«Se fossimo a Grenoble questa domanda non me l’avresti fatta». La risposta, seppur con toni gentili, è di quelle che ti spiazzano. Un attimo di pausa e aggiunge: «è normale non trovare lavoro sotto casa, diciamo che i nostri collaboratori arrivano da un cerchio che ha un raggio anche superiore ai venti chilometri, come avverrebbe a Grenoble o a Chambery». Come, abbiamo fatto 321 chilometri nella pioggia e nella nebbia, ci siamo arrampicati fin quassù a 900 metri di quota tra boschi e mucche che pascolano, nella vallée du trail, per sentirci dire che essere qui o in una città per un’azienda simbolo del mondo del trail e del fast & light nella natura è la stessa cosa? Sul tavolo ci sono prototipi di zaini e di bastoni buttati lì alla rinfusa, alla parete pettorali ingialliti della Diagonale des Fous, maglie da running in cornice e una campana tibetana. Siamo nell’ufficio di Benoît Laval, fondatore e CEO di RaidLight, a Saint-Pierre-de-Chartreuse, mille anime e un’atmosfera bucolica. Sembra di essere in un film di Claude Chabrol, nella Francia più profonda. Anche l’hotel Beau Site sembra uscito da un quadro d’antan e quando siamo arrivati in camera, nella notte del 15 di maggio, i caloriferi erano accesi. Qui, a parte la famosa certosa e il verde liquore, non c’è nulla. A parte la RaidLight e la prima station de trail al mondo.

©Andrea Chiericato

Passi il municipio e sulla sinistra, sotto il bosco, c’è un grande prato con una costruzione moderna, con ossatura in legno, e 240 metri quadrati di pannelli fotovoltaici. Dal 2011 è il quartier generale di RaidLight che proprio quest’anno festeggia i 20 anni. A Saint-Pierre-de-Chartreuse, se sei l’anima di un marchio affermato come RaidLight, non ci arrivi per caso. «Questo è vero, come è vero che RaidLight è cresciuta insieme alla mia carriera di trail runner». Laval è uno dei primi corridori off road. Originario della regione parigina, laureato in ingegneria tessile a Lille, ha iniziato subito a correre. Un po’ di tutto, pista, strada, siepi. Però c’erano tre cose che lo incuriosivano: la natura, la difficoltà e la distanza. Ecco perché ha sentito il richiamo della montagna e si è trasferito vicino alle Alpi ed ecco perché dalle siepi è passato alla Diagonale des Fous e alla Marathon des Sables. Le soddisfazioni non sono mancate con un podio a La Réunion e la maglia della nazionale francese di trail. «Però non ho fatto il trail runner e successivamente creato un marchio, ma è venuto tutto insieme: prima ho lavorato per un’azienda che produceva zaini per conto terzi, poi ho iniziato ad aggiungere tasche e personalizzare i prodotti per i miei raid e nel 1999 è nata la RaidLight». Dopo qualche anno sono in cinque a cucire zaini, poi diventano dieci. Intanto Benoît consuma tante suole (e continua a consumarle) in giro per il mondo. «Non avrei corso in posti così lontani senza la RaidLight e la RaidLight non sarebbe quello che è senza i miei viaggi, andare in Giappone per incontrare il distributore locale e correre una gara ultra ti permette di conoscere a fondo le abitudini dei runner di quel Paese».

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Con la crescita bisogna cambiare quartier generale e le idee sono chiare: andare in montagna, dove si possa uscire dall’ufficio in pausa pranzo e provare subito i prototipi degli zaini sui sentieri. Vengono presi in esame ben 50 comuni, in tanti fanno ponti d’oro, ma la RaidLight verrebbe confinata nella zona industriale. Invece Benoît vuole che l’azienda abbia le porte scorrevoli in entrata e in uscita verso il paese e i trail runner. La nuova sede deve essere anche il cuore della prima station de trail, un concetto innovativo oggi replicato in un’altra trentina di località in tutto il mondo. Il motto del marchio è share the trail running experience, condividi l’esperienza del trail running. E la condivisione, partage in francese, è alla base della filosofia e del successo di RaidLight, anche ora che fa parte di un grande gruppo come Rossignol che fattura oltre 300 milioni di euro. Il sogno si è trasformato in realtà, con 40 delle 55 persone impiegate che lavorano a Saint-Pierre-de-Chartreuse e 15.000 visite all’anno alla station de trail.

