Proiettata al Mestia International Short and Mountain Film festival, senza il retorico testo italiano diventa uno dei migliori docufilm di una spedizione himalayana dell’epoca
Della spedizione italiana al K2, nel 1954, si è scritto e detto di tutto. Eppure, più di settant’anni dopo, capita di venire a sapere particolari nuovi, vederla sotto luci diverse, che ci fanno capire meglio quanto abbia contato. Nella storia d’Italia (eppure mai è stata citata neppure nei sussidiari delle scuole medie, per non dire dei saggi sul dopoguerra) e in quella alpinistica. Lo si è visto l’estate scorsa quando, in occasione della quinta edizione del Mestia International Short and Mountain Film Festival, è stata proiettata la versione inglese, recentemente restaurata dal CAI, di Italia K2. Nulla di nuovo, si dirà, un film visto mille volte, anche in tv, e disponibile su youTube. Sì, ma rivederlo con il commento originale in lingua inglese lo rende un altro film. Il retorico e roboante testo italiano, che fu scritto – narra la leggenda – in una notte dal giovane cronista Igor Man, ce lo ha reso sempre pesante, una pellicola d’altri tempi, pregna di nazionalismo, come d’altronde ci si sarebbe potuti aspettare in quei primi anni Cinquanta. Le altre nazioni protagoniste di quell’inizio di corsa agli Ottomila non la raccontarono in pellicola – salvo i britannici all’Everest, ma il loro film è in gran parte ricostruito a posteriori sulle Alpi – ma i loro resoconti non si distinguono certo per carenza di patriottismo.

Ecco, Italia K2 nella versione inglese è invece un’altra cosa, un docufilm in stile BBC, asciutto, che racconta la salita senza indulgere a commozioni, pulito, obiettivo, perfino con meno accenti colonialisti. E anche le immagini riprendono quota. Il girato del cineoperatore ufficiale, il bolognese Mario Fantin, montato poi dal regista trentino Marcello Baldi, ridiventa quello che era, forse il miglior resoconto per immagini di una spedizione himalayana, o almeno di una spedizione dell’epoca. Un grandissimo lavoro di ripresa, cui diedero il loro apporto alpinisti digiuni di tecnica cinematografica, ma istruiti a dovere da uno straordinario Fantin, che pure portò la cinepresa ben oltre i seimila metri (e per la prima volta venne utilizzata, da Compagnoni e Lacedelli, sulla vetta di un ottomila). E un grande lavoro di montaggio, realizzato da un regista ingiustamente poco valutato dalla Cinecittà di allora, spesso identificato solo come autore di agiografiche pellicole cattoliche.
Il merito di questa rilettura va al Mestia Film Festival, diretto sul versante meridionale del Caucaso da Khatuna Khundadze, che il 31 luglio scorso – il giorno in cui gli italiani raggiunsero nel 1954 la vetta del K2 – ha costruito una splendida serata attorno alla pellicola, voluta dall’ambasciata italiana in Georgia – con la vice ambasciatrice Fabiola Albanese e l’addetta culturale Nino Kilosanidze – e messa in piedi da Aldo Audisio, già presidente del Museo Nazionale della Montagna di Torino. La rassegna di Mestia, capoluogo della Svanezia, è un piacevole viaggio nel tempo, una vacanza tra le montagne che riporta a una sorta di Chamonix di qualche decennio fa. Una sola main street, alberghi e b&b, ristoranti eccellenti a prezzi ridicoli, escursionisti soprattutto dal nord Europa – e tanti cinesi e giapponesi – le antiche torri di guardia patrimonio dell’Unesco e, a dominare tutto, alcune delle più belle montagne del Caucaso, l’Ushba su tutte. Si esce dal centro anche a piedi per ritrovarsi in una natura che in estate offre magnifici trekking di più giorni e d’inverno è un paradiso – ancora relativamente poco frequentato – del freeride e dello scialpinismo. Organizzare un viaggio sciistico (o escursionistico) non è difficile e soprattutto è poco costoso, almeno rispetto ad altre mete che oggi attraggono gli skialper, come la Norvegia. Le località attorno a cui muoversi sono Mestia, Ushguli (cittadina patrimonio Unesco), la stazione sciistica di Tetnuldi (14 km di piste e un’infinità di fuori pista, anche ripidi) e quella di Hatsvali. Questo per restare alla sola valle di Mestia. Vale il viaggio. La guida di riferimento, per l’inverno, è “Still Wild Georgia” di Oleg Gritskevich (Fatmap edizioni). https://mestiaff.com/
