Tragiche coincidenze in due episodi distinti
Due incidenti spaventosi, con alcuni elementi in comune al punto di creare equivoci tra il primo ed il secondo, ed altri così differenti da non permettere di assimilarli, quasi come se fossero accaduti su due montagne differenti.
La prima cordata è caduta verso le 8.30, in discesa, di ritorno sui propri passi dalla cima che aveva raggiunto per la normale. La seconda è caduta dopo le 13.30, sempre scendendo per la normale dalla vetta. L’aveva però raggiunta per la Nord classica, che non è mai una salita per improvvisati dato che il suo accesso resta comunque uno zoccolo marcio piuttosto verticale di IV su misto delicato, miseramente proteggibile.
Dalle notizie raccolte, anche da testimoni oculari che però hanno assistito da lontano (dal rifugio Casati), la dinamica è stata simile per i due incidenti. Difficile dire cosa abbia provocato di preciso la caduta di uno dei rispettivi componenti delle due cordate, che poi hanno trascinato i compagni legati alla stessa corda: inciampo? zoccolo sotto i ramponi? distacco dello spesso strato di neve recente mai perfettamente consolidata con quella vecchia, riconoscibile dai depositi di sabbia e pollini precedenti alle forti precipitazioni di fine maggio?…proprio solo in questi ultimi giorni molti pendìi in zona e ad altitudini simili si sono liberati di quello strato, eccezionale per il periodo ed ora fradicio fino alla base in assenza del rigelo notturno (che invece agiva, fuori stagione, fino a una settimana fa).
Sta di fatto che in entrambi i casi le cordate procedevano di conserva, come sempre si fa su quel pendìo. La conserva resta il modo classico di procedere su tratti lunghi di terreni facili ma pericolosi. Le alternative (tiri di corda, conserva distesa protetta) sono sempre troppo lente e sproporzionate a quel terreno. Non si sa se in questo caso gli alpinisti, nei punti di innesco della caduta, camminassero su ghiaccio o neve, ma in questo secondo caso sarebbe praticamente impossibile proteggersi anche decidendo in tal senso.
I soccorritori hanno parlato di assetto corretto e attrezzatura adeguata da parte delle vittime degli incidenti. Quindi resta quel famoso nodo di cui è sempre difficile parlare perché implica l’ammissione di un bug tecnico che diventa anche etico, che tutti conoscono e su cui tutti preferiscono soprassedere in presenza di non addetti ai lavori: la conserva classica (sprotetta) potrebbe essere abbastanza efficace solo a determinate condizioni e fatta con la massima attenzione. Ma non garantisce nulla. Su lunghi pendìi mediamente ripidi in ghiaccio, o peggio in neve, è sicurezza teorica ma più spesso si trasforma in elemento di rischio. Può essere meglio procedere slegati, e ultimamente è la scelta consigliata ‘istituzionalmente’, per non trascinare nella caduta anche i compagni di cordata. A condizione di avere il grado, cioè di muoversi con padronanza – tutti – su quel determinato terreno.
Considerazione pragmatica, quest’ultima, ma non così facile da ammettere sotto l’aspetto dell’etica di montagna e di cordata. Meglio uno che tre, certo, ma chi lo racconta a casa di quello che non c’è più? Da queste considerazioni non sono del tutto esenti neppure i professionisti che sanno gestire la conserva alla perfezione e in tutte le sue declinazioni. Restano spesso costretti alla scelta tra un rischio maggiore e uno minore, che sempre rischi rimangono.
Andrebbe fatta un’altra considerazione: sale in montagna molta più gente di una volta. Su tante montagne c’è affollamento anche su vie alpinistiche, dove si procede a tiri. Quando una settimana fa è caduta la valanga del Tacul, da Chamonix sono saliti due elicotteri con 20 soccorritori pur senza aver ricevuto richieste di soccorso. Per fortuna era scesa verso le 8 del mattino, l’orario ‘morto’: quelli che salivano erano già passati, per quelli di ritorno era ancora presto. Ma alla Gendarmerie si aspettavano il peggio: su quella via normale salgono a centinaia ogni giorno della settimana, e negli scorsi anni si sono registrate proprio lì delle vere e proprie stragi. Così come sotto il Col Maudit, e al Petit Plateau sopra i Grand Mulets…
A poche centinaia di metri dal G.Z. c’è l’Ortles con la sua Nord: una salita in ghiaccio relativamente facile pur essendo una via alpinistica, ma lunga ed espostissima ai pericoli oggettivi cui si si resta sottoposti per ore. Negli ultimi anni, incidenti mortali ogni stagione. Praticamente una roulette russa, eppure ci vanno sempre decine di cordate.
Purtroppo la giornata nera del Gran Zebrù (preceduta qualche anno fa da un’altra simile, e da altri incidenti mortali che hanno coinvolto singolarmente meno alpinisti) non è la prima e non sarà l’ultima, se la frequentazione della montagna continuerà ed aumenterà come prevedibile.