Prowinter diventa sempre più internazionale

Appuntamento a Fiera Bolzano dall’11 al 13 gennaio. Ci sarà anche lo Scandinavian Village.

 

La fiera Prowinter di Bolzano è diventata l’appuntamento B2B di riferimento per il mondo dell’outdoor e degli sport invernali. L’appuntamento per il 2026 è a Fiera Bolzano da domenica 11 a martedì 13 gennaio (ventiseiesima edizione) con un format rinnovato, sempre più internazionale.

Tra le novità, l’apertura di un intero padiglione, che ospiterà lo Scandinavian Village, accanto all’Italian Outdoor Village. Un simbolo concreto dell’incontro tra Nord e Sud dell’Europa, dove le eccellenze internazionali del settore potranno confrontarsi in un unico momento e spazio.

Tra le altre novità del 2026 anche la partecipazione di numerosi marchi internazionali che esporranno direttamente con le proprie sedi centrali, e non più solo attraverso distributori o rivenditori italiani. Stöckli, Kästle, Ziener, Reusch, Hestra e Montura sono solo alcuni dei nomi che hanno già confermato la propria presenza con stand ampliati e team europei, rafforzando così l’identità sempre più globale di Prowinter. Una scelta che rende la fiera altoatesina un punto di riferimento anche per i professionisti di Germania, Austria, Scandinavia, area Benelux e Est Europa, interessati a incontrare direttamente i decision maker delle aziende.

©Marco Parisi

Un altro forte focus di questa venticinquesima edizione sarà la sostenibilità. Fiera Bolzano, già certificata EarthCheck Silver, prosegue il proprio percorso per diventare il centro espositivo più sostenibile d’Italia, integrando principi ESG in ogni fase organizzativa dell’evento. Durante Prowinter 2026, si terranno due importanti appuntamenti dedicati alla tematica nella filiera degli sport invernali: il Winter Sports Sustainability Network Meeting e lo Ski Industry Climate Summit (hosted by Atomic in collaborazione con Protect Our Winters Europe - POW e Wintersports Sustainability Network - WSN), che riuniranno aziende, esperti e istituzioni per discutere strategie e buone pratiche per il futuro del settore.

Inoltre, il Prowinter Award 2026, giunto alla quarta edizione, introdurrà per la prima volta un membro esterno della giuria dedicato alla valutazione della sostenibilità dei prodotti e dei processi produttivi: un segno concreto dell’impegno verso un approccio sempre più responsabile e trasparente. Continua anche l’esperienza dei Prowinter Test Days, powered by ITASnow e organizzati da Pool Sci Italia, in programma lunedì 12 e martedì 13 gennaio a Carezza, che rimangono uno dei momenti più attesi della manifestazione, dove oltre 250 professionisti potranno provare in anteprima le novità della stagione 2026/2027.

A completare il programma, il Prowinter Party, evento aperto a tutti gli espositori e visitatori, che animerà la prima serata di manifestazione con sessioni di networking, pensate per favorire scambio e ispirazione tra aziende, professionisti e media di settore. Da evento dedicato principalmente al noleggio, Prowinter si è evoluta fino a diventare una fiera B2B di riferimento per l’intera filiera della montagna d’inverno. I ticket sono già disponibili online sul sito Prowinter.it

 


Per Vedrines, Lustenberger & co arriva l’Advanced Mountain Kit

Una collezione di 24 pezzi firmati The North Face per spedizioni e imprese al limite

Fa parte della Summit Series (che festeggia 25 anni) e si chiama Advanced Mountain Kit la nuova collezione nella collezione The North Face dedicata agli atleti élite. È una gamma di 24 pezzi tra abbigliamento, attrezzatura e calzature, pensata progettata con un’attenzione particolare a peso, vestibilità, comprimibilità e durata e si profila come il sistema tecnicamente più avanzato del brand per le spedizioni fast & light in alta quota.

Una collezione Athlete Tested, Expedition Proven visto che i prototipi sono stati utilizzati da diversi membri del team di atleti The North Face, tra cui Benjamin Védrines sul K2 e Christina Lustenberger nella prima discesa con gli sci sulla parete Sud del Mount Robson.

Kit specifico per donna

Le donne hanno da tempo infranto barriere sulle vette più alte del mondo, ma fino a oggi non avevano mai avuto un kit progettato specificamente per le loro esigenze. L’Advanced Mountain Kit è stato sviluppato in collaborazione con Christina Lustenberger e Chantel Astorga, e presenta modelli su misura e mappature termiche basate su test specifici per il corpo femminile.

Teoria del layering

Il nuovo Advanced Mountain Kit si basa su un sistema modulare di stratificazione che garantisce la massima versatilità in un’ampia gamma di attività alpine, tra cui lo scialpinismo. Gli atleti possono aggiungere o rimuovere facilmente gli strati per adattarsi ai cambiamenti climatici, mantenendo il controllo preciso su calore, protezione e mobilità anche negli ambienti più difficili.

Innovazione nei materiali

Il kit integra una serie di tecnologie proprietarie sviluppate per migliorare la resistenza senza compromettere leggerezza e comprimibilità. I filati Spectra, più resistenti dell’acciaio, garantiscono una durata eccezionale nei tessuti ultraleggeri, mentre l’isolamento Cloud Down elimina i punti freddi e offre ora una maggiore versatilità nelle versioni mid-loft.

La nuova membrana FUTURELIGHT elettrofilata garantisce impermeabilità e traspirabilità prive di PFAS, rinforzata con Spectra e Nanoreflect per una protezione e una termoregolazione senza precedenti. L’isolamento 50/50 migliora l’efficienza termica grazie a un esclusivo rivestimento in alluminio-titanio che riflette il calore corporeo, mentre il nuovo DotKnit Wool combina le proprietà naturali della lana – controllo degli odori e prestazioni termiche – con una gestione ottimale dell’umidità per il massimo comfort a contatto con la pelle.

