Si può condensare in una fotografia la gioia di una linea disegnata con naturalezza su un minuscolo canale tra le rocce? È più difficile che farlo in un film come Roots, ma il foto racconto delle discese di Sam Anthamatten, Yann Rausis e Simon Charrière tra le Dolomiti è un’ottima eccezione

Testo e foto Matteo Agreiter

Lo sguardo si era posato diverse volte su quella linea stretta e dritta, un canalino ripido, a metà della Forcella Pordoi, proprio sotto il Sass Pordoi. Ho sempre pensato che nessuno l’avrebbe mai sciata. Troppo stretta, difficile ridurre la velocità e riprendere il controllo. Quel primo giorno, con la neve che luccicava per il rigelo, non mi era neppure passato per la testa quel pensiero ricorrente. Invece Sam, appena l’ha vista, non ha esitato nemmeno un minuto. È sceso come una scheggia, senza una curva; poi, sul duro finale, una leggera piega per frenare, in tutta sicurezza. Incredibile. Ancora più incredibile quando ci ha confidato di aver dimenticato gli scarponi in posizione walk. Non potevo credere ai miei occhi. Sam non è altro che Sam Anthamatten. All’inizio di marzo ce lo siamo ritrovati in casa insieme a Yann Rausis, che con il suo short movie From Source sta facendo parlare il mondo dello sci di montagna, e Simon Charrière, freerider ma soprattutto artista perché, oltre a disegnare scie nella neve, le pennella su tela e su carta, con grande maestria. Lo ha fatto anche per Skialper con le cover interne del numero dello scorso giugno. Insieme a loro, Etienne Mérel e Steph Guins, regista e aiuto del nuovo film del The Faction Collective, Roots. Nel loro curriculum, dopo l’ultimo giro in Dolomiti, possono scrivere anche 10.000 metri di dislivello positivo in dieci giorni, con telecamere, teleobiettivi e droni nello zaino. 

A inizio marzo le montagne luccicavano sotto il sole per quanto la neve era ghiacciata. L’ultima nevicata era un miraggio. L’inverno ci aveva viziati, ma poi velocemente tutto sembrava cambiato. Una di quelle sere, mentre eravamo seduti davanti alla stufa a scaldarci un po’, è suonato il telefono e ha risposto mio padre Manuel. Dall’altra parte c’era uno dei ragazzi di Faction, da Verbier. Volevano fare qualche ripresa per un film tra le Dolomiti e cercavano una Guida alpina. Tra me e me ho pensato: ottima idea, ma, con tutta la polvere che abbiamo avuto, devono venire proprio adesso? Non abbiamo fatto in tempo a metabolizzare quell’ottima idea che da Verbier hanno confermato il viaggio, nonostante il problema della neve e io mi sono proposto come fotografo di scena. L’idea iniziale della produzione era di andare a sciare canali a Cortina nell’anno della pandemia, con tutto chiuso e tanta neve. Però io e mio padre la pensavamo diversamente. Nelle tranquille serate davanti alla stufa di un inverno senza turisti abbiamo deciso di proporre qualcosa di diverso: canali e canalini nei dintorni di Corvara e del gruppo del Sella, a casa nostra. Linee raramente sciate, alcune probabilmente inedite, anche perché di difficile accesso se non si conosce molto bene la zona. Spot che neanche noi local avevamo mai preso in considerazione e che avevamo riscoperto in quell’inverno così tranquillo e tanto innevato. 

L’appuntamento con quella versione ridotta del Collective, solo qualche giorno dopo, era a Colfosco, da Mary, mia zia, che gestisce un piccolo B&B di fronte alla famosa Val Misdé. In ladino significa Valle di Mezzogiorno perché, proprio a quell’ora, tutte le pareti, sia quelle di destra che quelle di sinistra, vengono completamente illuminate dal sole. Quale migliore presagio per dare il benvenuto a Sam e Simon? Tra appassio- nati basta uno sguardo per capirsi e per condividere la gioia semplice di una curva nel posto giusto, così, senza troppo convenevoli, siamo partiti subito alla ricerca di canali e Sam, come una calamita, è stato attratto da quella linea incredibile. Abbiamo giocato con la luce accarezzando le ombre e gli ultimi raggi del sole che si insinuano tra le fessure, incendiando la dolomia, fino a quando la notte ci ha costretti a rientrare per accogliere Yann, che non poteva arrivare prima. Basta poco per essere felici, basta un istante, da vivere intensamente, con tutte le energie. I giorni con Sam, Yann, Simon, Etienne e Steph sono volati via veloci in una routine sempre uguale, ma mai noiosa. Su per canali come dei camosci, giù con scioltezza cercando di comporre l’opera nel migliore dei modi, dalla mattina alla sera. Poi un panino tra un sorriso, una battuta e lo sguardo che si perde nel silenzio delle Dolomiti. Sul Sella, sopra Colfosco, tra torrioni di roccia che sembrano messi lì per trovare la migliore composizione dell’immagine, tra penombre, sagome, sfumature sul bianco della neve disegnate da un pennello immaginario. La sera con una bottiglia di birra tra le mani a guardare le foto della giornata. Le notti a selezionare gli scatti migliori tra quelle migliaia di immagini, tutte buone. Una sera abbiamo deciso di fermarci in un rifugio per produrre materiale con la luce morbida del tramonto, che mette ancora più in risalto le pareti verticali. Non è facile fare ricorso all’originalità quando, come fotografo, ti trovi di fronte alla grande bellezza, immortalata troppe volte, da tanti.

