Nel progetto ‘From Zero To

Nico Valsesia ce l’ha fatta. Per il suo progetto ‘From Zero To’ ha completato domenica l’ascesa no-stop del monte Elbrus, partendo dal mare di Sochi. Il percorso prevedeva la partenza sulle rive del Mar Nero, con una pedalata di circa 650 km fino ad Azau, a 2600 metri di quota, quindi il percorso a piedi fino alla cima della montagna, la vetta più alta della Russia è considerata anche (secondo la scuola che pone i confini continentali in corrispondenza della catena del Caucaso) la vetta più alta d’Europa.
Ecco il racconto dell’impresa dal suo sito www.nicovalsesia.com
è stata durissima, molto più del previsto e molto più di ogni altro record precedente; ma anche questa volta Nico ce l’ha fatta. Alle 12.28 ha raggiunto la cima dell’Elbrus dopo essere partito, alle 4.33 del mattino del giorno precedente, dalla cittadina di Sulak, sul Mar Caspio, 5642 metri più in basso (anzi, 5671, considerato che il Caspio sta in una depressione a – 29 metri sul livello del mare) e 525 km lontano.
Non è stato facile, dicevamo: tanto che alla fine, quando Nico è sceso dalla funivia che lo ha riportato a valle, molti del team avevano gli occhi umidi dalla commozione.
Ma raccontiamo le cose con ordine: prima di tutto un po’ di dati. Partito alle 4.33 del mattino del 25 giugno dalla località di Sulak, sul mar Caspio (una depressione in ogni senso, sia perché si trova a meno 29 metri di quota, sia perché è una cittadina di raro squallore), Nico ha pedalato per 510 km fino a raggiungere alle 00.50 il villaggio di Azau, ai piedi del monte Elbrus, a 2350 metri di altitudine. Ci aspettavamo già che fosse una salita impegnativa e faticosa… Ma non pensavamo tanto: prima 400 km di nastro d’asfalto drittissimo e piatto, con temperature che nel corso della giornata hanno raggiunto i 35 gradi e con un traffico infernale, disordinato e pericolosissimo che non perdonava un solo istante di distrazione; poi con 100 km di valle caratterizzata da continui saliscendi spaccagambe e una serie di strappi con pendenze davvero impegnative, tanto da portare il dislivello positivo totale, nei nostri primi calcoli approssimativi, a oltre il doppio dei 2000 metri di quota guadagnati.
Così, Nico è arrivato nella notte ad Azau davvero provato. A creare problemi, oltre alla stanchezza generale, era soprattutto lo stomaco: dopo aver vomitato lungo la strada, per lo sforzo e per il freddo, non è riuscito a dormire neppure per l’ora e mezza prevista, a causa della nausea e del malessere. E quando si è alzato il suo aspetto era davvero pessimo: nessuno del team, inclusi quelli che lo avevano accompagnato alla RAAM, lo aveva mai visto in simili condizioni, e si iniziava ad avere forti dubbi sul fatto che riuscisse anche solo a rimettersi in cammino, per non parlare di completare un’ascensione tanto lunga e impegnativa come quella che lo aspettava. Ma tant’è, Nico è Nico: alla fine, dopo il trattamento di Luca (osteopata e capo spedizione) e una minestra calda faticosamente deglutita, alle 3.20 è ripartito a piedi per la seconda parte del percorso: 15 km di salita alla vetta del monte Elbrus, a 5642 metri di altezza.
Da quel momento in poi, nel corso della notte i collegamenti si sono interrotti: Nico è salito con la sua frontale, e gli aggiornamenti successivi li abbiamo avuti solo verso le 5 del mattino, quando è stato avvistato da Massimo (uno dei due cameraman saliti in quota la sera prima, che lo aspettava a 3500 metri). “Avanza molto lentamente”.
Da lì in avanti, è difficile rendere il senso di confusione e preoccupazione dell’intera mattinata. Luca, alla base di Azau, riceveva aggiornamenti via whatsapp da Massimo, che a quota 4000 era a sua volta in contatto radio con Nico (che stava salendo molto faticosamente) e con il secondo cameraman Alberto (che, dopo aver passato la notte in rifugio, si stava avviando verso la vetta per essere raggiunto da Nico nell’ultimo tratto). Ma le notizie sulla condizione fisica dei due erano frammentarie e preoccupanti, i black out della linea frequenti, l’impossibilità di valutare se Nico e Alberto fossero in grado di proseguire quasi totale…e nel frattempo le ore passavano e i rischi nel raggiungere la vetta aumentavano.
Mai come questa volta è stata una questione di testa e di volontà, assai più che di fiato e di gambe: Nico e Alberto, nonostante tutto, si sono incontrati, si sono dati la carica a vicenda e alla fine, alle ore 12.28, hanno raggiunto la cima, fissando così il tempo totale della prestazione di Nico a 31 ore e 55′ (“questa volta ho proprio raschiato il fondo del barile” è stata una delle prime frasi di Nico in vetta, stremato.
Tutto è bene ciò che finisce bene: il meteo, perfetto, ha continuato a tenere, e dalla base è stato organizzato il recupero dei due a quota 5100 con un acrobatico gatto delle nevi
’.