Una collezione completa per le condizioni più estreme

La collezione da 24 pezzi copre l’intera gamma di esigenze per le spedizioni alpine più impegnative: dagli strati isolanti ultraleggeri come il Cloud Down Parka e la 50/50 Hoodie, alla protezione impermeabile dei gusci FUTURELIGHT, fino ai baselayer tecnici DotKnit Wool e all’attrezzatura da spedizione come lo zaino Summit Advanced Pack, il Duffel da 135 litri, la tenda Assault 2 e il sistema di riposo SUPERLIGHT. Non mancano gli scarponi Summit Verto FA, con chiusura BOA e due paia di fodere DotKnit™ intercambiabili permettono una regolazione ottimale della temperatura sia in ambienti freddi che caldi. Ogni elemento è stato progettato con un unico obiettivo: prestazioni ai massimi livelli negli ambienti più estremi del pianeta.

thenorthface.com/it-it

© Mathis-Dumas - The North Face


Gente di Montagna

Una new entry e tante conferme nello Scott Winter Pro Team

Chi vive la montagna ne conosce i ritmi, ne rispetta la forza, ne ascolta i segnali. Ama la natura senza reclamarla, accoglie le stagioni con umiltà e si lascia guidare ogni giorno da ciò che l’ambiente restituisce. È uno spirito libero, curioso, avventuriero. Parte da questa idea il concept dello Scott Winter Pro Team per la stagione 2025/26, al claim di Gente di Montagna.

Il team si conferma una risorsa fondamentale per Scott sia sul campo sia nella comunicazione del marchio. Nel 2026 c’è una new entry: Nicolò Bugatti, freerider. Gli altri sono Andrea Rosà, Guida alpina; Luca Truchet, freerider; Andrea Cismondi, Maestro di sci; Roberto Parisse, Maestro di sci e Gianandrea Lecco. I membri del team incarnano i valori di Scott in ogni attività sul campo e la loro presenza agli eventi organizzati dal marchio rafforza il legame con le comunità locali. Sul fronte sci, l'attenzione si concentra sulle famiglie Explorair e S.E.A. che saranno montate con attacchi di powered by ATK per garantire sicurezza, leggerezza e prestazioni. «Il Pro Team è un tassello importante all’interno della strategia marketing di Scott – afferma Nicola Gavardi Pr & Communication Manager Scott – Siamo sempre alla ricerca di persone che vivano con autenticità il nostro mondo e lo possano raccontare in modo diretto ispirando i consumatori e favorendo i contatti con la nostra rete vendita. Il Team Ambassador è un progetto di visibilità ma anche un valore aggiunto per promuovere la linea SCOTT Winter a livello B2B e B2C».

Curioso il servizio fotografico realizzato con il team presso l’agriturismo Ferdy Wild, in Val Brembana, nei colori autunnali.

 

© Stefano Vedovati


Lo sci-alpinismo (rigorosamente con il trattino) di Toni Gobbi

In un libro del nipote Oliviero ricordi e aneddoti dell’organizzatore delle Settimane nazionali sci-alpinistiche di alta montagna, uno dei padri dello skialp italiano.

L’altarino dei personaggi che ci hanno ispirato nello sci lontano dalle piste è sempre piuttosto affollato. Ci sta Fridtjof Nansen, ovviamente, e altrettanto ovviamente dobbiamo fare posto a Fosco Maraini, tra i primi a portare con sé, sulle montagne himalayane, gli sci per motivi puramente ludici. Ma in prima fila non può esserci che Toni Gobbi, il quale ha reso fruibili a un pubblico decisamente più ampio i grandi raid che sembravano riservati a pochi fuoriclasse. Fosco e Toni, nati a due anni di distanza l’uno dall’altro, si sono conosciuti, non ho idea se abbiano sciato uno accanto all’altro, ma hanno salito montagne assieme e contribuito, entrambi, alla riuscita della spedizione al Gasherbrum IV, mettendo le basi per l’ascensione di Walter Bonatti e Carlo Mauri nel 1958. Ma la guida Toni Gobbi aveva già cominciato nel 1951 a organizzare haute route sciistiche con gruppi di clienti sempre più numerosi. Cominciò dalla Chamonix-Zermatt, che francesi e svizzeri avevano cominciato a percorrere fin dagli anni Venti. E nel 1933 Leon Zwingelstein ne fece un tratto fondamentale della sua fantastica cavalcata sulle Alpi con gli sci. Fu la prima delle Settimane nazionali sci-alpinistiche di alta montagna che proseguirono costantemente fino alla sua scomparsa, nel 1970. Il suo era uno scialpinismo con il trattino, sci-alpinismo, e quel trattino non è solo un vezzo: «È un vero sciatore alpinista – spiega – colui che trova il piacere della salita, la gioia della vetta, la soddisfazione della discesa. Questi sono i tre punti ed io voglio che colui il quale fa dello sci-alpinismo con me lo faccia in completezza, in tutte e tre le parti». Alla Chamonix-Zermatt seguirono decine di altri raid, alcuni raccolti da uno dei partecipanti, Luigi Zobele, in una guida edita nel 1975 da Tamari, Sci-alpinismo nelle Alpi (ancora con il trattino). E tanti altri lontani dalle Alpi, dalla Groenlandia all’Elbrus, fino al progetto del Damavand, che si sarebbe dovuto concretizzare proprio l’anno della sua morte.

