Il racconto della nuova campagna ASICS attraverso la voce del pluripremiato maratoneta Stefano Baldini

Da sempre ASICS promuove lo sport come attività in grado di generare effetti positivi sul corpo e sulla mente (ASICS non è altro che l’acronimo di Anima Sana In Corpore Sano). Alcuni mesi fa il brand ha lanciato la campagna New Personal best, con la quale propone una reinterpretazione del concetto di record personale in chiave di benessere e non di prestazione. 

Per troppo tempo il mondo dello sport ci ha chiesto di spingere sempre al massimo, andare oltre i nostri limiti e non fermarci davanti nulla, insegnandoci che quello che conta è ottenere un risultato migliore degli altri. Questo, a lungo andare, ha contribuito a creare una cultura intimidatoria che ha allontanato molti praticanti dall’esercizio fisico. Con New Personal Best ASICS vuole ribaltare la situazione, celebrando i benefici dell’attività fisica non solo per il corpo ma anche per la mente, perchè un personal Best non è un numero, ma una sensazione.

Abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Stefano Baldini, ambassador del brand e portavoce della campagna.

Pics by @Agnese Carlotta Morganti

Ciao Stefano, tutti ti ricordiamo come IL maratoneta, colui che ci fece sognare, emozionare, trattenere il respiro, addirittura piangere di gioia…Una carriera di successi per un atleta amato da tutti, ma chi è oggi e cosa fa Stefano Baldini?

 

Oggi mi occupo ancora di sport, dalle telecronache televisive di atletica al testare materiali nuovi che utilizzeremo per il nostro benessere attraverso il running. E poi alleno atleti e atlete agonisti, mi diverto molto.

 

Come molti altri atleti hai seguito il percorso naturale che ti ha portato a diventare Coach, come è stato questo passaggio? Come è cambiata la tua vita?

 

All’inizio mi sono occupato per diversi anni delle nazionali giovanili come Direttore Tecnico della Federazione di atletica con un ruolo più manageriale e mai avrei pensato di allenare sul campo sportivo tutti i giorni, anche perché so bene che è difficile per un ex atleta di alto livello diventare anche un buon allenatore. Invece mi sto trovando bene, seguo circa 20 atleti, alcuni dei quali professionisti a tempo pieno e anche molte ragazze, è bello vederli migliorare.

 

Quale è la parte più complessa dell’essere allenatore? E quale invece quella più soddisfacente?

La parte complessa è essere credibile, creare un percorso chiaro e trasparente che i ragazzi possono interpretare e aiutarti a cambiarlo giorno dopo giorno attraverso il confronto quotidiano. Gli atleti mettono nelle tue mani i loro sogni, è una grande responsabilità, ed è bello accompagnarli in questo percorso. Oltre al programma tecnico, il coach si occupa della risoluzione dei problemi, e metto a disposizione la mia esperienza nel settore.

Come vedi il futuro delle lunghe distanze nell’atletica leggera? Quanto più in là si potrà ancora spostare l’asticella dei risultati? Quanto la prestazione è e sarà influenzata dalla tecnologia e dai materiali?

 

La prestazione è oggi molto influenzata dai materiali, tanto che ormai parliamo più di quelli che di metodologia di allenamento, che resta la base fondamentale della prestazione sportiva. A mio parere ci sono tanti margini di miglioramento sia sulle calzature in termini di mescole e piastre in carbonio ma anche nell’organizzare le gare. In alcuni paesi, come ad esempio la Spagna, che gode di un clima molto favorevole e di una tradizione di running ben strutturato, si va a correre sapendo che le condizioni saranno quasi sempre al top, mi piacerebbe avvenisse anche in Italia.

 

Parliamo di Asics: come nasce il tuo rapporto con il brand e perché hai scelto proprio Asics?

 

Nasce da lontanissimo, ormai 25 anni fa. Nel momento della maturità psicofisica di un atleta di alto livello, i guadagni marginali fanno la differenza. Cercavo un brand che mi mettesse addosso il meglio sia per cercare la prestazione, ma anche la sicurezza di allontanare il pericolo di infortuni attraverso la sua qualità e di essere un po’ coccolato e supportato. E siamo ancora qui a parlarne, vuol dire che ci siamo trovati bene giusto?

 

 ‘A Personal Best is not a number. It’s a feeling’ recita il claim della campagna Asics dei cui valori sei portatore. Detto da un Atleta del tuo calibro che per anni si è allenato duramente per raggiungere proprio un numero potrebbe sembrare incoerente, ma sappiamo che invece tutto ha un senso. Raccontaci quale è la tua interpretazione di questo slogan, e cos’è per te un personal best oggi. 

 

Come filosofia personale ho sempre cercato il divertimento, anche quando inseguivo la massima prestazione. L’ho fatto attraverso la scelta delle persone che ti circondano, in grado di farti vivere più serenamente il quotidiano, accettando i tuoi limiti di oggi cercando di migliorarti per spostarli un po’ più avanti. Oggi il mio Personal Best è lo stesso, vorrei sentirmi migliore di ieri. Anche se una cosa l’ho fatta bene, vorrei farla meglio, questo è un bel primato personale da raggiungere.

 

Tutti sappiamo che se non esistessero i numeri (e quindi degli obiettivi) l’atletica, ma in generale tutti gli sport, non sarebbe evoluta come lo è oggigiorno. Eppure anche nel raggiungimento di questi obiettivi si può trovare il proprio modo per star bene. Quali sono i tuoi consigli per stare bene anche quando l’allenamento è sofferenza, sacrificio fatica? 

 

Se fosse semplice realizzare un sogno, raggiungere un obiettivo personale o di squadra, la soddisfazione sarebbe a metà. A me piace il viaggio, il percorso che ci porta a tagliare quel traguardo, con una visione a medio-lungo termine che alimenta le nostre motivazioni giorno dopo giorno.

 

Il motto ‘No pain no gain’ è sempre stato alla base del raggiungimento della prestazione, se dovessi inventare uno slogan per i tuoi atleti, quale sarebbe?

 

Preferisco un più gustoso “trust the process”, il fidarsi della mappa che abbiamo scelto per arrivare al nostro personal best.

 

Restiamo terra a terra, proprio per dimostrare che tutti possiamo fare sport e trarne beneficio anche senza essere atleti professionisti, e senza necessariamente indossare un orologio mentre pratichiamo attività. Nella tua carriera da atleta sei sempre stato molto ligio alle regole, all’alimentazione, hai sempre evitato i vizi non necessari…ma siamo sicuri che, da normale essere umano, ogni tanto non hai resistito a quel desiderio inarrestabile. Quale era lo sgarro che Stefano Baldini si concedeva ogni tanto?

 

Vengo da una terra, l’Emilia Romagna, dove cibo e motori sono molto importanti, e quelli erano gli sgarri. Uno, il tornare a casa dopo una gara o un periodo di allenamento all’estero e far visita a quella gran cuoca di mia madre che sapeva rendere speciali anche le pietanze più semplici. L’altro, far uscire dal garage e accendere ogni tanto la moto che avevo ma che sapevo di dover usare col contagocce.

 

Quale è il tuo sogno nel cassetto?

 

Sogno di veder crescere i nostri giovani con la voglia di vivere e inseguire un Personal Best, il sale vero di ogni giornata.