Per una settimana Chamonix è stata il cuore pulsante del trail running mondiale. L’edizione 2025 dell’HOKA UTMB® Mont-Blanc ha radunato oltre 10.000 runner, professionisti e amatori, trasformando Chamonix e i sentieri che attraversano Francia, Italia e Svizzera in un teatro di emozioni. Le otto gare in programma – dalla PTL alla più famosa UTMB – hanno offerto spettacolo, sfide al limite delle possibilità umane e finali mozzafiato.
Tra le storie più belle di questa edizione, brillano quelle di due italiani: l’argento di Minoggio nella OCC e l’oro di Puppi nella CCC rendono questa edizione dell’UTMB particolarmente significativa per i colori azzurri. Due risultati che fanno sventolare alti i colori della bandiera italiana, ottenendo risultati ai massimi livelli su distanze diverse.
Se l’UTMB 2025 è stato un festival di emozioni per tutti, per l’Italia è stato soprattutto un’edizione da ricordare: Chamonix, ancora una volta, ha scritto una pagina di storia.
Christian Minoggio, argento che vale oro
Il piemontese Christian Minoggio ha firmato una delle gare più solide della sua carriera. La OCC (55 km e 3.425 m D+) è sempre stata una prova rapidissima e tecnica, dove la concorrenza internazionale è agguerrita. Minoggio ha saputo gestire alla perfezione la sua corsa, restando nel gruppo di testa fin dai primi chilometri e difendendosi dagli attacchi nella parte più dura del percorso, capace anche di un sorpasso su Jim Walmsley all’interno di uno dei punti vita, che lo ha portato per alcuni chilometri al primo posto.
Sul traguardo di Chamonix ha chiuso al secondo posto in 5 ore e 55 secondi, alle spalle dello statunitense Jim Walmsley, e davanti a un parterre di atleti élite che rende il suo risultato ancora più significativo. La sua prestazione conferma la sua crescita e la sua capacità di competere con i migliori specialisti al mondo.

Francesco Puppi, vittoria storica nella CCC
Ma il colpo grosso lo ha messo a segno Francesco Puppi. Il comasco, già protagonista sulle distanze più brevi, ha scelto la CCC (100 km e 6.156 m D+) come grande obiettivo stagionale e ha centrato il risultato più prestigioso della sua carriera.
Puppi ha impostato una gara tattica e intelligente: dopo una prima metà corsa in controllo, ha aumentato il ritmo nella lunga salita verso Champex-Lac, riuscendo a staccare i rivali nella seconda parte del percorso. L’arrivo a Chamonix in 10 ore 6 minuti e 2 minuti, accolto da un pubblico in delirio, ha sancito la sua prima vittoria in una gara delle UTMB World Series Finals.
Un successo che lo proietta definitivamente nell’élite del trail running internazionale e che rappresenta una pietra miliare per il movimento italiano, storicamente meno presente ai vertici delle gare sopra i 100 km.
“È stato il giorno perfetto – ha dichiarato Puppi all’arrivo – Ho corso come volevo, ho avuto ottime sensazioni e ho sentito l’energia del pubblico in ogni momento. Vincere qui è un sogno che si realizza”.

Per farvi scoprire meglio chi è Francesco Puppi riportiamo di seguito la sua intervista pubblicata sul libro TRAIL RUNNING & ULTRA TRAIL di Nicola Giovanelli, edito da Mulatero Editore.
FRANCESCO PUPPI, LA VITA DEL PRO
Francesco Puppi, classe 1992, è atleta del team Hoka e da diversi anni è tra i migliori trail runner al mondo. Oltre ad aver trionfato in alcune delle gare più importanti, he nel palmarès di- verse medaglie in rassegne sia mondiali che europee. Riesce a essere competitivo su ogni distanza e tipologia di gara (dalla strada agli ultra trail, dalla pista ai vertical km). Pubblica il podcast di successo Any surface available e, per darvi un metro di paragone, i suoi personali sono di 14’34’’ (5.000 m), 29’47’’ (10.000 m), 1h04’41 (mezza maratona), 2h16’18’’ (maratona).
Come hai iniziato a fare trail?
«Sono arrivato al trail come conseguenza del mio approccio alla corsa, stimolato dalla curiosità di provare nuove gare ed esperienze: era il 2014, non avevo un allenatore, mi gestivo da solo. Fino ad allora avevo sempre corso su strada o in pista, senza ottenere grandi risultati e soprattutto non avrei mai pensato di riuscire a diventare un pro. Non ho mai pensato di essere un atleta di grande talento, quello che sono riuscito a costruire è stato grazie alla continuità di allenamento e alla capacità di fare fatica che ho sempre avuto negli anni».
Il trail running sta cambiando. Che differenze ci sono rispetto a 10-15 anni fa?
«Negli ultimi anni il trail sta cambiando molto, anche perché la presenza di molti più atleti professionisti rispetto a qualche anno fa richiede degli adattamenti a tutto il movimento. Molti sport outdoor, e con essi il trail, hanno raggiunto grande popolarità dopo la pandemia; spero solo che questa non sia una bolla ma un’evoluzione sana del movimento. Il trail è uno sport in gran parte influenzato dalle dinamiche di mercato e dei brand, la loro presenza e il loro interesse si percepiscono in maniera molto più forte rispetto ad alcuni anni fa».
Da dove si parte per essere un atleta pro nel trail running?