La traccia di Toni è il libro che il nipote Oliviero Gobbi ha scritto assieme a Gian Luca Gasca, partendo dagli scatoloni di documenti e fotografie trovati a casa della nonna (Rizzoli, pp. 240, euro 35: sarà presentato lunedì 15 dicembre alle 21 al Circolo dei Lettori di Torino, in un incontro organizzato dalla Libreria La Montagna). Un volume che per la prima volta mette a fuoco a tutto tondo un protagonista della montagna che non ha avuto - ingiustamente - la notorietà di altri suoi coetanei, altri che hanno lasciato segni coevi sulla neve e la roccia. Toni era nato nel 1914 a Pavia ma già a otto anni con la famiglia si era trasferito a Vicenza. Ed è lì, sulle Piccole Dolomiti, che nasce e cresce il suo amore per l’arrampicata, l’alpinismo, poi lo sci. Il padre è avvocato e anche lui sembra destinato alla stessa carriera. Nel 1940 si laurea, ma c’è da fare il servizio militare e nel frattempo scoppia il secondo conflitto mondiale. Istruttore di alpinismo alla Scuola militare alpina di Aosta, finisce sulle montagne valdostane a difendere la patria in una guerra in cui non viene sparato manco un colpo (c’è anche Mario Rigoni Stern da quelle parti). Fa pratica legale ad Aosta ma prosegue anche, sempre più coinvolto, la frequentazione delle montagne, sulle Alpi occidentali e le Piccole Dolomiti. Il motivo per cui resta in Valle d’Aosta, però, non è solo alpinistico, ma sentimentale. Nel ’43 incontra Romilda Bertholier, biondissima maestra elementare a Courmayeur, se ne innamora e nel ’45 la sposa. Diventa Guida alpina nel frattempo, poi Maestro di sci. Le ascensioni sono un lavoro, un piacere e una condivisione con Romilda, capace alpinista e sciatrice (sarà tra le prime, assieme al figlio Gioachino, a scendere la parete nord del Monte Bianco con gli sci).

Lasciamo alle pagine del libro il racconto della carriera di rocciatore, tra cui l’apertura della formidabile via – cui aspirava l’intera comunità alpinistica – al Grand Pilier d’Angle, assieme a Walter Bonatti, per concentrarci invece sulla sua traccia nella neve. L’approccio allo sci – allo scialpinismo, ovvio – era allo stesso tempo tradizionale e innovativo. Se all’epoca si guardava agli attrezzi come a un ausilio per la salita, mentre in discesa ogni santo aiutava, Gobbi chiedeva al suo cliente «una buona padronanza tecnica (…): deve cioè essere ben impostato  nella posizione di discesa in linea diretta e diagonale, saper usare con padronanza dérapage e saper curvare con tranquillità e scioltezza a stem-Christiania (non bastano dunque le curve a  spazzaneve!)». Così scrive nei suoi appunti destinati a essere stampati sui fascicoli in cui, anno dopo anno, presentava le sue Settimane. E ancora: «Occorre soprattutto che egli sia sicuro di curvare là dove ha deciso di curvare e là dove bisogna curvare e che egli sappia perciò, in nome della massima sicurezza, seguire fedelmente il tracciato del proprio capo-gruppo». Non era solo un retaggio della propria educazione militare ma, come ricorda un suo cliente che gli si affidò alla fine degli anni Sessanta, Leonardo Lenti, «la traccia sia in salita sia in discesa era un compito rigorosamente suo, e tutti dovevano seguirlo senza indugio sia in salita sia in discesa. Questo sia per questioni di sicurezza, sia per non turbare l’estetica del pendio vergine. Quando si arrivava in fondo, Gobbi riguardava il pendio su cui si era sciato ed era palesemente soddisfatto della bella traccia, ben fatta».

Toni Gobbi se ne andò, ad appena cinquantacinque anni, travolto da una valanga sul Sassopiatto, assieme a tre clienti di un gruppo che partecipava alla Haute Route dei Monti Pallidi. «Il gran capo ha pagato di persona – scrisse Giorgio Bocca in un accorato articolo su Il Giorno – L’ultima lezione alpinistica di Toni Gobbi, il prudente, è implicita nella sua morte: chiunque tu sia, per bravo che tu sia, ricordati che in alta montagna la morte può venire anche per te».



Ski Trab Academy, appuntamento dal 12 al 15 marzo

Quattro giorni di gite guidate, formazione e divertimento in Alta Valtellina.

Torna la Ski Trab Academy. L’anno due dell’evento che l’anno scorso è andato quasi subito sold out è in programma dal 12 al 15 marzo prossimi con base a Bormio. La formula è ormai collaudata: quattro giorni di sci, avventura e divertimento insieme agli ambassador del marchio e alla famiglia Ski Trab. Dal ripido alla polvere, dal fast & light alla classica traversata Bormio-Livigno, senza dimenticare le serate conviviali. Oltre a partecipare alle attività guidate, infatti, sarà possibile condividere le emozioni dell’après-ski insieme a Giuliano Bordoni, Nicola Ciapponi, Bruno Mottini. Filippo Sala, Davide Spini e altri ambassador del marchio.

Il programma prevede ‘sci ripido e sicurezza in montagna’ il giovedì, ‘freetouring experience, visita alla fabbrica Ski Trab e cena tipica il venerdì’, ‘Tour fast & light e serata speciale con Filippo Sala’ sabato e la ‘traversata Bormio-Livigno con party finale’ la domenica. Il pacchetto ‘bronzo’ comprende le attività di giovedì e venerdì al costo di 350 euro, quello ‘argento’ il programma a partire da venerdì a 480 euro e quello ‘oro’ tutte le attività a 570 euro.

Info e iscrizioni QUI

© Ski Trab


La settima sfida: Simone Moro torna sul Manaslu il 21 dicembre

L'alpinista bergamasco ci riprova dopo sei tentativi. Con lui Oswald Rodrigo Pereira e Nima Rinji Sherpa per un'impresa in stile alpino che guarda alle storiche spedizioni polacche degli anni '80

Simone Moro ha un rapporto di sincerità brutale con il Manaslu. Sei tentativi alle spalle tra il 2015 e il 2025, dieci anni di ritorni su quella montagna che non vuole concedersi. Eppure lui insiste: «Non è un'ossessione. Mi piace chiudere i cerchi senza forzare». Il 21 dicembre, inizio astronomico dell’inverno, ci riproverà a salire sull’ottava montagna più alta della Terra (8.163 metri).