©Andrea Chiericato

Diciamolo, Raidlight è uno di quei posti dove un outdoor addicted vorrebbe lavorare e la condivisione non è una trovata del direttore marketing. Una di quelle aziende modello in vetta alle classifiche del dove si lavora meglio. Produce zaini, bastoni, abbigliamento e scarpe per trail e raid (e dal 2019 verrà rinnovata completamente tutta la linea di scarpe) e per entrare negli uffici bisogna passare dal negozio che vende tutti i prodotti, ma affitta anche E-bike e attrezzatura da scialpinismo in inverno. Subito all’ingresso ci sono delle grandi mensole con decine di scarpe da trail, zaini e bastoni. Non le affittano, se vieni a fare trail puoi provare tutto gratuitamente. Da un lato c’è un grande schermo touch che riproduce gli itinerari trail della stazione, con mappa tradizionale o satellitare e tutti i dati. Dall’altra parte un altro schermo è collegato direttamente con il sito e permette, appena tolte scarpe e zaini, di inserire la propria scheda test del prodotto. Di fronte la macchinetta del caffè, dove dipendenti e turisti possono scambiare quattro chiacchiere e condividere le loro esperienze. Dall’altra parte dell’ingresso c’è la palestra con i tapis roulant per correre quando c’è brutto tempo, ma soprattutto ci sono spogliatoi, docce e armadietti. Anche qui è tutto in condivisione, ci vengono i dipendenti quando vanno a correre o a fare skialp in pausa pranzo, ma con un paio di euro possono usufruirne gli utenti della station de trail e lasciare anche il portafoglio o le chiavi dell’auto. La partenza degli itinerari e le mappe sono proprio all’ingresso, sotto il porticato.

©Andrea Chiericato

La condivisione, nell’era del web e dei social media, ha diversi risvolti e direzioni. C’è il trail runner che arriva in negozio ed esce con un prototipo da provare e c’è quello che propone via web prodotti nuovi. Dalla sezione team del sito (team.it.raidlight.com), infatti, si accede al R&D collaborativo, dove ci sono dei forum su argomenti specifici e ognuno può proporre la sua idea. Periodicamente vengono anche organizzati dei workshop in azienda per personalizzare i propri prodotti con utenti selezionati. Da questa processo è nato, per esempio, lo zaino Evolution 2. Ci sono muri che dividono, ma per fortuna non tutti. All’ingresso del reparto R&D sorgerà un muro dei post-it dove ogni dipendente potrà mettere il suo personale foglietto con un’idea prodotto. Sorgerà in una stanza dove ci saranno tessuti e macchine di prototipazione in modo che chiunque lavori in RaidLight, se ha un’idea, possa provare a svilupparla con le sue mani. «Condividere vuol dire ascoltare chi pratica il trail, non solo gli atleti top – aggiunge Laval -. Per esempio il primo bastone ripiegabile lo abbiamo lanciato sul mercato noi, ma è un’idea che arriva da un nostro cliente che ci ha proposto di commercializzarlo, invece le tasche sugli spallacci degli zaini per mettere i flask sono arrivate dalla collaborazione con Marco Olmo».

La condivisione è ormai una pratica collaudata a Saint-Pierre-de-Chartreuse e sul web. Ma nella testa di Benoît Laval ci sono altre sfide. Mentre parliamo ha tra le mani un iPhone. «Vedi questo smartphone? Ha solo due tasti, è il massimo dell’ergonomia e del design, se avesse tanti tasti non sarebbe così. Noi abbiamo fatto lo stesso ragionamento quando abbiamo iniziato a produrre una linea di zaini in Francia. Meno può significare meglio». Quella della produzione in Francia è un’altra bella sfida vinta da RaidLight e la possiamo toccare con mano scendendo al piano terra. Qui nel 2013 è stato creato un atelier per la produzione di zaini che impiegava 3 persone che sono già diventate 10. Sono tutte del paese o di molto vicino, ma non c’erano più le competenze tessili e per questo il lavoro di formazione è stato importante. A oggi l’88 per cento degli articoli di Raidlight e della sorella Vertical (abbigliamento e zaini per hiking e skialp) sono prodotti all’estero, da qui possono uscire circa mille zaini al mese e dal 2015 la produzione è stata di circa 24.000 pezzi. Una finestra guarda sul negozio in modo che anche dal punto vendita si possa osservare la produzione: anche questa è condivisione. Quando si è deciso di produrre in Francia la sfida ha riguardato tutto il processo industriale. «Abbiamo ridotto le ore di lavoro manuale, che sono quelle che incidono di più sui costi, pensando a prodotti minimalisti e utilizzando le tecnologie più all’avanguardia, come le macchine per il taglio laser dei tessuti» dice Laval. A Saint-Pierre-de-Chartreuse vengono realizzati i modelli top di gamma come il Responsiv 10, perché meno vuol dire meglio. Non è un laboratorio di prototipazione, ma una vera linea industriale dalla a alla z utilizzata soprattutto quando gli zaini vengono lanciati sul mercato e non raggiungono quantità che giustifichino una produzione in Cina. E poi l’atelier è il cuore dell’ultima idea RaidLight: la personalizzazione della grafica del proprio zaino Responsiv 10L o 18L o della fascia Pass-Mountain. Dal sito si accede alla sezione customise it dove si inserisce la foto che si vuole sublimare sul prodotto. E in tre settimane il prodotto è a casa del cliente. Share the trail running experience.

