Proprio ieri sera Davide Magnini si è concesso un bagno di folla nel cuore di Milano, presso Runaway, per raccontare la sua stagione trionfante nelle Golden Trail Series, con le vittorie a Chamonix e Canazei e il secondo posto nel ranking dietro a Kilian Jornet. Una serata nella quale il campione trentino si è messo a nudo, bersagliato dalle domande dei fan sull’allenamento, gli obiettivi, l’alimentazione e tanto altro. Noi lo avevamo incontrato un paio di anni fa e curiosamente ci aveva dato risposte molto simili, perché la dote numero uno di Davide, che in primavera dovrebbe prendere il primo diploma di laurea («per quella magistrale c’è ancora tempo per pensarci, al limite mi prenderò qualche anno in più visto che gli impegni negli ultimi anni sono aumentati») è… determinazione. L’articolo che segue è stato pubblicato sul numero 117 di Skialper.
Incontrando la scorsa estate una mia compagna di scuola da anni trasferitasi in Trentino, dove insegna matematica, siamo arrivati a parlare di Davide Magnini.
«Cosa fai di bello?».
«Sempre in giro a vedere le gare, adesso anche quelle di scialpinismo».
«Davvero? Io avevo uno studente che faceva le gare».
«Ma dai, e chi?».
«Davide. Davide Magnini: bravissimo, preciso e determinato».
Già, le stesse impressioni che ho avuto quando ho incontrato Davide a casa sua. Anzi, il primo aggettivo che mi ha detto quando gli ho chiesto di parlarmi del suo futuro è stato determinazione. Determinazione a fare tutto nel miglior modo possibile. Perché stiamo parlando di un classe 1997 che fa lo skialper di professione, veste la maglia azzurra di corsa in montagna, è conteso dalle aziende, studia all’Università di Trento, guarda caso in ingegneria dei materiali… E come se non bastasse dà una mano anche nel negozio di articoli sportivi di famiglia, Lodosport, nella sua Vermiglio.
«Adesso sono nell’Esercito e faccio il professionista, ma voglio lasciarmi aperte tutte le strade possibili per il futuro». Un’idea precisa ce l’ha, in realtà. Si illuminano gli occhi quando ti fa vedere le tante medaglie conquistate, ordinate una di fianco all’altra su un vecchio tronco, pronte a fare bella mostra nella malga tra i boschi. «Sono quelle conquistate a livello giovanile, adesso proviamo a realizzare un altro tronco da Senior. Voglio arrivare ai massimi livelli in Italia, che vuol dire essere tra i più forti al mondo e se poi lo skialp arrivasse alle Olimpiadi…». Poteva arrivarci nel fondo, nel salto o nella combinata, magari nello sci alpino, poi si è stufato e ha iniziato con lo scialpinismo. Colpa di papà, si potrebbe dire. Quando ci salutiamo sotto casa è la mezza, io devo rientrare, lui ha già un amico che lo aspetta per un’uscita con le pelli in pausa pranzo. «Mio padre è appassionato della neve. Della montagna, ma della neve in particolare. Tutti gli sport sulla. A nove anni mi portava in giro con le pelli, era solo divertimento: una goduria. Quando c’è stata l’occasione di poter partecipare a una gara di scialpinismo sono stato io a chiedergli di poterla fare. Un amore a prima vista e adesso eccomi qui». «Me la ricordo ancora quella gara – racconta il tecnico azzurro Stefano Bendetti, che lo ha seguito dall’inizio nel Brenta Team -; non poteva ancora gareggiare con i Cadetti, ma ha fatto di tutto pur di essere al via, anche se lo avessero messo fuori classifica. Già allora un agonista nato».
A Piancavallo, al via della sprint dei Mondiali, Davide era preoccupato per il vertical del giorno dopo. Di fianco a lui un certo Kilian che gli rispondeva di star sereno che con il suo motore non avrebbe avuto problemi. E infatti ha vinto tra gli Junior con un tempo che lo avrebbe fatto salire sul podio Espoir, a meno di due minuti dallo stesso Kilian, campione del mondo. «Sono sempre un po’ insicuro prima di una gara, penso che avrei potuto fare qualcosa in più in allenamento per dare ancora il massimo in gara. Che ogni volta ci sono delle incognite». Quasi alla ricerca della perfezione, della perfetta performance. Come Kilian. Non è un segreto che il catalano lo abbia cercato per fare insieme la Pierra Menta. Davide dice di no, che non è vero, ma sa che Kilian lo stima come uomo e come atleta. «Non facciamo paragoni, però: anche io sono nato in montagna, ma a tre anni non vivevo a 3.000 metri. E non credo di avere neppure le sue doti. Finora sono riuscito a gestire due stagioni agonistiche, in estate e in inverno, solo perché da Junior finisci prima la stagione, c’è meno dislivello, puoi organizzarti al meglio, sei più libero di testa. Per me questo è il primo anno ‘assoluto’, ad aprile ci sono anche le gare di skialp: alla fine capirò cosa posso e voglio fare in estate. Ci sono tanti skialper che hanno le potenzialità per tutto, come per esempio Michele Boscacci». Ma lui, Davide, finora ha fatto il pieno di risultati nello skialp e nella corsa in montagna. «Però sono più uno skialper. Quando è arrivata la chiamata in azzurro nella corsa in montagna era impossibile dire di no, ma la prima convocazione in Nazionale mi è arrivata nello scialpinismo, anche se forse un po’ per caso. E poi nell’Esercito sono stato arruolato come scialpinista». Eppure le aziende se lo coccolano proprio perché sa andare forte dappertutto. Lo hanno mandato negli States, a gareggiare in Scozia. Per lui questo è un po’ il momento delle scelte. Chissà, magari tra qualche anno lo vedremo alla Pierra Menta e poi all’UTMB. Come Kilian. «Perché alle gare lunghe «non ci ho ancora pensato, ma se le prepari…».
