La Cervino Matterhorn Ultra Race ripercorre gran parte del trekking “Il Tour del Cervino” che ogni escursionista di alto livello sogna di fare almeno una volta nella vita. I panorami sono ineguagliabili e la sensazione di trovarsi sperduti nelle montagne mentre si superano passi e vallate è davvero forte.

Quando al termine di una gara ti viene il dubbio che quella che hai corso sia paragonabile al Tor de Geants, vuol dire che è stato qualcosa di veramente eccezionale, perché in Italia, e forse nel mondo, di gare come quella che parte ed arriva a Courmayeur, ce ne sono poche. Ebbene, la Cervino Matterhorn Ultra Race questo dubbio te lo fa venire eccome, sia per la sua durezza, sia per la sua bellezza.

Sulla carta è poco meno di una cento miglia con 12.000 metri di dislivello, ma le cifre non sono sufficienti a spiegare la preparazione necessaria a tornare a Cervinia dopo aver fatto tutto il giro al “più nobile scoglio d’Europa”, e chi pensasse di potercela fare solo perché è arrivato in fondo ad un UTMB o anche ad un Adamello Ultra Trail, si sbaglia di grosso. Le salite mediamente non sono lunghissime, ma sono quasi tutte molto ripide, e quella con il dislivello maggiore è posta al chilometro 150: 1.650 metri D+ che partono dai 1.600 metri di Zermatt, per arrivare agli oltre 3.300 metri del Rifugio Teodulo, con gli ultimi 400 metri su ghiacciaio. Il terreno è molto vario, ma, tolti un paio di chilometri di forestale della interminabile discesa verso Les Haudères, una decina di chilometri di asfalto, e gli 11 km di discesa su sterrato che portano all’arrivo (da percorrere però con 160 km già nelle gambe), è sempre impegnativo. Impegnativo-divertente in alcuni casi, come nelle due prime salite e discese che portano la gara in Svizzera attraversando il ghiacciaio di Arolla, nel lungo tratto in quota dove si corre, in senso contrario, la mitica “Sierre-Zinal”, o nella lunga ascesa al Teodulo; impegnativo-impegnativo in altri, come nella discesa sul e dopo il ghiacciaio di cui sopra, o nel lungo traverso dopo l’Europahütte; impegnativo-massacrante nei 5 km di pietraia sconnessa poco dopo il centesimo chilometro. E sarebbe riduttivo definire “tecnico” il tracciato, perché quello della CMUR è semplicemente un terreno “di montagna”, nel senso più pieno: niente di estremo, pochi metri con un cordino di sicurezza a fianco, ma montagna in tutte le sue sfaccettature, e moltissimi tratti in cui non è necessario “fare attenzione”, ma avercela connaturata al proprio passo, per l’esperienza maturata negli anni, quell’attenzione.

Dopo il 50% risicato di finisher della prima edizione, quest’anno la Cervino Matterhorn Ultra Race è riuscita a portare al traguardo tre quarti dei partenti, ma la sensazione è che più che aver funzionato alcuni correttivi (come il raddoppio delle basi vita e l’anticipo della partenza di 4 ore), c’è stata una maggiore consapevolezza al momento dell’iscrizione. È una gara che chiede tantissimo, troppo, se non sei davvero preparato, ma quello che dà in cambio è straordinario. Non è solo questione di bellezza del paesaggio (su cui comunque ci sarebbe da scrivere delle pagine, tanto che un filmato girato in praticamente qualsiasi punto del tracciato, farebbe più gola dei teaser della maggior parte delle gare in circolazione) quanto piuttosto della forza con cui in questo paesaggio la CMUR ti ci conficca.

La partenza a 2.000 metri, con il Cervino davanti al naso fin da prima del via, ti fa già capire con gli occhi cosa ti aspetta, ma poi ci sono due salite durissime che lo spiegano anche alle gambe, e poi un tratto su ghiacciaio che prosegue con chilometri di morene, dove il ghiacciaio non c’è più ma è evidente che c’era,
e tu sei lì sospeso a correre fra il presente e il passato remoto e, dove sei, inizi a capirlo anche con qualcos’altro, che neanche capisci cosa sia. Fra il cinquantesimo e il centesimo chilometro, il terreno diventa meno impegnativo, le rocce e i ghiacciai ti lasciano un po’ di respiro, intorno a te rimane tutto bellissimo, ma più “morbido”. 

E tu allora devi spingere un po’ di più, perché sei in gara, perché se non lo fai qui ci metterai una vita ad arrivare in fondo, perché quelle salite e quelle discese e quei laghi e quei boschi semplicemente ti chiedono di farlo. Salvo poi ricordarti che però non sarai mai tu a comandare, in quei 5 km di pietraia dove ad ogni passo devi
chiedere alla montagna il permesso di restare in piedi. Poi arrivi alla valle di Zermatt, ed al posto del tappeto rosso, che ti aspetteresti prima del galà degli ultimi 20 chilometri, ti ritrovi a lottare con altimetria tutta strappi e cambi di terreno, che prima di depositarti nella cittadina ai piedi del Cervino sembra chiederti di dimostrare che tu te lo meriti davvero, quel finale incredibile, prima di concedertelo. Se ci riesci, per te si aprono le porte del paradiso, un luogo dove ogni cellula del tuo corpo sa di aver lottato per 150 chilometri e 10.000 metri di dislivello per essere lì; dove nella tua testa non è rimasto un solo pensiero di forma compiuta e sembra piena sono di quell’aria sottile che i 3.000 metri di quota ti regalano; dove salendo lungo l’ultimo ghiacciaio, scortato dal Cervino su un lato e dal Monte Rosa sull’altro, li senti, semplicemente, tuoi fratelli.