«Il Manaslu rappresenta una storia che non ho ancora finito di scrivere» ha dichiarato Moro nella conferenza stampa che si è tenuta martedì 25 novembre nella sede milanese di Garmin Italia, partner tecnologico dell'alpinista da oltre un decennio. «Quest'anno proverò a trasformare quell'esperienza in una nuova opportunità. Non inseguo una ripetizione, ma un sogno che ancora non ha trovato la sua conclusione. Voglio scalarla in puro stile alpino: senza portatori, senza corde fisse, senza ossigeno».

 

 

Una cordata internazionale sulle tracce dei polacchi

Ad accompagnare Moro ci saranno l’alpinista e regista polacco Oswald Rodrigo Pereira e Nima Rinji Sherpa, alpinista nepalese classe 2006, già nel Guinness World Records per aver salito tutti i 14 Ottomila. Un team snello, in sintonia con lo stile esplorativo e con l’ambizione di proporre l’ascesa come una rivisitazione moderna delle grandi imprese polacche degli anni '80, l'epoca d'oro dell'invernale himalayano.

Dobbiamo infatti tornare al 1984, quando Maciej Berbeka e Ryszard Gajewski realizzarono la prima invernale del Manaslu. Due anni dopo, Jerzy Kukuczka e Artur Hajzer completarono lo storico concatenamento delle due cime del massiccio, il Pinnacolo Est (7.992 metri) e la vetta principale. Da allora quell'impresa non è più stata ripetuta, nemmeno nella stagione favorevole.

 

La coerenza dello stile alpino

Dopo 123 viaggi in Nepal e 22 spedizioni invernali, Moro vuole siglare la prima salita invernale in stile alpino puro: senza portatori, senza corde fisse, senza ossigeno e senza frazionare la salita. In passato ha rinunciato a una possibile vetta proprio per non tradire questi principi: «Sarei potuto arrivare in cima a condizioni che non volevo. Mi sono sempre fermato per pericoli manifesti, perché la mia prima regola è sempre stata quella di portare a casa la pelle. I sei tentativi non li vivo con rammarico. Tornare indietro significa posticipare il successo» ha spiegato. Simone Moro è l'unico alpinista al mondo ad aver raggiunto quattro cime di 8.000 metri in piena stagione invernale: Shisha Pangma (2005), Makalu (2009), Gasherbrum II (2011) e Nanga Parbat (2016). Con 19 spedizioni invernali all'attivo, rappresenta il punto di riferimento assoluto dell'alpinismo d'alta quota invernale. «Le salite precedenti erano state frazionate, secondo quello che viene chiamato stile himalayano leggero. Con lo stile alpino, invece, non si torna indietro, ma si prosegue aspettando con pazienza la finestra di bel tempo». Secondo il programma di Moro, la fase preliminare della spedizione prevede l'acclimatamento, con l'obiettivo di arrivare al Campo Base 2 del Manaslu il 21 dicembre già pronto per l'inizio della fase operativa della salita. «Parto leggero: zaino 11 kg, tenda 1 kg, 1.080 gr l’uno gli scarponi. Il cibo è un’opzione».

 

La sicurezza prima di tutto

Gli effetti del climate change non risparmiano neppure le grandi montagne della Terra. Il Manaslu, con i suoi cinque metri di precipitazioni annue, è una delle montagne più innevate, ma le manifestazioni climatiche brusche hanno trasformato il gigante himalayano, rendendolo imprevedibile e pericoloso, con un alto rischio di valanghe. Il potersi muovere in sicurezza diventa quindi la priorità.

Ma in tempi in cui l’intelligenza artificiale sembra poter risolvere ogni tipo di problema, Moro riporta l'attenzione sull'uomo. «Oggi si pensa che basti una buona strumentazione per raggiungere il risultato. Io dico che mi dà una mano per quella parte vulnerabile di me che non può basarsi solo sull’esperienza. La tecnologia mi permette di tornare se io sono in grado di tornare».

Per la settimana volta, Garmin Italia accompagnerà la spedizione con dispositivi dedicati alla navigazione e alla performance, tra cui il Fēnix 8 e il sistema satellitare inReach, che consente comunicazioni d'emergenza ovunque grazie al centro Garmin Response operativo 24/7.

«È sempre fonte di grande orgoglio essere al polso di Simone Moro durante le sue straordinarie spedizioni» ha detto Stefano Viganò, Amministratore delegato di Garmin Italia. «Le sue imprese rappresentano la più autentica prova sul campo per i nostri prodotti, che vengono poi messi a disposizione di chiunque abbia una sfida da perseguire. È lì che i nostri strumenti dimostrano davvero il loro valore».

La lezione del Manaslu è stata chiara: pazienza, capacità di fallire, consapevolezza dei propri limiti. «Il ghiaccio mi fa ancora paura, temo i crepacci e lì ce ne saranno di grandi e impossibili» ha ammesso Moro con onestà disarmante. «Se riesco ad arrivare a Campo 2 fuori dalla zona seraccata, dovrei farcela».

Il 21 dicembre inizierà il settimo tentativo. Senza sconti, senza compromessi.

 

© Simone Moro - Instagram


Skialper a Skimofestival

Le novità dell’edizione 2026, in programma dal 6 all’8 marzo

Appuntamento dal 6 all’8 marzo a Santa Caterina Valfurva con diverse novità, a partire dalle gite nell’area dei Forni.

