La Caroline Face è stata l’ultimo problema alpinistico neozelandese negli anni ’70 e, con l’avvento dello sci su grandi pareti, nell’ultimo decennio una delle più grandi linee al mondo rimasta da sciare. Era stata addirittura inserita in una top ten di discese ancora da realizzare, insieme alla sud del Denali (poi scesa da Andreas Fransson), al K2 e altre ancora. L’ultimo tentativo, quello di Andreas Fransson e Magnus Kastengren nel 2013, terminò al Porter con la fatale caduta di Magnus, senza la quale probabilmente i due avrebbero sciato l’intera parete. Il problema è stato risolto lo scorso autunno da Enrico Mosetti, Tom Grant e Ben Briggs e su Skialper 116 di febbraio-marzo, già disponibile nell’edicola digitale e acquistabile anche nella versione cartacea sul nostro sito, lo stesso Mosetti ha scritto un interessante articolo sulla sua discesa.
DIMENSIONI E CONDIZIONI – Il grande problema della Caroline face non è tanto la pendenza, comunque per gran parte della discesa intorno ai 50°, quanto la dimensione della parete: duemila metri di ghiaccio tormentati da seracchi pensili qua e là. Per non parlare delle condizioni: la Nuova Zelanda non è certo nota per il clima mite e, per quanto riguarda il vento, la punta massima registrata in cima all’Aoraki/Mount Cook è di oltre 250 km/h. Senza contare i pericoli oggettivi di una parete simile.
IL GIORNO – «Già dal volo in elicottero la nostra linea sembrava in ottime condizioni e, cosa ancor più importante, il seracco a metà parete non era un muro strapiombante di cento metri, come appariva dalle foto di Tom del 2015, bensì una rampa che finiva su un muro arrotondato» scrive Mosetti. «All’alba del 27 ottobre ci siamo ritrovati a battere traccia nella neve, a tratti fino ben oltre la vita, per raggiungere la cresta est che ci avrebbe condotto fin sotto la cima mediana dell’Aoraki/Mount Cook. Dopo sette ore e mezza di sforzi, finalmente siamo sbucati in cresta. La cosa bizzarra è stata ritrovarsi su una montagna di 3.700 metri, avere l’oceano a meno di dieci chilometri in linea d’aria e al di là dei ghiacciai vedere la foresta pluviale». E poi giù per i 2.000 metri di neve e ghiaccio.
MALTE BRUN – Il gruppo si è anche concesso un’altra prima sulla Zig Zag Route, che solca la Malte Brun, montagna piuttosto prominente che, essendo la più alta, dà il nome a un sottogruppo di fronte al Cook.