I manuali di comunicazione dicono che la creatività consiste nel prendere due idee già esistenti e combinarle insieme per crearne una nuova. Eric Hjorleifson, negli anni, si è macchiato più volte di questo reato: ha rubato gli attrezzi agli scialpinisti e ha cominciato a usarli da freerider: nel 2010, quando iniziarono a girare i primi video di un canadese che saltava con gli attacchini, la gente non pensava che fosse possibile. Poi, poco alla volta, ci siamo arrivati tutti: il freeride e lo scialpinismo erano in fondo la stessa pratica, con proporzioni variabili di salita e di discesa. Federico Ravassard sul numero di Skialper di aprile-maggio ha intervistato il visionario inventore degli scarponi Dynafit Hoji.

©Federico Ravassard

PRIMA DI HOJI – Prima di arrivare al nuovo scarpone, e prima ancora anche del Dynafit Vulcan, Hoji smontò e riassemblò altri scarponi per capire cosa gli servisse: lo scafo era quello dei Titan; le leve erano state smontate da tre calzature diverse; il linguettone, rubato da dei Dalbello Krypton e tenuto su da uno snodo preso dai Garmon Adrenaline; la membrana che gli stava sotto, concessa dallo sponsor Arc’teryx; per irrigidire il tutto, il gambetto era stato laminato con una piastra Head da pista. Tutto molto bello, ma probabilmente vi starete chiedendo a quale scopo fare tutto questo pasticcio. La risposta sta nello stile di sciata di Hoji: linee brevi ma tecniche, sequenze di pillow nelle quali bisogna controllare la posizione del corpo tra un salto e l’altro e sfruttare i piedi per dare direzione agli sci. Linee che sono accessibili perlopiù con le pelli, perché sono nel bosco e un elicottero sarebbe a dir poco eccessivo. Linee nelle quali confluisce tutto il suo background: l’infanzia tra i pali in pista, l’adolescenza trascorsa nei primissimi snowpark sotto il mentoring degli assi della New Canadian Air Force, gli anni passati a fare big mountain filmando per grandi case di produzione. E, per finire, i metri di dislivello macinati in salita. Poco alla volta, anche altri atleti hanno seguito il suo esempio e oggi i freeskier – che sono prima di tutto atleti fatti e finiti – che sanno girare trick da park dopo essersi guadagnati una linea di salti con le pelli, non sono pochi.

IL FUTURO – «Negli ultimi 15 anni il mondo dello sci è cambiato enormemente: twin tips, rocker davanti e dietro, attacchini, scarponi sempre più performanti… Per quello che riguarda gli sci, mi viene difficile pensare a qualcosa di migliore, perché con quelli attuali mi ci trovo davvero bene e non saprei su cosa lavorare, specialmente per le prestazioni nella powder. Si può sempre migliorare, ma bisogna capire in che modo. Qualche anno fa c’erano in giro fat davvero grossi, over 130 millimetri, che sono poi passati di moda: è stato fisiologico sbilanciarsi da un estremo all’altro, prima di trovare gli equilibri attuali. Oppure il twin-tip, che una volta era d’obbligo, mentre adesso ci si limita a un rocker in coda, molto più funzionale. Banalmente, è più pratico nelle inversioni in salita e anche per caricare gli sci nelle rastrelliere in funivia. Adesso ci sono un bel po’ di assi che vanno bene e, grosso modo, le geometrie di questi ultimi sono molto simili tra loro».

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