Santa Caterina Valfurva si prepara ad accogliere, dal 6 all’8 marzo 2026, la terza edizione di Skimofestival, il primo festival italiano interamente dedicato allo scialpinismo. Un evento unico nel suo genere di cui anche nel 2026 Skialper sarà media partner. Dopo il successo dell’edizione 2025, che ha richiamato oltre 900 partecipanti, il festival torna con un format ancora più ricco, esperienziale e accessibile.

 

 

UN FORMAT CHE CRESCE
Organizzato da MagNet in collaborazione con Outdoortest.it e con il supporto delle Guide Alpine di Bormio, Skimofestival si distingue per un’offerta su misura, pensata per coinvolgere ogni tipo di appassionato, dal beginner all’esperto. Il cuore pulsante dell’evento restano le experience guidate, ma sono confermati i test di attrezzatura direttamente sul campo, con il supporto delle aziende e dei professionisti presenti.

NOVITÀ 2026
L’edizione 2026 introduce diverse novità. Per la prima volta agli stand verrà data la possibilità di vendere i prodotti testati e verranno definiti nuovi itinerari tecnici per un pubblico esperto nella zona della Valle dei Forni. Tra le innovazioni logistiche più attese, l’impianto di risalita diretto dal villaggio permetterà test più agili e ripetuti, mentre lo Skimo Palace, una tensostruttura riscaldata, servirà per accoglienza, ricambio scarponi, relax e info point.

 

 

FORMAZIONE
A Skimofestival 2026 saranno introdotte le Safety Academy: momenti di formazione aperta su sicurezza e autosoccorso, ideali sia per chi si approccia allo scialpinismo sia per chi cerca un aggiornamento tecnico. Non mancherà anche lo Skimo School Program, scuole di skialp dedicate ai principianti e a chi è in evoluzione tecnica e vuole acquisire nozioni da Guide Alpine certificate ed esperte di questo sport. Il corso darà agli entry level le nozioni sufficienti per permettergli di partecipare alle experience nei giorni successivi.

 

ESPERIENZE GUIDATE
L’evento offre una ricca scelta di experience divise per livelli: principiante, intermedio o esperto.

Tutte le attività sono consultabili nel programma, dove è possibile accedere ai dettagli delle experience – come l’esperienza richiesta, il dislivello, il prezzo, il giorno o i giorni di svolgimento e la Guida Alpina che accompagnerà il gruppo – e successivamente procedere all’acquisto di una o più attività inserite nel carrello.

Sul sito di Skimofestival le uscite sono già ripartite tra i livelli e sono disponibili alcune combinate – come lo Skimo School Weekend Pack, pensato per coloro che muovono i primi passi proprio nei giorni dell’evento ma non vogliono rinunciare a un’uscita facile. A partire dalla sera di giovedì 5 marzo e fino al primo pomeriggio di domenica 8 marzo gli appassionati di scialpinismo potranno partecipare alle uscite con le Guide Alpine di Bormio a un prezzo vantaggioso.

I principianti potranno invece apprendere le tecniche dello skialp nella Skimo School First Steps, mentre gli intermedi potranno affinare assetto e inversioni alla Skimo School Progression. Chi sceglierà una di queste due lezioni potrà eventualmente aggiungere l’uscita Skimo Easy (500 m D+), inclusa nel pacchetto Skimo School Weekend Pack, per consolidare le basi di quanto appreso il giorno precedente. Il tutto senza dimenticare di prendere parte allo Skimo Safety Camp, un modulo pratico di sicurezza ARTVA e valanghe. Quest’anno viene aggiunta inoltre la Skimo Olympic Night, un’uscita notturna sugli itinerari delle gare olimpiche in compagnia dei campioni locali (Antonioli, Boscacci e De Silvestro). Gli esperti potranno cimentarsi invece nella Skimo Challenge (>1.500 m D+) e nella Skimo Pro Peak, ben otto ore su una delle cime locali più belle.

skimofestival.com

 


McCandless Cup, la rivincita dell’Appennino

Dal 12 al 14 dicembre sulle montagne emiliane una sfida tra trekking invernale e goliardia

Tu e il tuo compagno, con zaino e pagaia, vi ritrovate in mano una mappa vergine. Avete pochi minuti per tracciare il sentiero riportato sulla mappa ufficiale, che verrà ritirata di lì a poco. Iniziate a chiedere indicazioni alle altre coppie di partecipanti e qualche aiuto qualcuno ve lo dà, ma qualcun altro no, perché ancora ricorda che partite come avversari. L'eccitazione per la sfida tiene tutti sulle spine. Siete divisi tra solidarietà e competizione.

Questa scena è quella che potreste vivere i prossimi 12, 13 e 14 dicembre alla dodicesima McCandless Cup, una sfida di trekking selvaggio a squadre di due persone, che si snoda su sentieri in ambiente montano ed è composta di molte prove da superare. L’organizzazione compone una squadra a sé stante che insegue il gruppo ed elimina i più lenti, i quali finiscono nella corsa non competitiva detta Competizione del Lambrusco. Lo stile è volutamente goliardico ma la fatica rimane parte integrante della corsa, e tutto ciò crea l’alchimia necessaria a dimenticarsi del mondo per qualche giorno e conoscere nuove persone e, forse, anche un po’ meglio sé stessi.

È venerdì sera e vi aspettano cinquanta chilometri da percorrere entro domenica pomeriggio. Centinaia di metri di dislivello. Il fango prima vi fa scivolare e poi vi risucchia gli scarponi. Sperate di aver riempito lo zaino solo con l'indispensabile. Iniziate la corsa e rimanete in due, fianco a fianco, al cospetto dei contorni sfumati dell'Appennino Tosco-Emiliano nella nebbia.

