Le vere avventure dovrebbero avere una parte riservata alle incognite e all’improvvisazione. È quello che cerca Hélias Millerioux, lo si legge nei suoi occhi. Guida, alpinista, sciatore, soli 32 anni e un curriculum top con ottomila, ascensioni di alto livello in giro per il mondo, discese estreme, spedizioni e viaggi nei quattro continenti per esplorare i luoghi più verticali del pianeta. Insieme a Frédéric Degoulet e Benjamin Guigonnet, Hélias Millerioux nel 2018 è stato insignito dl Piolet d’Or in seguito alla loro nuova linea sulla parete Sud del Nuptse: 2.200 metri di ghiaccio e roccia, terreno tecnico a oltre 7.000 metri. Nell’ultimo inverno, dopo avere partecipato l’anno precedente alle riprese del film Zabardast, eccolo sul Mount Logan, nello Yukon. Andrea Bomida l’ha intervistato per noi sulle nevi del Monte Bianco, ecco una piccola anticipazione. L’articolo completo è sul numero 126 di Skialper di ottobre-novembre.

A proposito di sci, il Mount Logan di quest’anno?

«L’idea del Mount Logan, 5.959 metri, in Yukon, mi frullava in testa fin da prima: volevo un’avventura. È la montagna più alta del Canada, la seconda in Nord America dopo il Denali, ed è molto vicina al confine con l’Alaska. Nel corso di un’altra spedizione avevo visto quel fiume di ghiaccio: volevo risalirlo, scalare, sciare. Qualcosa di divertente e allo stesso tempo avventuroso. Per il Logan avevamo una mappa, un punto di inizio e uno di fine: il resto spettava a noi! Alla partenza eravamo io, Thomas Delfino, Alexandre Marchesseau e Grégory Douillard, una guida fluviale, visto che volevano tornare scendendo il fiume sul lato opposto della montagna fino al mare e su una canoa fino ad allora avevo passato solo un pomeriggio in vita mia. Abbiamo deciso di partire dal Malaspina Glacier dopo essere atterrati a Yukutat. Piccolo aneddoto: il secondo giorno uno sciamano locale è venuto per scacciare gli spiriti cattivi che aleggiavano su di noi: pare che il giorno prima ci fosse stata una curiosa coincidenza tra il canto di un uccello e l’abbaiare di un cane, segno di grande sventura, o almeno qualcosa del genere. È un ghiacciaio enorme, guarda questo punto sulla cartina, sembra stretto: beh, saranno dieci chilometri!. Siamo partiti con una slitta e zaini da 35 chili per ciascuno con l’idea di stare fuori più di un mese e mezzo. Avevamo programmato otto giorni fino al campo base, ma ne abbiamo impiegati il doppio. Siamo arrivati in un punto dove il ghiacciaio, largo quasi 15 chilometri, era insuperabile, un dedalo di crepacci che con le nostre slitte trainate a sci ci avrebbe richiesto troppo tempo e altrettanti rischi. Siamo riusciti a superarlo risalendo delle montagne sui suoi fianchi: sulla mappa erano definite hill, colline. Ma ci sono voluti due giorni. Abbiamo deciso di salire e provare a sciare la Cresta Est del Mount Logan: ci abbiamo impiegato dieci giorni ed essere lenti ma continuare a salire anche con tempo non ottimale è stata una delle chiavi del successo. L’altra è stata la decisione di costruire sempre delle grotte nella neve per i bivacchi. In cave fa più caldo, non c’è il pericolo che il vento te la rovini e sei protetto dai pericoli: è stato vincente e, una volta rodati, ci impiegavamo solo un paio d’ore a costruirla con delle buone pale in alluminio! Una volta in cima, siamo scesi per l’itinerario di salita. Una cresta prima immensa e poi un filo che s’insinua in una parete di seracchi. L’ho percorsa tutta in sci a eccezione di due sezioni troppo affilate, per un totale di trecento metri lineari».