«Ho avuto l’onore di sfidare i due più grandi runner della natura degli ultimi decenni, Kilian Jornet e Jonathan Wyatt e, se guardo indietro, i due episodi chiave della nostra rivalità sportiva sono stati entrambi al monte Kinabalu, in Malesia, a pochi chilometri di distanza uno dall’altro. C’è una legge del contrappasso: nel 1999, ai Mondiali di corsa in montagna, abbiamo duellato tutta la gara con Jonathan, poi lui, su una salita, è partito e non sono riuscito a tenere il ritmo. Dopo un po’ l’ho visto accasciato a terra, a pagare quello sforzo, e mi sono trovato al collo una medaglia d’oro insperata. Nel 2011 ho patito una delle sconfitte più brucianti: avevo tre minuti di vantaggio su Kilian e davanti a me una discesa per gestire il vantaggio; ancora oggi non riesco a capacitarmi di come abbia potuto raggiungermi e superarmi prima del traguardo».

A parlare è Marco De Gasperi, intervistato dal direttore responsabile di Skialper, Claudio Primavesi, sul numero 136 della rivista, in edicola ora. Un anno ricco di novità quello della leggenda della corsa in montagna. Da carabiniere, con il tanto agognato posto fisso, a manager di uno dei marchi più famosi del mondo outdoor, SCARPA. E in dodici mesi difficili ha corso tanto, ma in un modo diverso da prima. Dal suo arrivo ad Asolo, ad aprile 2020, nel pieno di una pandemia, a maggio 2021, sono arrivate nei negozi ben quattro scarpe nuove. Così quella con Marco è stata una chiacchierata a 360 gradi, dalle scarpe da trail all’ultra-running. Ecco un paio di anticipazioni.

Come sarà la scarpa del futuro? 

«Conta il cushioning, conta il rebound, ma credo che nel mondo del trail non si possa prescindere dalla precisione, non tanto o solo in punta, ma all’altezza del collo del piede, indipendentemente dalla filosofia che si utilizza per raggiungere il risultato».

Cosa cambia tra corto e veloce e lunghe distanze, dal punto di vista di chi arriva dalla corsa in montagna e dalle skyrace?

«Ho grande rispetto per i più forti atleti ultra anche se a volte si è portati a credere che le prestazioni non siano così eccezionali e che allungando le distanze si possano mescolare le carte. Non è così: prendi l’UTMB, ci sono una ventina di atleti top eppure ne arrivano al traguardo sempre pochi, non perché non siano preparati, ma perché le variabili che rendono difficile la lettura della gara sono tantissime e gli outsider che si mettono in mostra non lo fanno per demerito dei big. Cambia l’approccio all’allenamento, la crisi non la puoi eliminare, ma devi allenarti a resistere, a superarla nel più breve tempo possibile. Quello che rende tutto più difficile è che è ancora una disciplina in fase di studio, a livello di conoscenze siamo come negli anni Ottanta per la maratona».

© Federico Ravassard