 

(foto ©Samuel Salini)

I ragazzi dell'Associazione La Nottola vivono la montagna a modo loro. «L'Appennino è sempre stato considerato il fratello minore delle Alpi» racconta Roberto Calzolari, speleologo e presidente. «Ambientiamo la corsa in un territorio molto selvaggio, a bassa frequentazione antropica, vuoto di strutture. I dislivelli sono importanti e i pericoli ci sono e non sono da sottovalutare.» Roberto, insieme ad altri colleghi di esplorazione e appassionati, vuole raccontare l'Appennino e promuovere la cura della natura attraverso l'esperienza diretta del territorio, possibilmente divertendosi. «Le relazioni sono la chiave per ottimizzare i processi di apprendimento» spiega Roberto. «Se hai vissuto il bosco e hai un legame affettivo con esso, se è un ambiente che ti piace, sarai tu il primo a prendertene cura. La corsa è un modo goliardico ma impegnativo di stare assieme, il tentativo di riconciliare uomo e natura».

La McCandless è impegnativa, si svolge in qualsiasi condizione atmosferica e non sempre c'è copertura telefonica. Il team di organizzatori però sa gestire molto bene anche la dimensione del gioco: lungo il percorso sono distribuiti diversi check-point che, con la scusa delle prove da superare, permettono ai membri dello staff di assicurare che tutti i partecipanti arrivino sani e salvi. I concorrenti devono risolvere enigmi, superare test di abilità e... affrontare l'inaspettato. Sii pronto a tutto!, si legge sulla home page del sito della corsa. «In una vecchia edizione, uno di noi era vestito da orso e chi riusciva a fotografarlo prendeva punti» racconta Roberto ridendo. E per mantenere alta l'attenzione, lungo tutto il percorso sono disseminati piccoli gettoni chiamati nottoline, i quali regalano altri punti aggiuntivi ma che, in realtà, sono nascosti apposta nei punti più panoramici e suggestivi, come a ricordare che, pur nella frenesia di una gara, è possibile fermarsi a osservare la bellezza.

«Vogliamo creare un'occasione di gioco per adulti, in un'epoca in cui difficilmente tra adulti ci si prende la libertà di giocare» aggiunge Roberto svelando i significati profondi dell'iniziativa. «Questo ci permette di lavorare sull'autoironia, degli organizzatori come dei partecipanti. Ognuno si porta le proprie fatiche da quando è nato, tutti facciamo fatica nelle relazioni, ci sforziamo di sentirci all'altezza, ci vorrebbe un po' più di compassione vicendevole. A volte una sfida in natura aiuta a sentirsi più vicini».

Il mistero è parte del gioco come lo sono i paesaggi, i saliscendi, le magnifiche aperture che, nei giorni tersi, permettono di vedere il mare e l'arco alpino semplicemente girando la testa. «Ho ritrovato le stesse grandi cavalcate, gli stessi panorami nel mio viaggio in Georgia» prosegue Roberto, la cui voce si accende. «In luoghi dove non arrivavano le automobili, ospitati nelle capanne dei piccoli villaggi, giungevano centinaia di turisti ogni giorno. Quindi mi sono chiesto, come mai non succede così anche sull'Appennino?».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa domanda raccoglie tutti i temi caratteristici della contemporaneità, come il turismo sostenibilie, la necessità di creare reti tra i produttori locali, la pianificazione di un'offerta turistica alternativa alle mete delle grandi speculazioni. La Nottola vuole rispondere con il valore di un cena fatta tardi la sera, tutti insieme, sotto il porticato di una vecchia chiesa mentre la pioggia detta il ritmo dei pensieri; con il rumore dei materassini la notte, con il camminare di primo mattino. E questo però, come le grandi visuali e gli orizzonti che si aprono e i crinali che si infilano nel bosco, è facile da raccontare. Molto meno lo è un orso seduto su un water in cima a un colle. Quello si deve vedere con i propri occhi.

Sito ufficiale: https://mccandlesscup.jimdofree.com/

Instagram: @mccandlesscup


Inseguendo le ombre di Benjamin Védrines 

A proposito di Piolets d’Or e del film sul record di velocità al K2

È fuori dubbio che sia l’uomo del momento nel mondo dell’alpinismo moderno, dove moderno sta per progressive, ma anche per poliedrico. Il problema è che trovare una definizione per Benjamin Védrines è difficile: alpinista? Atleta di endurance? Sciatore di ripido? La sua forza è proprio questa versatilità che sembra riunire in una singola persona un po’ di Ueli Steck, un po’ di Kilian Jornet e un po’ di Vivian Bruchez. Una forza che disorienta, se è vero che ha forzato la giuria dei Piolets d’Or a riconoscere una menzione speciale non per una singola impresa ma per tre anni di exploit. Una forza catalizzatrice, che solo i grandi protagonisti hanno. Lo si è visto martedì sera a Lissone dove l’atleta The North Face è stato ospite di DF Sport Specialist per la proiezione del docu-film Chasing Shadows, sul record di velocità al K2 del 2024. Una serata andata subito sold out, nella quale Védrines si è aperto senza reticenze alle domande di Simone Moro e del pubblico.

 

Prima della proiezione del film abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due battute con Benjamin sulla recente menzione speciale dei Piolets d’Or. Un’anticipazione del lungo e approfondito articolo che pubblicheremo su Skialper di gennaio, un vero e proprio longform in cui scoprirete tutto su Védrines, dai suoi esordi, al team che lo allena e ai dietro le quinte delle sue imprese e della sua vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

«È un segnale di apertura mentale - ci ha detto Védrines - sono rimasto molto sorpreso che venga menzionato anche il record di velocità al K2, che non rispetta del tutto i valori dei Piolets d’Or perché ci sono anche le corde fisse. Però penso che il mondo stia cambiando e probabilmente hanno capito che questo tipo di imprese possono allenare anche le altre capacità necessarie per l’alpinismo moderno. All’inizio, a essere onesto, mi sentivo un po’ a disagio per la menzione perché so che l’ambiente è molto sensibile e che qualcuno non sarebbe stato d’accordo con il riconoscimento, ma credo anche che evidenzi la mia versatilità che mi permette di migliorare molto il modo di affrontare altre imprese. Se vuoi provare un ottomila in stile alpino, farlo in stile misto è un ottimo allenamento, dopotutto le vie normali dei quattromila alpini sono sempre state utilizzate come allenamento. Certo, non posso dire che il K2 sia stato un allenamento, è stato un bel risultato dal punto di vista fisico e mentale».

