«La Translagorai è un’esperienza, una di quelle cose da fare una volta nella vita. La chiamano il Tibet in miniatura. Questo è uno di quei viaggi che consuetudine vuole si faccia in solitaria alla scoperta del nostro io interiore, più ardua la cosa se si è in ventisei, ma non impossibile». Sono le parole di Gaia Cappellini, una giovane ragazza della Val di Fiemme che ha preso parte al progetto di cittadinanza attiva Translagorai: il Docufilm a restituire il senso più profondo di cosa significa affrontare il trekking che attraversa la catena del Lagorai, in Trentino, una delle più ampie aree di natura selvaggia di tutte le Alpi. E su Skialper 114 di ottobre-novembre presentiamo il progetto e, naturalmente, questo bellissimo e selvaggio trekking.

IL DOCUFILM – Quattro agosto 2017. Ventisei persone si ritrovano a Passo Manghen. È un gruppo eterogeneo. Ci sono professori di liceo, ragazzi non ancora (per poco) maggiorenni e altri che sfiorano i 30 anni. Quasi nessuno si conosce. Eppure passeranno insieme tre giorni. Dormendo in tenda, trasportando pesanti zaini da venti chili, facendo gli attori per un giorno o i tecnici del suono. Ciak, si gira. Non ci sono effetti speciali, ma solo il grande palcoscenico naturale del Lagorai. «Translagorai: il docufilm è un progetto di cittadinanza attiva che coinvolge ragazzi e professionisti della Val di Fiemme: per coinvolgerli ho pensato di mettere insieme la montagna e il film, due elementi di interesse dei giovani» dice Federico Comini, psicologo e psicoterapeuta, anima del progetto. Un progetto ecologico, con pannelli solari per alimentare telecamere e drone e con la pesante strumentazione trasportata solo a spalla.

IL TREKKING – Ottanta chilometri attraversati da un sentiero con pochissimi rifugi lungo tutto il percorso, nessun paese, lo sguardo che difficilmente incontra un campanile o un borgo abitato, neppure in lontananza, e attraversato da un’unica strada, al Passo Manghen, che collega la Val di Fiemme con la Valsugana. Ottanta chilometri disabitati e desolati, ma a lungo popolati. Qui infatti l’uomo ha vissuto per cinquemila anni, dopo l’ultima glaciazione e poi durante la Grande Guerra, quando tutte le creste tra il Cauriol, il Colbricon e il Cavallazza furono teatro di battaglie violentissime con oltre duemila morti italiani e austriaci. E ora i resti delle fortificazioni e delle trincee sono ancora ben visibili, per esempio alla forcella di Litegosa, alla Ziolera, al Monte Cauriol o a Cima Cece.