VETERANO DEL TRAIL – Classe 1972, è dal 1999 che Benoît Laval calca i sentieri del trail e soprattutto dei grandi raid e ancora oggi non si fa mancare tre-quattro gare all’anno, in giro per il mondo. Nel palmarès un terzo posto alla Diagonale des Fous e un nono alla Marathon des Sables, oltre alla maglia della nazionale francese di trail. Ha iniziato con il Défi de l’Oisans, ma non si è fatto mancare nulla, neppure il vertical sull’Empire State Building o sulla Tour Eiffel o la 100 km su strada e i 400 km del deserto del Gobi. «Quello che mi è sempre piaciuto dei trail e dei raid è la possibilità di viaggiare e scoprire nuovi paesaggi» dice. Viaggiare, cambiare ogni volta, ma una gara è rimasta nel cuore. «La Diagonale des Fous, per il paesaggio, per il pubblico». Benoît è uno dei più competenti osservatori della trasformazione del mondo del trail negli ultimi 20 anni.«È vero, è cresciuto, una volta oltre i 100 km c’era solo la Diagonale, oggi ogni fine settimana c’è una cento miglia, il calendario andava da aprile a ottobre, oggi non c’è pausa e ci sono gare che sono diventate dei veri e propri business. Però si trovano ancora eventi basati sul volontariato e i tempi dei top non sono tanto diversi, è cambiata la densità di atleti forti e per questo una volta arrivavi tra i dieci all’UTMB e oggi con la stessa prestazione no, ma perché in tanti hanno crono simili, non perché le performance siano cambiate molto».

IL DREAM TEAM – RaidLight ha un Dream Team di atleti top che comprende, oltre al fondatore Benoît Laval, Nathalie Mauclair, Antoine Guillon, Christophe Le Saux, Elisabet Barnes e Rachid El Morabity. Tutti atleti di grande valore e con palmarès importanti. Nathalie tra il 2013 e il 2017 ha portato a casa i trofei di due Diagonale des Fous, una TDS, una UTMB, due medaglie d’oro ai Mondiali di trail, due secondi posti alla Marathon des Sables e il terzo posto a UTMB, Hardrock 100 e Western States. Antoine Guillon, tra le tante gare dal 2002, può vantare ben sei podi e una vittoria alla Diagonale des Fous e quattro alla TDS, oltre a un terzo posto al Tor des Géants e una vittoria al Grand Raid du Cro-Magnon. Elisabet Barnes? Basta dire che ha vinto due volte la Marathon des Sables… Christophe Le Saux ha corso e continua a correre in tutto il mondo e in Valle d’Aosta lo conoscono bene visto che è stato due volte terzo e una volta secondo al Tor des Géants. Infine, last but not least, Rachid ha vinto sei Marathon des Sables, delle quali le ultime cinque consecutivamente. Non esiste solo il Dream Team però, perché ognuno, tramite il sito, si può iscrive al team e diventare parte della grande comunità RaidLight. E poi c’è il Chartreuse Trail Festival, a fine maggio, un insieme di gare, compreso un simpatico color trail per bambini e famiglie, che attirano un migliaio di persone tra questi monti. E gli atleti del Dream Team. Curiosamente tutti i top sono degli anni ’70, se si esclude la Barnes, del ’77, ed El Morabity, anni ’80, gli altri sono dell’inizio del decennio. In pratica coetanei di Laval. «È un caso, non li ho conosciuti in gara, a parte Le Saux, li abbiamo scelti perché incarnano l’idea di trail come avventura prima ancora che come sport e vittoria o perché, come Nathalie, sono persone comuni, madri di famiglia con un lavoro che hanno saputo arrivare al vertice; per intenderci anche Kilian rientrerebbe in questa categoria di atleti amanti della natura prima di tutto» dice Laval.

Presentazione della nuova collezione di Radlight con Christophe Le Saux

STATIONS DE TRAIL – Saint-Pierre-de-Chartresue è la prima di una trentina di station de trail, un concept che prevede itinerari suddivisi per difficoltà e segnalati, servizi come docce e spogliatoi, un sito e una app con cartografia e la community dove è possibile condividere i propri giri e allenamenti. Nella Chartreuse ci sono itinerari da 6 a 30 km, un vertical, uno stadio del trail con percorsi studiati per l’allenamento, dalle ripetute ai circuiti per la velocità e la resistenza. Le altre destinazioni sono in Francia, Belgio, Svizzera, La Réunion, Cina e Spagna.
stationdetrail.com

Presentazione della nuova collezione di Radlight con Christophe Le Saux