«Nel 2021 ho avuto un’opportunità grazie al mio attuale main sponsor, Nike, con un progetto che mi ha coinvolto insieme a Cesare Maestri. Sono passato professionista abbastanza tardi perché gli sponsor non sono mai stati troppi o troppo generosi, fino a pochi anni fa non c’erano grandi opportunità, sebbene i miei risultati probabilmente potessero giustificare il fatto che io fossi un pro. Personalmente non ho mai avuto come obiettivo primario quello di diventarlo, ho sempre corso per cercare di migliorarmi, il fatto di fare della corsa il mio lavoro è stata una conseguenza del processo di crescita. Oggi sembra quasi che per tanti giovani ottenere un contratto sia un obiettivo ancor prima di correre forte, e un po’ mi dispiace, perché penso che l’aspetto tecnico e competitivo di questo sport siano il focus principale, almeno ad alto livello».
Ti alleni seguendo un programma strutturato?
«Sì, sono seguito da Tito Tiberti dal 2014, cioè da quando ho iniziato a correre in montagna. Con lui decidiamo a quali gare partecipare e cerchiamo sempre di partire da un ragionamento tecnico per arrivare a definire i nostri obiettivi, in particolare considerando il processo di crescita generale. Ogni anno scegliamo un obiettivo, non necessariamente agonistico. Per esempio quest’anno vorrei tornare a essere più competitivo sulla corsa in montagna classica, in particolare in salita, mantenendo la capacità di correre a lungo e di performare su gare ultra. Alcune competizioni vengono decise anche in base agli interessi e agli obiettivi degli sponsor, come è logico che sia. In ogni caso, cerco di non gareggiare troppo spesso, ma voglio essere sempre al via di gare di livello. Questo mi dà la motivazione e lo stimolo per cercare di migliorarmi sempre di più».
Hai mai fatto un vertical?
«Sì, a Chiavenna ho fermato il cronometro a 33’01’’; ho vinto un paio di volte il Piz Tri Vertical di Malonno (dopo questa intervista Francesco ha vinto il Vertical Fenis e si è qualificato per gli Europei anche su questa distanza)».
Usi i bastoni?
«No, mai usati».
FC, ritmo, running power, RPE… Che parametri usi in allenamento? E in gara?
«Uso sempre il GPS e insieme al mio allenatore abbiamo cercato di sviluppare tanta sensibilità ai ritmi correndo a sensazione e usando i dati per cercare conferma di quello che sento quando corro. Sono consapevole di come procedo e dei ritmi, anche senza un feedback oggettivo. Penso che sia un’abilità molto utile da sviluppare per un atleta. Si può dire che il parametro principale che utilizzo per gestire le intensità di allenamento sia l’RPE. A livello di strumenti, spesso in allenamento uso il cardio per valutare meglio il carico organico, ma in gara sempre e solo sensazioni».
Una domanda che ti avranno fatto in tanti: hai mai fatto un test per il VO2max?
«Da giovanissimo no, ma a 29 anni (nel 2021) ho fatto un test su treadmill (in pianura) che ha dato un risultato di 71 ml/kg/min. Il mio punto di forza non è mai stato il VO2max ma probabilmente l’economia di corsa e la capacità di correre a lungo vicino alla soglia aerobica. Come atleta mi sono evoluto, negli ultimi anni mi sembra di essere più completo, sono migliorato molto in discesa e nella gestione di gare lunghe».
Da qualche anno esiste un’associazione di professionisti del trail running (PTRA – Pro Trail Runners Association). Cosa è la PTRA e che scopi ha?
«PTRA è nata nel 2022 da un’idea mia, di Kilian Jornet e Pascal Egli. Era un progetto nell’aria e c’erano già stati dei tentativi di fondare un’associazione di atleti pro nel trail, ma non erano mai andati a buon fine. Grazie all’adesione iniziale di tanti atleti importanti, siamo riusciti a crearla e oggi siamo circa 240 iscritti. Abbiamo quattro gruppi di lavoro focalizzati sui temi principali di cui si occupa la PTRA: gare, antidoping, inclusione e partecipazione (donne, diritti degli atleti), ambiente. Visto che il tema contratti è delicato, uno degli obiettivi è arrivare a una condizione in cui gli atleti possano conoscere il loro valore contrattuale sulla base dei risultati e avere quindi una serie di clausole e diritti che possano richiedere quando firmano con un’azienda. Un altro aspetto riguarda la formazione e la deontologia, sia in termini di ciò che possono o non possono negoziare con i loro sponsor, che rispetto alla gestione della propria immagine pubblica, della carriera, delle scelte agonistiche. Vorremmo anche riequilibrare il rapporto con le aziende che spesso hanno troppo potere nella gestione degli eventi, circuiti e opportunità mediatiche».
Sei attivo e sensibile anche al tema ecologia, come può un trail runner professionista avere uno stile di vita coerente?
«Come associazione vorremmo lavorare alla creazione di un calendario gare organico, che permetta al maggior numero di atleti di essere presente al maggior numero possibile di gare. Questo potrebbe avere degli effetti su come ci si sposta per partecipare alle gare internazionali. L’unico circuito che si occupa veramente di questo aspetto è Golden Trail Series, che sta cercando di strutturare un calendario che eviti spostamenti e viaggi intercontinentali non sempre necessari. Purtroppo, senza il coordinamento di una federazione, almeno per quanto riguarda gli eventi principali, sarà difficile arrivare a un calendario come può essere quello della Coppa del Mondo di Sci. L’impatto ambientale del nostro sport deriva principalmente dagli spostamenti degli atleti e riuscire a limitarli il più possibile sarebbe già un grande risultato, per noi e per l’ambiente».
Ti alleni con musica o podcast?
«Musica quasi mai, ascolto podcast quando faccio palestra, o mentre faccio rulli o altre attività statiche e noiose. Quando ti alleni 20-25 ore la settimana, ogni tanto hai bisogno di un po’ di distrazioni per non annoiarti».
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