 

Chasing Shadows, diretto da David Arnaud e girato da Sébastien Montaz-Rosset, tiene incollati allo schermo per 66 minuti, senza colpi di scena sensazionalistici, ma con uno sguardo privo di filtri e la filosofia della presa diretta che spesso si sono persi nel melting-pot di storytelling moderno. C’è la vita al campo base, ci sono le tende abbandonate e squarciate dal vento ai vari campi in quota, c’è la montagna, c’è il volo in parapendio dalla vetta, ma ci sono soprattutto le persone, a partire da Benjamin, naturalmente. Ci sono molte sequenze girate direttamente da Védrines con la action cam e c’è il fuoriprogramma del salvataggio di Marco Majori caduto in un crepaccio e debilitato, con Benjamin tra i protagonisti proprio dopo aver battuto il record di salita in velocità dal campo base avanzato alla vetta. Majori era presente in sala insieme a Tommaso Lamantia, anche lui protagonista al K2 (ha prestato a Benjamin parte dell’attrezzatura rubata). Ci sono le montagne e le loro ombre nella psiche inquieta di Védrines. La psiche inquieta di molti dei più grandi alpinisti della storia.

Un film da vedere.

 

© Sébastien Montaz-Rosset


Lo strano caso del signor Brian Wiens

Un uomo ha sciato ogni mese per 30 anni consecutivi. Sempre in Colorado

La moglie dice che è ossessionato. Lui, più semplicemente, appassionato. C’è assonanza, ma il significato è ben diverso.

Forse sono valide entrambe le definizioni se è vero che Brian Wiens la scorsa estate ha festeggiato 30 anni consecutivi di sci ogni maledetto mese. Per di più sempre in Colorado. Un’impresa che ha richiesto molta creatività proprio nei mesi estivi, quando Brian si è arrampicato, sci nello zaino, su per pietraie alla ricerca delle poche lingue di neve rimaste. Neve spesso più marrone che bianca, dalla consistenza di un gelato sciolto. Però, come un bagno nell’acqua fredda vale più di mille nuotate nel mare tiepido, anche una sciata conquistata, in pantaloncini corti, ha il suo perché. Il bello è che Brian ha creato qualche emule che è salito in maglietta e pantaloncini su una stretta lingua di neve con lui per festeggiare i 360 mesi di sci e mettere un puzzle in più al proprio personale record di mesi. Per arrivare a quota 360 ci vorrà ancora tanto, ma se sapranno essere caparbi come Brian, potranno anche loro festeggiare le nozze di perla con lo sci. Ogni maledetto mese.

 

© Brian Wiens


Italia K2: la versione inglese fa vedere con occhi nuovi il film della spedizione italiana all’Ottomila

Proiettata al Mestia International Short and Mountain Film festival, senza il retorico testo italiano diventa uno dei migliori docufilm di una spedizione himalayana dell’epoca

Della spedizione italiana al K2, nel 1954, si è scritto e detto di tutto. Eppure, più di settant’anni dopo, capita di venire a sapere particolari nuovi, vederla sotto luci diverse, che ci fanno capire meglio quanto abbia contato. Nella storia d’Italia (eppure mai è stata citata neppure nei sussidiari delle scuole medie, per non dire dei saggi sul dopoguerra) e in quella alpinistica. Lo si è visto l’estate scorsa quando, in occasione della quinta edizione del Mestia International Short and Mountain Film Festival, è stata proiettata la versione inglese, recentemente restaurata dal CAI, di Italia K2. Nulla di nuovo, si dirà, un film visto mille volte, anche in tv, e disponibile su youTube. Sì, ma rivederlo con il commento originale in lingua inglese lo rende un altro film. Il retorico e roboante testo italiano, che fu scritto – narra la leggenda – in una notte dal giovane cronista Igor Man, ce lo ha reso sempre pesante, una pellicola d’altri tempi, pregna di nazionalismo, come d’altronde ci si sarebbe potuti aspettare in quei primi anni Cinquanta. Le altre nazioni protagoniste di quell’inizio di corsa agli Ottomila non la raccontarono in pellicola – salvo i britannici all’Everest, ma il loro film è in gran parte ricostruito a posteriori sulle Alpi – ma i loro resoconti non si distinguono certo per carenza di patriottismo.

 

 

Ecco, Italia K2 nella versione inglese è invece un’altra cosa, un docufilm in stile BBC, asciutto, che racconta la salita senza indulgere a commozioni, pulito, obiettivo, perfino con meno accenti colonialisti. E anche le immagini riprendono quota. Il girato del cineoperatore ufficiale, il bolognese Mario Fantin, montato poi dal regista trentino Marcello Baldi, ridiventa quello che era, forse il miglior resoconto per immagini di una spedizione himalayana, o almeno di una spedizione dell’epoca. Un grandissimo lavoro di ripresa, cui diedero il loro apporto alpinisti digiuni di tecnica cinematografica, ma istruiti a dovere da uno straordinario Fantin, che pure portò la cinepresa ben oltre i seimila metri (e per la prima volta venne utilizzata, da Compagnoni e Lacedelli, sulla vetta di un ottomila). E un grande lavoro di montaggio, realizzato da un regista ingiustamente poco valutato dalla Cinecittà di allora, spesso identificato solo come autore di agiografiche pellicole cattoliche.