L’occhio e l’obiettivo rischiano di rimanere abbagliati, ma se sai lasciarti commuovere e isolarti da tutto il resto per cogliere l’attimo, anche il dito che preme sullo shutter sembra farsi più leggero. Se ripenso a quei giorni, ad avermi impressionato più di tutto sono lo stile, la solidità e la costanza con la quale Sam & co. sciavano linee così tecniche. Non importa se fossero canalini improba- bili o linee estetiche scelte sul momento, tutto sembrava così naturale. La forza di un grande sciatore sta nell’affrontare con lo stesso ritmo tutto quello che l’universo innevato gli propone, senza mai scomporsi, senza mai trasmettere la minima esitazione o fare trasparire la preferenza per un pendio. Lo sciatore completo unisce curve e trick e la montagna diventa un grande parco, con ostacoli naturali. Me ne sono reso conto quando siamo saliti con gli zaini e le frontali sulla ferrata Lipella, passando anche nelle gallerie scavate dai soldati durante la Grande Guerra. Dopo qualche curva, è partita la serie dei salti e sono scappati anche due backflip. E si è fatta subito sera… Per fortuna abbiamo trovato degli operai delle strade che ci hanno dato un passaggio, con gli sci ammassati sul cassone, tra cemento e badili! Il meglio spesso viene alla fine. Non so se è successo per caso o se nella mia testa e in quella di mio padre avessimo già deciso così da subito, ma gli ultimi giorni siamo rimasti nel giardino sopra casa, al Franz Kostner al Vallon, il rifugio che gestiamo in estate. In fin dei conti la nostra filosofia era proprio questa: partire alla scoperta di linee poco o meno conosciute. Divertirsi senza andare lontano. Dopo i classici, le nuove hit. Due giorni di ricerca e di scoperta. Per trovare un po’ di powder dell’ultima nevicata ci siamo calati in doppia su un versante nascosto e protetto dal sole, tra grandi massi e cornici bianche. Purtroppo Simon è dovuto partire per Chamonix per un altro progetto e si è perso la chicca finale, quella che, da sola, potrebbe dare un senso a una settimana di pellate. Quel giorno, lo ammettiamo, ci siamo fatti trainare un po’ da alcuni amici con la motoslitta e poi siamo saliti nell’anfiteatro della conca del Vallon, con il Piz da Lech, il Sasso delle Dieci e quello delle Nove che sorvegliavano la nostra traccia dall’alto. Per me sono le montagne più belle del mondo, ma sono di parte. Spesso le intuizioni arrivano quando meno te lo aspetti e così abbiamo subito visto una linea molto estetica che Sam ha scelto ed è diventata l’immagine di copertina di Roots, che pubblichiamo a pagina cinque di questo numero di Skialper. Si tratta di un taglio nella roccia molto esposto, che pende verso il vuoto. Inutile dire che una caduta non poteva fare parte delle opzioni. L’ultimo tratto era molto stretto, gli sci sarebbero potuti passare solo dritti. È stata una sciata in grande controllo e sicurezza, ma ormai eravamo abituati e lo stupore aveva lasciato posto alla certezza. Proprio quest’estate, passando di lì con i tubi per captare l’acqua dalla cascata e portarla al nostro rifugio, ho notato di nuovo quel taglio nella roccia, l’ho fotografato e ho mandato la foto ai ragazzi perché sembrava proprio impossibile da sciare. Però alla fine non sono pochi i canali che in estate sembrano insciabili e poi…

Quel sei di marzo il nostro obiettivo principale era un altro: un canale che divide la conca in due e fa arrivare sull’altro versante, nella zona sopra Colfosco, proprio in Val Misdé. Dopo esserci calati, Etienne e Steph e io abbiamo trovato uno spazio dove appostarci per fotografare e filmare senza dare nell’occhio. Curva dopo curva, siamo arrivati alla base. Danni collaterali: due schianti dei droni, uno dei quali disperso e cercato per ore, risalendo a piedi mezzo canale. Quando vedrete le incredibili riprese fatte in quel canale (una piccola preview la trovate già nel trailer di Roots) saprete che cosa c’è dietro a qualche secondo di immagini adrenaliniche…

La sera, in sauna da Mary, è venuta l’ispirazione per il nome da dare a uno di quegli ultimi canali scesi: Sauna couloir, what else? Ancora lessati dalla sauna, la mattina seguente siamo partiti con due furgoni verso la Marmolada. Questa volta i danni collaterali sono stati uno specchietto rotto tra i muri di neve e i resti delle piccole valanghe cadute ai margini della strada. Per mio padre e me era l’ultima chance per svelare la magia delle Dolomiti ai nostri nuovi amici, mentre le punte dei ramponi si aggrappavano al ghiaccio della cresta. Il sole che pian piano è apparso da dietro la cima illuminava una piccola porzione di neve e roccia sulla punta più alta, preludio a un’altra discesa indimenti- cabile, due scatti che mi convincono molto ogni volta che li riguardo e qualche salto in un canyon dolomitico. La sera, a casa, abbiamo aperto una buona bottiglia di vino per brindare a tutti i bei momenti vissuti insieme. Mentre sto finendo di scrivere questo articolo guardo un disegno appeso nel soggiorno di casa. Rappresenta tre sciatori sulle pareti innevate nella zona del Pisciadù. È firmato Simon Charrière e ce l’ha regalato l’ultima sera, prima di rientrare. Cristallizza in qualche tratto e sfumatura le emozioni di un inverno che non dimenticheremo mai. Con gli impianti fermi e così irreali, immobili nel panorama bianco, ci siamo spinti a sciare posti un po’ fuori dal comune. L’abitudine e il comfort non aiutano la curiosità. E forse è meglio così. Noi siamo stati felici e sicuramente c’è qualcun altro là fuori che ha condiviso la gioia con noi. Non so se le immagini di questo articolo e Roots sapranno trasmettere tutto quello che abbiamo vissuto, ma guardatelo.

È proprio una gran figata.

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