Mi capita spesso di sorvolare il planisfero con l’occhio satellitare di Google. Durante queste perlustrazioni mi spingo avanti il più possibile, ma l‘immagine zoomata dall’occhio virtuale presto diventa sfocata. Oltre può proseguire solo l’immaginazione, addentrandosi tra le pieghe della terra, fantasticando su posti remoti e misteriosi. Lascio alla fantasia il compito di appagare la curiosità e ricercare tutti gli stimoli che la tecnologia non può raggiungere, stimoli che solo viaggiando fisicamente si possono percepire e che danno la possibilità di arricchirsi di sensazioni ed emozioni nuove. Il viaggio per me è ispirazione e libertà totale di muoversi, lasciando che sia la natura con cui si entra in armonia a determinare la rotta da seguire.

Il Kirghizistan è un’ispirazione che vale un viaggio. Volevo controllare con i miei occhi questo posto selvaggio dalla bellezza leggendaria. A sedurmi è stato il Tien Shan, un sistema di valli che si sviluppa a Sud del lago Issyk-kul e che si snoda tra montagne in gran parte inesplorate. Per un viaggio in autonomia di questo tipo è fondamentale cercare di stabilire un piano da seguire raccogliendo il maggior numero di informazioni e basandosi sulla propria esperienza. Fortunatamente le condizioni meteorologiche ci hanno permesso di portare a segno il piano che avevo in testa, ossia quello di inoltrarci qualche giorno nella natura selvaggia ed esplorare la solitaria valle del fiume Burkhan in compagnia di mio padre, che non era mai stato fuori dall’Europa. Con lui ho iniziato a fare alpinismo e con lui ho coltivato la passione per la montagna. Ci tenevo a realizzare questo sogno insieme. In una decina di giorni abbiamo dormito sotto cieli stellati, in tenda, in yurte o in case abbandonate. Abbiamo raggiunto sei cime inesplorate di cui cinque sopra i quattromila metri, abbiamo sciato, guadato fiumi gelidi, fatto il bagno in un centro termale abbandonato, abbiamo visto aquile, marmotte, yak, stambecchi, cammelli, abbiamo pescato, interagito con pastori che mai prima avevano visto volti occidentali e abbiamo scoperto i diversi tratti di una civiltà lontana che solo in piccola parte ho potuto comprendere.

Le uniche informazioni riguardanti la morfologia del territorio della zona che sono riuscito a raccogliere prima di partire erano vecchie tavole militari russe in scala 1:100.000 e curve di livello digitali a 25 metri. Qualche informazione fondamentale è contenuta nel report Mountaineering regions of Kyrgyzstan, redatto da Vladimir Komissarov, presidente del Club Alpino del Khirghizistan, che mi ha confermato che nella zona interessata quasi tutte le cime risultavano inesplorate. L’ampia valle del fiume Burkhan si estende a una quota di circa 2.800 metri e i punti di accesso sono principalmente due, situati a Ovest, oltre ai passi coperti di neve che superano i quattromila metri sul versante orientale. Una via di accesso è quella che sale dal crocevia del paese di Kochkor, con una strada sterrata che corre a lungo in una vallata incantevole, fino a un passo a 3.100 metri, per poi riabbassarsi dolcemente all’entrata della valle. L’altra via è quella che si svolge tortuosa attraverso le gole che conducono fino al paese di Naryn. In entrambi i casi l’accesso è lungo e in caso di cattivo tempo non sarebbe sicuramente percorribile.

Il mio più grande dubbio prima di partire riguardava l’ipotetica quota del manto nevoso. Dovevo individuare la giusta finestra in cui la neve fosse abbastanza alta per accedere alla valle, ma non troppo per riuscire a raggiungere alcune cime e sciarle.Ipotizzando che il periodo più adatto fosse quello delle vacanze pasquali, siamo atterrati a Bishkek il 13 di aprile scorso. Ci siamo fermati in città giusto il tempo di racimolare le provviste necessarie e, dopo aver recuperato un fuoristrada e un po’ di attrezzatura da campeggio, ci siamo messi subito in viaggio. Dopo una sosta a Kochkor per fare il pieno di carburante, siamo ripartiti subito verso l’imbocco della valle. Quella del fiume Burkhan è una valle che da Ovest si sviluppa verso Est per quasi cento chilometri. Totalmente inaccessibile in inverno per via della neve, rinasce lentamente con l’arrivo dell’estate quando le greggi di yak tornano a popolare gli jailoo più alti (pascoli estivi). A circa un terzo del suo sviluppo la valle si divide: un ramo più ampio prosegue in direzione Est fino al Pereval Arabel dove incrocia la strada che dalle gole di Barskoon conduce verso le imponenti miniere d’oro di Kumtor (campo di allenamento del cosmonauta Jurij Gagarin). Un secondo ramo piega invece verso Nord e poi verso Est lungo una stretta valle dove scorre il fiume Jil-Suu e conduce all’alto passo Tosor, permettendo un collegamento con la regione dell’Issyk-Kul meridionale. Le due valli isolano tre le loro braccia il massiccio montuoso dell’Uchemchek.