«Quest’estate in ghiacciaio, dopo l’allenamento al mattino, Davide il pomeriggio lo passava sempre sui libri. Una macchina». Chi parla è ‘Lillo’ Invernizzi suo coach dell’Esercito. «Ma non sono così secchione – scherza Davide – solo che le materie che ho scelto mi interessano e la cosa non mi pesa. Fin da piccolo smanettavo a destra e manca: smontavo e rimontavo di tutto. Adesso lo faccio ancora un po’ con il materiale da gara. Anche per questioni pratiche: per esempio ho un piede piccolo (porta il 41), magro e sottile, così sto sperimentando soluzioni personali per avere il massimo comfort del mio scarpone». Sarà, ma anche in quel campo resta la parola chiave: determinazione. Perché potrebbe essere un’altra, futura, anzi futurissima, strada a fine carriera: entrare in qualche azienda del settore per lo sviluppo dei materiali con le conoscenze sui libri e un background da atleta top. Intanto però resta con i piedi per terra, con grande semplicità. «A Vermiglio certo mi conoscono, ci conosciamo un po’ tutti, ma non c’è poi chissà quale grande tradizione per lo scialpinismo. Il pezzo forteresta lo sci alpino. Fa piacere quando qualcuno passa in negozio perché sanno che ci sono e posso dargli un consiglio sullo scialpinismo; in paese mi chiedono come stanno andando le gare, ma non sono certo una star. C’è un fans club che mi segue, ma non sono il re di Arêches come Bon Mardion. In fondo va bene così. Anche perché sono piuttosto riservato. Dovrei cambiare un po’, lo so. Ormai bisogna essere social, bisogna raccontare al mondo tutto. Io sono molto attivo nel mio quotidiano, ma tante volte mi sembra di essere ripetitivo, che dire a tutti, sempre, ogni cosa non possa interessare granché». Adesso fa tutto da solo, ma anche qui, chissà se tra qualche anno non lo vedremo come star del web?
Davide mi fa vedere il ginocchio. Ha preso una botta nell’ultima uscita sulle nevi di casa. È gonfio, succede. Non si risparmia mai. «Perché la salita mi piace, la fatica mi piace. Certe volte quando ho una tabella dura, penso a chi me lo fa fare, ma se sto fermo come oggi non mi passa più. Sento la necessità di uscire ad allenarmi. Lavoro molto su me stesso: è un consiglio che mi ha dato la mia coach nella corsa, Sara Berti. Il miglior modo per prepararsi è quello di conoscersi a fondo. Finora è stato perfetto: vedo che riesco a dare il massimo facendo più intensità e meno ore e continuo su questa strada. Alberi a parte, come l’ultimo che ho ‘preso’ con il ginocchio». Il suoi punti di riferimento sono due: il papà e Michele Boscacci. «Beh, è fondamentale avere una famiglia che ti aiuta, che ti supporta nei momenti delicati. Mio padre è quasi sempre presente alle gare: i suoi incitamenti sono sempre importanti. Con Miky si è creato un ottimo rapporto: oltre all’Esercito e alla Nazionale ci alleniamo spesso insieme. I suoi consigli sono preziosissimi, proprio in questo anno che è quello del salto di categoria tra i grandi. Sembra una frase fatta, ma è la verità: non si finisce mai di imparare. Puoi sempre migliorare in tutto: la tecnica di discesa, l’efficienza in salita. E poi devo incrementare la potenza». Una spugna lo chiama Miky Boscacci. «Ascolta sempre con grande attenzione tutto quello che gli dico, anzi continua chiedere in continuazione cosa faccio, come mi alleno, i miei programmi. Ma è molto intelligente: non prende a scatola chiusa, adatta i consigli al suo fisico. Quando mi chiede quante ore mi alleno per una gara La Grande Course, non è che dopo fa tutte le ore che faccio io, piuttosto studia un piano per le sue esigenze». Ma ce l’avrà mai un difetto questo Davide Magnini? «Non farmi passare come un perfettino! Ne ho tanti anche io. Se devo dirtene uno? Sono un golosone. Mi piacciono i dolci e mangio tantissimo».
Ci salutiamo. L’Adamello è carico di neve, vorrebbe andarci su a mille, ma deve rimanere a casa. Studierà qualche ora. Magari anche di domenica, visto che deve saltare i Campionati italiani. Voleva farli: sarebbe stata la prima individuale tricolore assoluta. E avrebbe voluto dimostrare di poter subito andare al massimo. La sensazione è quella di aver incontrato uno di quelli forti, di quelli che non vorrebbero fermarsi mai, che puntano dritti all’obiettivo che hanno in testa. A vent’anni la strada è ancora lunga, ma Davide sembra davvero aver preso quella giusta.