In questi giorni in cui i confini della nostra esplorazione sono la cucina o il salotto e solo l’immaginazione ci può portare a varcare nuovi orizzonti, vi riproponiamo il racconto della traversata della Groenlandia sulle orme di Nansen, pubblicato su Skialper 118. Per sognarli questi nuovi orizzonti, oltre a immaginarli.
Bianco. Nessun colore ci accompagna, mentre seguiamo l’ago della bussola che ci conduce a Ovest-Nord-Ovest. Whiteout. Niente suoni, tranne il vento che per fortuna oggi soffia più leggero. Per il resto, solo il ritmo degli sci e il nostro fiato. Abbiamo lasciato il fiordo di Isortoq da qualche giorno e siamo in pieno deserto bianco. Tento di interpretare le forme della neve, quando è il mio turno a battere traccia. Creste, buchi, sculture traforate dal vento. Una zampa d’orso. Che ci fa qui, a quasi cento chilometri dalla costa? Chiamo i compagni dietro di me, a loro non sembra. Mostro le unghie che hanno grattato il ghiaccio, ma ribattono che è uno scherzo di neve, nessun pericolo di incontrarlo stamattina. Però i norvegesi, che hanno il fucile, controllano che la cartuccia sia in canna. Non è un orso? Mah. Già abbiamo incontrato, ancora in vista del mare, piume, ossicini e peli che ha vomitato sul ghiaccio, liberando lo stomaco dai resti delle prede di qualche settimana. Erano freschi, non era transitato da tempo. Via di nuovo, per la cronaca non incroceremo alcun orso fino al termine della traversata, ma quelle orme, sono sicuro, erano sue.
Groenlandia, 14 agosto-10 settembre 2017, autunno a quelle latitudini. La traversata della più grande isola ghiacciata della Terra è un sogno fin da bambino, quando ho letto e riletto un libro sui grandi esploratori e fra tutte mi è rimasta in testa l’avventura di Fridtjof Nansen, ventisettenne di Christiania (Oslo), il suo viaggio da costa a costa del 1888, nella stessa stagione, da Est a Ovest come lo stiamo ripetendo noi. Un po’ più a sud il suo, un centinaio di chilometri in meno, ma rimane straordinaria l’impresa. Undici giorni di peregrinazioni in mezzo ai ghiacci a bordo di due scialuppe sbarcate dalla nave Jason, bivacchi sugli iceberg, la rotta contesa all’acqua gelata a colpi di ascia. Poi l’inlandsis, le barche abbandonate per proseguire con due sole grosse slitte del peso di oltre cento chili ognuna e allora un mese di odissea per raggiungere Godthåb, l’attuale Nuuk, capitale dell’isola. La fame. E finito il ghiaccio, ancora acqua da attraversare su una barca costruita con pezzi di slitta e, raggiunta una colonia danese, l’intero inverno in attesa di una nave per rientrare in Norvegia. Per loro una marcia verso l’ignoto, in un’immensità glaciale che gli inuit dicevano abitata da mostri. Per noi la ripetizione di un itinerario duro per le condizioni atmosferiche, faticoso e lungo, ma in fondo quando hai dubbi basta accendere il gps e trovi la traccia verso Kangerlussuaq (ma abbiamo proceduto sempre con la bussola).
E però se alla sera, rintanato tra le piume, rileggi le pagine del suo libro – un bestseller per la borghesia appassionata di montagna a cavallo del secolo, tradotto in ogni lingua europea salvo in italiano, quello che fece scoprire in tutti i Paesi alpini lo sport dello sci – ritrovi le stesse emozioni, i paesaggi, le difficoltà di un territorio che nonostante i mutamenti climatici è rimasto sostanzialmente uguale ad allora. Anzi lo scorso autunno, a causa di un’anomalia termica registrata solo in Groenlandia, le temperature erano crollate più ancora che ai tempi di Nansen: notti a -35° e una media diurna tra gli 0° e i -10°. I venti catabatici, che si rinforzano a Ovest sulle pianure canadesi e dall’Islanda sull’oceano Atlantico a Est, ci hanno frullatoper l’intero viaggio, in continuo contrasto, tanto da avere, dal mattino alla sera, bufera da ogni direzione.
Non è cominciata a metà agosto, la nostra traversata. È partita qualche anno fa con il tentativo di convincere gli amici delle precedenti spedizioni in giro per il mondo, poi una settimana sugli sci in Finnmark, nord della Norvegia, in febbraio per testare materiali e noi stessi nel grande freddo. In un inverno particolarmente mite, abbiamo cercato l’angolo d’Europa più gelido in quella stagione ed è risultato lassù. È finita con il congelamento di tre dita per Giorgio Daidola, fortunatamente temporaneo. Non ho idea se la visione delle falangi gonfie e annerite abbia convinto gli altri a sfilarsi, ma così è stato. È rimasto Matteo Guadagnini, scialpinista di lungo corso, e sono cominciati gli allenamenti seri, tabelle da maratona, montagna e soprattutto quella che Borge Ousland, il grande esploratore polare, chiama «la nobile arte del trascinare pneumatici», per abituarsi al traino delle slitte. A metà 2016 è toccato a me arrendermi, fermato da un elettrocardiogramma sotto sforzo del dottor Massimo Massarini. Matteo è partito lo stesso, affidandosi all’organizzazione di Ousland, io ho dovuto rimandare all’anno seguente. Ce l’abbiamo fatta entrambi, pur con spedizioni diverse, Matteo ci ha pure scritto un piacevole racconto pubblicato da Fusta editore, Groenlandia sulle orme di Nansen.
