A proposito di Piolets d’Or e del film sul record di velocità al K2
È fuori dubbio che sia l’uomo del momento nel mondo dell’alpinismo moderno, dove moderno sta per progressive, ma anche per poliedrico. Il problema è che trovare una definizione per Benjamin Védrines è difficile: alpinista? Atleta di endurance? Sciatore di ripido? La sua forza è proprio questa versatilità che sembra riunire in una singola persona un po’ di Ueli Steck, un po’ di Kilian Jornet e un po’ di Vivian Bruchez. Una forza che disorienta, se è vero che ha forzato la giuria dei Piolets d’Or a riconoscere una menzione speciale non per una singola impresa ma per tre anni di exploit. Una forza catalizzatrice, che solo i grandi protagonisti hanno. Lo si è visto martedì sera a Lissone dove l’atleta The North Face è stato ospite di DF Sport Specialist per la proiezione del docu-film Chasing Shadows, sul record di velocità al K2 del 2024. Una serata andata subito sold out, nella quale Védrines si è aperto senza reticenze alle domande di Simone Moro e del pubblico.
Prima della proiezione del film abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due battute con Benjamin sulla recente menzione speciale dei Piolets d’Or. Un’anticipazione del lungo e approfondito articolo che pubblicheremo su Skialper di gennaio, un vero e proprio longform in cui scoprirete tutto su Védrines, dai suoi esordi, al team che lo allena e ai dietro le quinte delle sue imprese e della sua vita.
«È un segnale di apertura mentale – ci ha detto Védrines – sono rimasto molto sorpreso che venga menzionato anche il record di velocità al K2, che non rispetta del tutto i valori dei Piolets d’Or perché ci sono anche le corde fisse. Però penso che il mondo stia cambiando e probabilmente hanno capito che questo tipo di imprese possono allenare anche le altre capacità necessarie per l’alpinismo moderno. All’inizio, a essere onesto, mi sentivo un po’ a disagio per la menzione perché so che l’ambiente è molto sensibile e che qualcuno non sarebbe stato d’accordo con il riconoscimento, ma credo anche che evidenzi la mia versatilità che mi permette di migliorare molto il modo di affrontare altre imprese. Se vuoi provare un ottomila in stile alpino, farlo in stile misto è un ottimo allenamento, dopotutto le vie normali dei quattromila alpini sono sempre state utilizzate come allenamento. Certo, non posso dire che il K2 sia stato un allenamento, è stato un bel risultato dal punto di vista fisico e mentale».
Chasing Shadows, diretto da David Arnaud e girato da Sébastien Montaz-Rosset, tiene incollati allo schermo per 66 minuti, senza colpi di scena sensazionalistici, ma con uno sguardo privo di filtri e la filosofia della presa diretta che spesso si sono persi nel melting-pot di storytelling moderno. C’è la vita al campo base, ci sono le tende abbandonate e squarciate dal vento ai vari campi in quota, c’è la montagna, c’è il volo in parapendio dalla vetta, ma ci sono soprattutto le persone, a partire da Benjamin, naturalmente. Ci sono molte sequenze girate direttamente da Védrines con la action cam e c’è il fuoriprogramma del salvataggio di Marco Majori caduto in un crepaccio e debilitato, con Benjamin tra i protagonisti proprio dopo aver battuto il record di salita in velocità dal campo base avanzato alla vetta. Majori era presente in sala insieme a Tommaso Lamantia, anche lui protagonista al K2 (ha prestato a Benjamin parte dell’attrezzatura rubata). Ci sono le montagne e le loro ombre nella psiche inquieta di Védrines. La psiche inquieta di molti dei più grandi alpinisti della storia.
Un film da vedere.
© Sébastien Montaz-Rosset
