«Ero curioso di tornare nella valle Chacabuco e al lago Jeinemeni. Ma non era solo la natura ad attrarmi, piuttosto gli uomini e il loro rapporto con l’ambiente. Queste valli, questi monti, sono forse il luogo dove ho lavorato più a lungo come Guida di montagna, dove ho corso più lontano. Qui ho scritto record di salita e discesa in velocità su cime selvagge. Queste montagne le sento un po’ come mie, anche se non vivo qui, ma vicino a Santiago, nella valle Maipo. All’inizio del 2018, grazie alla donazione allo stato del Cile della terra della Valle Chacabuco da parte di Tompkins Conservation, la Reserva Nacional Lago Jeinemeni e la Reserva Nacional Lago Cochrane sono state unite nel Parque Nacional Patagonia. Queste valli sono state trasformate negli anni dall’allevamento e l’ecosistema, al di fuori dei panorami da cartolina, rischiava di essere compromesso irrimediabilmente, però la creazione del parco è andata contro alcuni degli interessi economici locali. Così, a distanza di due anni, volevo vedere come è stato accolto dalle persone che vivono da quelle parti e che effetto ha prodotto sull’economia locale. Volevo farlo a mio modo, tornando lì per correre».
A scrivere è Felipe Cancino, runner e attivista ambientale cileno, che ama guidare verso Sud, per andare a scoprire gli angoli più selvaggi della Patagonia usando i propri piedi. E così ha scoperto che un parco nazionale è molto più di un semplice contenitore di natura e può diventare un volano per l’economia locale e per uno sviluppo sostenibile. Attorno al Parque Nacional Patagonia, per esempio, sono sorte fattorie per l’agricoltura bio intensiva. Nei suoi viaggi in Patagonia Felipe è andato anche più a Sud, fino alla punta estrema del Sud America.
«La Peninsula Mitre è l’estrema punta meridionale del Sud America, quella punta dell’Argentina che guarda a Est. Ieri abbiamo provato a bere l’acqua degli acquitrini rendendoci conto che, anche bollita, è imbevibile perché inquinata dai castori. Sembra incredibile, ma questi roditori, introdotti dall’industria delle pellicce, hanno devastato l’ecosistema locale. L’alternativa era bere quel liquido disgustoso o l’acqua salata del mare, poi abbiamo capito che si poteva raccogliere l’acqua che ogni giorno cade dal cielo ed è stata la nostra salvezza. Essere qui, senza tutte quelle comodità del nostro mondo, a partire da un collegamento internet, mi ha obbligato a risolvere i problemi, tanti, facendo solo ricorso al mio intuito. Mi ha fatto capire che a volte devi avere fortuna».
Su Skialper 131 di agosto-settembre un intenso reportage con le meravigliose fotografie di Nacho Grez e Rodrigo Manns.