Qualcuno le ha definite l’Oregon italiano. Con le dovute differenze, bisogna ammettere che le Marche sono un territorio piuttosto selvaggio e dimenticato dove si può ancora trovare un po’ di spazio per avventure e corse di molte ore in totale solitudine. Tutti conoscono le strade bianche e le colline della Toscana, ci vivono i pro del ciclismo e ci sono molti eventi ma, quando parli delle Marche, è già tanto se il tuo interlocutore riesce a collocare la regione nella cartina geografica.

Le Marche, nel bene e nel male, sono un posto lasciato a se stesso. Nella stessa giornata puoi esaltarti per la scoperta di luoghi che al Nord sarebbero giostre per turisti a pagamento e puoi rabbrividire vedendo i cacciatori sparare a qualsiasi cosa gli capiti sotto tiro indisturbati, magari fuori stagione di caccia, senza che nessuno muova un dito. Io le Marche non è che le odio o le amo, mi è solo capitato di nascerci. Non nutro nessun sentimento di particolare attaccamento al luogo da cui provengo. Credo di essere una di quelle persone che non si fa grossi problemi a dire senza campanilismi quali sono le cose belle e quelle brutte del posto in cui vivo. Insomma, non starò qui a sostenere che le montagne delle Marche sono quasi come le Dolomiti, perché non lo sono. Non starò a raccontare la favola dell’oasi perfetta: basta fare un giro sui Sibillini e veder giacere a terra piloni di funivie mai entrate in funzione (e invece di ragionare sul rimuoverle si teorizza ancora sul potenziamento degli impianti di risalita). Però vi posso assicurare che, se non avete mai visto la fioritura delle lenticchie a giugno o sciato un canale dei Sibillini in inverno, vi state perdendo qualcosa. E poi esistono anche luoghi ancora più remoti e nascosti dei Sibillini, per esempio Esanatoglia.

© Elisa Bessega

Siamo tutti un po’ malati del più

Quando lavoravo per un’azienda che produce scarpe, una volta una signora mi chiese il costo degli scarponi d’alta quota. Li voleva comprare sul momento, seppure il costo di listino fosse alto e ovviamente non si effettuasse vendita di scarponi da 8.000 metri a un festival in pieno centro a Milano. Le chiesi se andasse in montagna e mi rispose che entro qualche mese sarebbe partita per l’Everest. Le domandai quali altre montagne avesse scalato: la sua esperienza alpinistica si limitava a una salita della Marmolada con l’ausilio della funivia (aveva camminato meno di un chilometro). Perché voleva andare sull’Everest, tralasciando il fatto che sarebbe stata ovviamente una salita fatta con sherpa, bombole dell’ossigeno e farmaci contro il mal di quota? Perché è la più alta. Questo è ciò che chiamo la sindrome del più. Ecco, se sei alla caccia del più qualcosa, non ti trovi nel luogo giusto.
A Esanatoglia non ci sono montagne più qualcosa di altre; la quota rimane sempre sotto i 1.500 metri. Non ci sono località balneari famose nelle vicinanze (il mare è a 70 chilometri), non ci sono location che si prestano come sfondo per foto su Instagram o didascalie da claim aziendale di industrie del fitness, profumi o auto sportive. Ed è proprio per questo che amo Esanatoglia. Qui le montagne e le colline non sono (ancora e spero mai) giostre per turisti portati in autobus a depredare il territorio e comprare souvenir e non esistono tutte quelle strutture simbolo del turismo non sostenibile delle Alpi, i belvedere in cemento o i kindergarden, i baracchini di patatine fritte e gli hotel di lusso per i russi. Esanatoglia, ma un po’ tutta la zona dell’entroterra marchigiano, permette di vivere giornate piuttosto reali, senza troppi fronzoli. Il rovescio della medaglia è ovviamente che per qualsiasi cosa devi arrangiarti. Se vuoi passare un giorno correndo, devi essere preparato al fatto che i sentieri potrebbero interrompersi nel nulla, che potresti trovarci trappole di bracconieri o filo spinato ad altezza collo e devi essere autosufficiente quando ti muovi. Questo aspetto si rispecchia nelle attività di manutenzione dei sentieri e in generale di salvaguardia del tuo sport: se ci tieni, devi rimboccarti le maniche. Esanatoglia è sempre la mia prima scelta per correre un po’ di chilometri nel bosco senza troppi patemi d’animo.

© Elisa Bessega

Esanatoglia

C’è ancora un piccolo borgo di meno di 2.000 anime in cui tutti si conoscono, la gente corregge il caffè al bar con il Varnelli e le vecchiette ti chiedono di chi sei il figlio. Un paese a 70 chilometri dall’autostrada, circondato da colline e montagne e lontano dai grandi flussi turistici, dalla tecnologia all’avanguardia e dai ritmi di vita esasperati delle metropoli. E poi sentieri, tantissimi sentieri, tutti curati e mantenuti in modo impeccabile, chilometri di single track nel bosco segnalati alla perfezione dove è impossibile perdersi: per avere la cartina, gratuita, basta andare a chiederla al tabacchino del paese. Questa oasi curata e tenuta sempre in condizioni perfette è opera dell’olio di gomito di Leopoldo Giordani e dei suoi soci appassionati di mountain bike che nel corso degli anni hanno iniziato a prendersi cura dei sentieri locali, rimettendoli in funzione e segnalandoli con segnavia in legno, fino alla loro ultima creazione, l’Esatrail Supehero, ovvero il collegamento di molti dei sentieri in un giro unico: 90 chilometri e 4.000 metri di dislivello positivo. Ecco ritornare il mantra: se ci tieni, devi rimboccarti le maniche. Il percorso è diviso in 12 checkpoint, ognuno di essi ha una piccola foratrice con un design diverso. Chi lo vuole, può acquistare la tessera per collezionare i 12 timbrini (10 euro) e dimostrare il proprio passaggio. Se riesci a percorrere il giro in un giorno vieni premiato al bar con una coppa, in due con una medaglia.