Ci vogliono almeno ventotto giorni per lasciare la traccia degli sci dalla costa Est alla costa Ovest. Ci si può mettere meno, ma diventa una gara contro il tempo, da impostare in maniera totalmente diversa da una spedizione alpinistica. Per sopravvivere a quella che è una delle più lunghe traversate sul ghiaccio – Antartide a parte, è ovvio – occorre trascinare almeno settanta chili di attrezzatura e cibo divisi fra due slitte. Cibo soprattutto, ché nel corso della giornata ingurgiti di tutto, per tirare avanti. Difficile correre, con un peso del genere attaccato alle spalle. Se però si affronta con spirito agonistico, è un’altra cosa. A metà giugno 2016, i norvegesi Ivar Tollefsen, Trond Hilde e Robert Caspersen hanno impiegato 6 giorni, 22 ore e venti minuti per coprire 560 km da costa a costa. Il primato precedente durava da tredici anni. Trond e Ivar c’erano già riusciti in poco più di nove giorni in autunno. In entrambi i casi non hanno utilizzato sci da fondo escursionistico come i nostri e pelli di foca, ma stretti e leggerissimi attrezzi nordici sciolinati, trainando un’unica slitta di pochi chili e stringendosi in una sola tenda. Roba da norvegesi, per i quali il tempo è buono e quindi si può andare se il vento cala appena sotto i 100 km/h. E la temperatura ideale è attorno ai meno venti. E infatti preferiscono partire a metà agosto, quando già comincia a farsi sentire il morso del gelo invernale e tradizionalmente si attraversa l’isola da Est a Ovest, mentre in primavera, dopo metà maggio, le temperature sono più alte, i venti meno impetuosi e la direzione usuale è l’inverso. C’è un vantaggio però a farla nella stagione meno favorevole: i crepacci nella prima e nell’ultima parte dell’inlandsis sono più chiusi, le seraccate meno tormentate e i canali di fusione, che in primavera assomigliano a fiumi in piena, in autunno si possono percorrere senza bagnarsi troppo, lasciando galleggiare le slitte.
Un viaggio straordinario nel tempo, prima ancora che attraverso le latitudini. Un’avventura che vale un pezzo di vita, per chi ama le solitudini glaciali. Un grazie ai miei compagni Thomas Kober, Beate e Martin Klein, Grete Karin Saetervik, Bård Helge Strand e Sindre Sivertsen.
ATTREZZATURA ARTICA
Preparare l’attrezzatura per una spedizione polare o subpolare di un mese è un lungo lavoro di scelta e di eliminazione spietata. C’è da scegliere tutto il materiale in base alle proprie necessità, ai consigli di chi già l’ha fatta, alle visite dei saloni specializzati e alle lunghe navigazioni su internet. Poi ne va lasciato a casa metà. Sarà comunque troppo per le vostre povere spalle, troppo poco per le necessità durante la traversata. Qui mi limito a indicare l’attrezzatura meno usuale rispetto alle più comuni uscite alpine.
- Sci Åsnes Nansen 190 cm
- Attacchi Rottefella Backcountry Magnum
- Pelli lunghe e corte
- Sciolina (necessaria quotidianamente per evitare gli zoccoli, altrimenti vi toccherà usare il burro o la crema solare)
- Bastoni Swix Mountain (+ almeno uno di ricambio, le rotture sono inevitabili)
- Scarpe Alfa Polar (abbondanti di almeno tre misure) con solette Woolpower in lana e alluminio
- Calze in abbondanza, di varia grammatura: ai piedi ne vanno indossate tre, a meno di non preferire i kartansk lapponi in lana cotta
- Guanti fini + guanti lavoro Ortovox Tour + moffole abbondanti in piuma e Polartec da sovrapporre a tutto
- Underwear 200 gr. Merino Ortovox o Engel in Merino e seta
- Underwear 600 gr. Woolpower in lana
- Giacca Patagonia Nano Air
- Duvet The North Face L6 Down Jacket
- Pantaloni Patagonia Powslayer Bib
- Pantaloni Patagonia Nano Puff
- Giacca Norrøna
- Berretti vari lana + balaclava + maschera neoprene + Buff + berretto in pelliccia sintetica 66° North Kaldi Arctic Hat
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 118, INFO QUI