 

 

 

Il merito di questa rilettura va al Mestia Film Festival, diretto sul versante meridionale del Caucaso da Khatuna Khundadze, che il 31 luglio scorso – il giorno in cui gli italiani raggiunsero nel 1954 la vetta del K2 – ha costruito una splendida serata attorno alla pellicola, voluta dall’ambasciata italiana in Georgia – con la vice ambasciatrice Fabiola Albanese e l’addetta culturale Nino Kilosanidze – e messa in piedi da Aldo Audisio, già presidente del Museo Nazionale della Montagna di Torino. La rassegna di Mestia, capoluogo della Svanezia, è un piacevole viaggio nel tempo, una vacanza tra le montagne che riporta a una sorta di Chamonix di qualche decennio fa. Una sola main street, alberghi e b&b, ristoranti eccellenti a prezzi ridicoli, escursionisti soprattutto dal nord Europa - e tanti cinesi e giapponesi – le antiche torri di guardia patrimonio dell’Unesco e, a dominare tutto, alcune delle più belle montagne del Caucaso, l’Ushba su tutte. Si esce dal centro anche a piedi per ritrovarsi in una natura che in estate offre magnifici trekking di più giorni e d’inverno è un paradiso – ancora relativamente poco frequentato – del freeride e dello scialpinismo. Organizzare un viaggio sciistico (o escursionistico) non è difficile e soprattutto è poco costoso, almeno rispetto ad altre mete che oggi attraggono gli skialper, come la Norvegia. Le località attorno a cui muoversi sono Mestia, Ushguli (cittadina patrimonio Unesco), la stazione sciistica di Tetnuldi (14 km di piste e un’infinità di fuori pista, anche ripidi) e quella di Hatsvali. Questo per restare alla sola valle di Mestia. Vale il viaggio. La guida di riferimento, per l’inverno, è “Still Wild Georgia” di Oleg Gritskevich (Fatmap edizioni). https://mestiaff.com/


Banff Mountain Film Festival, dalla Mongolia a Chamonix

Les Moulin des Artistes vince la rassegna dedicata agli sport della neve, menzione speciale al film di Alexis Berg che parla della Spine Race

Si è concluso il 9 novembre il Banff Mountain Film Festival. La vittoria è andata, come sempre più spesso succede, a un film che non riguarda lo sci o l’alpinismo, ma la vita in montagna e le persone che affrontano le difficoltà dell’ambiente montano. Il Grand Prize è infatti andato a Iron Winter di Kasimir Burgess. Ambientato nella valle del Tsakhir, in Mongolia, racconta la storia del giovane Batbold e del suo amico Tsaaganna che si trovano a difendere un gregge di 3.000 cavalli durante uno degli inverni più rigidi mai registrati.

 

Il festival assegna ogni anno decine di riconoscimenti: Ambiente, Avventura, Mountain Sports, Mountain Culture, Climbing, Snow Sports, Best Feature Film, Best Short Film, Creative Excellence Award, Audience Choice Award. E poi ci sono le menzioni speciali della giuria. Tra questi premi la nostra curiosità è stata attirata da alcuni film, come Le Moulin des Artistes, premiato nella sezione Snow Sports. In un mulino del XVI secolo nella valle di Chamonix, Peter e Anati gestiscono Le Moulin des Artistes: un laboratorio di sci, uno spazio artistico e un luogo di ritrovo per spiriti liberi che condividono gli stessi ideali. A spiegare le motivazioni ch hanno portato a premiare il film di Pierre Cadot è il giurato Ben Sturgulewski: «Sembra che il mondo intero sia in fiamme, sia in senso letterale che figurato. Questo film sottolinea in modo eloquente la necessità dell'arte e della comunità per sostenerci nei momenti più difficili. Poeta con le parole e con il legno, un artigiano e sua moglie distillano la loro essenza nella produzione di sci, creando legami profondi all'interno del loro villaggio. In seguito, quella comunità li aiuta a superare una perdita inimmaginabile».

 

La giuria si è spinta a definire Old Man Lightning, il film premiato nella sezione Climbing, la migliore commedia sull’arrampicata. È sempre Ben Sturgulewski a segnalare le motivazioni: «Quello che inizia come un film apparentemente semplice e irriverente sull'arrampicata, si trasforma presto in una follia narrativa ricca di spunti. Diventa un'esplorazione delle profondità accecanti dell'ossessione e della futile resistenza umana alle devastazioni del tempo, soprattutto se uno nel corso della propria vita si è goduto almeno tre birre al giorno. Allo stesso tempo commedia esilarante e tragedia, sovverte i cliché dei film d'avventura incentrati sui successi e sull'eredità e ci ricorda che non è mai troppo tardi per scoprire la vera vocazione della propria vita».

 

Tra le due menzioni speciali, anche Run Again di Alexis Berg - fotografo che ha pubblicato anche su Skialper -. Dave Pen è il cantante degli Archive, una rock band inglese che da trent'anni riempie le sale più grandi d'Europa. A 45 anni, Dave è alla ricerca di una nuova prospettiva di vita. Si iscrive alla gara di corsa più dura d'Inghilterra, la Spine Race invernale di 460 chilometri. «Alla ricerca di una nuova prospettiva di vita, un uomo di mezza età intraprende la sfida più dura della Gran Bretagna: una gara di 460 chilometri in condizioni invernali estreme - dice la giurata Dina Mufti -. Quella che inizia come una prova di resistenza diventa un viaggio alla riscoperta di se stesso. Con una splendida fotografia e una colonna sonora distintiva, il film cattura la bellezza, il dolore e la perseveranza: è più di un semplice film su una gara». Da segnalare anche The Last Expedition (Best Feature Film). Diretto da Eliza Kubarska, il film esplora la scomparsa di Wanda Rutkiewicz, una delle prime donne alpiniste ad aver scalato le vette più alte della Terra, indagando attraverso registrazioni audio e un viaggio himalayano della regista (a sua volta alpinista) la misteriosa morte della protagonista.

© BANFF

© copertina di Paul Zizka


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