Morbido e selvaggio

Non mi dilungherò troppo sul percorso, perché oltre a trovare traccia ed esauriente descrizione sul sito esatrail.it, la cosa migliore da fare è partire per un giro. I fondi dei sentieri sono prevalentemente morbidi, ci sono strade forestali sterrate e qualche passaggio più roccioso. In alcune sezioni si trova un po’ di esposizione, ma niente di realmente pericoloso. Ci sono tantissime fonti d’acqua, che sono comunque segnate sulla cartina e sulle tabelle segnavia. Occhio solo a un paio di cani maremmani in una fattoria in frazione Sant’Angelo, ma incontrare dei cani pastori fa comunque parte dell’esperienza; per il resto bisogna solo metterci le gambe e godersi il viaggio.

Il mio Esatrail

La mia concezione di corsa va nella direzione di cercare di ridurre il superfluo il più possibile e portare con me solo il necessario. Non sono un grande pianificatore, non avevo idea del tempo che avrei potuto impiegare per correre questo percorso, quindi il materiale era più o meno lo stesso che uso sempre, anche in allenamento: un paio di pantaloncini, una t-shirt che ho utilizzato poco in quanto ho quasi sempre corso a torso nudo, due borracce a mano da mezzo litro, occhiali da sole e un cappello con visiera. Un paio di Hoka Speedgoat 2 (una vecchia versione) con su oltre 700 chilometri e un vecchio marsupio dove avevo infilato cinque gel e cinque Snickers completavano il mio assetto.

Sono partito al mattino presto dopo aver dormito in macchina, alle 5:17 ho fatto scattare il cronometro. Dopo pochi minuti di salita, evidentemente ancora assonnato, sono inciampato, cadendo in avanti, e ho rotto una delle borracce a mano, quindi ho proseguito per diverse ore tenendola stretta in discesa e incastrandola nell’elastico dei pantaloncini in salita. Tenete presente che quando ho fatto il giro (una settimana prima del lancio ufficiale) mancavano dei cartelli che rendono di fatto al momento impossibile perdersi e dover pensare dove girare nei bivi e il mio passo non è mai stato eccessivamente tirato. A metà percorso c’erano mio padre e mia sorella a fare un picnic e ho messo una frontale in testa (anche se non mi è servita), caricato altri cinque gel e cinque Snickers. Ho mangiato delle patatine fritte e bevuto della Cola. Dopo la salita al Monte l’Antica e al Monte Corsegno, sono ripartito da Palazzo (una piccola frazione con una bella fontana di acqua fresca) per la salita al Monte Gemmo verso l’una. Faceva veramente caldo e mi sono goduto tutta la salita perso nei miei pensieri, senza praticamente correre un metro e in discesa ho sbagliato strada, tornando indietro e accumulando svariate centinaia di metri in più del previsto. Non stavo puntando a una grande performance, volevo solo passare una bella giornata in montagna e così è stato. In 14 ore e 22 minuti di corsa ho incontrato due persone, alcuni cinghiali, tantissimi caprioli e un serpente. Basta. Il tempo di percorrenza serve solo per darvi un’idea, ovviamente se si vuole correre in maniera decisa, si può ridurre, e di parecchio.

© Elisa Bessega

Mezza

Spezzare il giro in due giorni è semplicissimo. A metà percorso, in corrispondenza del checkpoint del cartello del Fabulous Esatrail, si scende nel lungo fiume Esino, a pochi chilometri da Esanatoglia. Sui prati dell’argine ci sono piazzole di sosta, barbecue, tavolini e panchine. È il posto perfetto per una pausa e anche per fermarsi a campeggiare e ripartire il giorno seguente. Questo è anche il punto migliore se si vuole avere o prestare assistenza a qualcuno impegnato nel giro. Un altro punto chiave è l’abitato di Palazzo in cui si transita in una comoda zona con una fontana e un prato, dopo 70 chilometri circa. Altrimenti in paese ci sono B&B e altre sistemazioni. Mangiare non è un problema, in realtà uno degli aspetti più belli dell’Esatrail Superhero è che non devi preoccuparti di molto se non di correre e goderti i tunnel di bosco nei sentieri. Le quote mai elevate permettono di effettuare questo giro anche nelle mezze stagioni, in autunno e inverno, prima che arrivi molta neve. La mia speranza è che diventi prima o poi una gara, chi lo sa. Nel frattempo è un bellissimo giro ben segnalato che si può andare a provare ogni giorno dell’anno e merita di sicuro il prezzo del biglietto. Run it easy.

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