di metà novembre scorso ero ad Oulx, impegnato a tenere un corso di nivologia agli aspiranti maestri di sci del Piemonte e, durante l’esposizione degli argomenti, sono stato ancora una volta facile profeta: “alle prime nevi ci sarà molta gente che uscirà subito a fare attività in montagna e prima di Natale ci scapperà qualche morto”. Tre giorni dopo si sono verificati i primi incidenti in Val Bondione ed al Passo del Tonale (fortunatamente senza vittime) ed una settimana dopo ci sono scappati i primi morti: tre al Passo del Mortirolo e due sul Monte Cusna, nell’Appennino Emiliano. E domenica 28 novembre un quotidiano (preferisco tacerne il nome) informava i lettori titolando l’articolo con la solita, abusatissima frase: Valanga killer ….
Nella mia mente il sentimento di sgomento provo di fronte all’annuncio di un incidente mortale si mischia sovente ad un sentimento di perplessità quando ne apprendo le cause o le modalità. Siccome sono convinto che la valanga non sia un killer che uccide, a capriccio, chiunque capiti a tiro, quando ascolto queste notizie mi scappa di pensare ad un “tentativo di suicidio”. Mi rendo conto che anche questo concetto è altrettanto sbagliato, ma non riesco a togliermi dalla testa che, un tempo, le attività “fuori pista” iniziavano a stagione avanzata e lo sci alpinismo si svolgeva nei mesi da febbraio a maggio. Persino in ambiente militare che, secondo una certa mentalità (diffusa soprattutto tra chi non ha “fatto la naja”), fa sempre le cose a rovescio della logica, le cosiddette “escursioni invernali” avevano inizio verso la fine di gennaio. Ora lo sci alpinismo e le attività affini non hanno più stagione: già da ottobre le gambe formicolano e non importa se la prima neve non ha ancora fatto in tempo a trasformarsi ed a stabilizzarsi: “è nevicato e finalmente si può andare, perciò prendo gli sci e vado, non importa dove, ma non vedo l’ora di soddisfare la mia passione”.
Dalle poche frasi iniziali che ne davano notizia, l’incidente al Passo del Mortirolo ha coinvolto una comitiva di quattro persone che si muovevano con le racchette da neve.
Il primo pensiero che mi ha attraversato la mente è stato: tra gli sciatori-alpinisti ci sono degli incosciente, tra i racchettatori degli sprovveduti. Poi la notizia si è fatta più completa ed ho dovuto mentalmente chiedere scusa ai tre escursionisti: erano accompagnati da una Guida. Ed allora ho avuto un momento di sconforto: “anche i professionisti fanno questo, anche quelli che, per impegno professionale, dovrebbero badare alla sicurezza del cliente, perché proprio a questo scopo sono stati ingaggiati. Eppure dovrebbero essere loro, gli “esperti”, a consigliare al cliente di attendere momenti migliori; forse badano solo all’incasso di una gita?”
Non aggiungo altro: chi scampa ad una valanga sarà indiziato di reato e dovrà affrontare tutte le grane della Giustizia, cioé dovrà difendersi da un’accusa che potrebbe suonare in questi termini: “conduceva in ambiente a rischio le persone che a lui si erano affidate, sì da provocare il distacco di una valanga, ossia di un evento naturale assolutamente prevedibile in ragione delle condizioni dei luoghi e della stagione, tale, in ragione della massa di neve distaccatasi e precipitata, da assumere le caratteristiche oggettive del disastro, e tale, in concreto, da seppellire le persone che a lui si erano affidate, provocandone la morte”.
È il linguaggio pesante e complicato della Giustizia, che ho già letto più volte nei diversi casi di consulenza che mi sono stati affidati, e so che chi scampa ad una valanga di neve dovrà affrontare una valanga di accuse da parte del Pubblico Ministero, per non tacere degli avvocati di parte civile che proveranno ad aggiunge qualche aggravante, come l’imprudenza, la negligenza, l’imperizia …
Pensate un po’ come a come sia difficile tentare una difesa da tali accuse.
Ed allora mi rivolgo a tutti coloro che fremono e si arrabbiano perché la neve è ancora scarsa: se non vi importa di rischiare la pelle, pensate a quanto può costarvi, in termini economici, la difesa da un’accusa del genere: avvocati, periti, spese processuali, … e con la sola speranza di attenuare la pena (da 1 a 6 anni).
Ricordiamoci bene che non è necessario che ci scappi il morto per dare avvio ad una denuncia: il solo fatto di aver provocato una valanga costituisce un “reato di pericolo”, lo stesso reato che può commettere il cacciatore che transita in un luogo abitato con il fucile carico: non intende uccidere nessuno, ma potrebbe accidentalmente accadere.
Ed altrettanto vale a proposito della valanga: la valanga è un evento che potenzialmente minaccia la sicurezza delle persone, quindi si devono adottare le precauzioni opportune per evitare che ciò accada.
E non illudiamoci con la solita frase “perché dovrebbe capitare proprio a me?”
È sempre in vigore la legge di Murphy, una legge ancor più severa del Codice Penale; è quella legge che, al suo primo articolo dice: “Se esiste anche una sola possibilità che le cose possano andare male, una volta o l’altra andranno male; forse già la prossima volta.”