C’è una sola strada sterrata che però dopo il ponte sul fiume all’altezza della biforcazione con la valle del Jil-Suu si perde nel nulla. Rimangono alcune tracce di pneumatici delle Lada o degli UAZ dei pastori che in estate raggiungono gli jailoo più alti.Guidando in direzione della valle, abbiamo superato alcuni piccoli villaggi e incrociato gli sguardi dei pastori e cacciatori che ci scrutavano stupiti in sella ai loro cavalli, accompagnati dai fedeli Taigan. Le chiazze di neve diventavano sempre più frequenti man mano che si saliva di quota e in alcuni punti arrivavano a invadere la strada fangosa. Con molta attenzione abbiamo proseguito e, al calar della notte, siamo arrivati allo scollinamento, al cospetto della solitaria valle del fiume Burkhan. Qui abbiamo piazzato il campo, preparo la cena e in brave ci siamo infilati nei nostri sacchi a pelo.

L’indomani la giornata era stupenda ed eravamo ansiosi di mettere gli sci ai piedi, ma ci siamo accorti subito che l’approccio alle montagne non era dei più facili. Gli spazi sono immensi, le montagne si erigono distanti dal fondovalle dove corre la strada. A Sud la neve era sciolta dal sole, anche a quote elevate, mentre a Nord era molto abbondante, ma spesso per raggiungere i versanti settentrionali gli avvicinamenti erano lunghi e complicati. La mattina il terreno gelato dalla notte consente di muoversi con la macchina lungo le praterie. Il pomeriggio diventa molto più complicato. Con il calore diurno diventa tutto morbido e fangoso, i ruscelli accrescono la loro portata e i numerosi coni valanghivi con l’innalzarsi delle temperature rischiano di sfondarsi sotto il peso dell’auto. Un altro problema è che, prima di raggiungere il fondovalle, i pendii di numerose cime si infilano in profonde forre che in alcuni casi non è possibile risalire.

Ci è voluta tanta attenzione nella valutazione degli itinerari, sapendo che non erano consentiti errori di valutazione: essere soccorsi in quelle zone sarebbe stato impossibile. Tutte le sere era fondamentale l’appuntamento telefonico con il mio amico Andrea Migliano del rifugio Acque Minerali in Valle Orco. Dopo aver controllato le tabelle meteo, con una rapida telefonata satellitare mi aggiornava sulle previsioni meteo.  Come prima gita abbiamo optato per una cima proprio all’ingresso della valle, vicino all’area dell’Urochishche Irisu. Ci siamo avvicinati il più possibile con l’auto, abbiamo guadato un fiume e risalito un crinale che ci ha portato fino a una cresta e, senza troppe difficoltà, alla cima. In realtà la neve accumulata era molta e, appena ci siamo tolti gli sci, ci siamo accorti della difficoltà nel procedere. Faticando più del previsto siamo riusciti comunque a raggiungere la vetta a quota 4.094 metri (Angera Too). La discesa in neve polverosa lungo il canale Nord è stata spaziale!

Come seconda tappa abbiamo deciso di inoltrarci nella valle del fiume Jil-Suu dove, dopo pochi chilometri, ci siamo imbattuti in un vecchio centro termale abbandonato, probabilmente costruito durante i lavori della strada per il passo Tosor. Le grandi vasche erano vuote e la spettrale struttura principale portava i segni di un conflitto armato. Però abbiamo deciso di farne la nostra casa per la notte e ci siamo accorti che in uno sgabuzzino isolato a un centinaio di metri a monte c’era ancora una vasca con acqua calda sorgiva. Così ci siamo concessi un paio di birre a mollo nella vasca prima di andare a dormire. Al mattino abbiamo provato ad addentrarci nella valle, ma le numerose valanghe cadute sulla strada ci hanno fatto tornare sui nostri passi. Avendo individuato un sistema di cime a corona della testa occidentale del massiccio dell’Uchemchek, abbiamo deciso di provare a raggiungerne qualcuna. L’accesso più rapido era tramite una stretta gola che dalla mappa russa sembrava aprirsi poi in un ampio pendio rivolto a Ovest. Siamo riusciti a raggiungere un paio cime, Choku Giorgio (4.136 m) e Choku Bona (4.117 m), ma abbiamo dovuto rientrare velocemente a causa del rapido rialzo termico. In serata purtroppo sono arrivate anche brutte notizie dagli aggiornamenti meteo di Andrea: rischiare di rimanere bloccati nella valle non era un’opzione percorribile e così ci siamo diretti al paese di Naryn dove abbiamo pernottato. Avremmo voluto andare a vedere il lago Songkol ma una frana sulla strada ce l’ha impedito, però dopo un consulto con Andrea e confortati dalle previsioni meteo, siamo ritornati nella valle del Burkhan. Così la sera dopo eravamo nuovamente allo scollinamento, ma nel bel mezzo di una bufera. Un tempo da lupi. Proprio in queste condizioni mi è sembrato di scorgere la forma di quello che sembrava davvero essere un lupo. Sapevo di essere nei territori dove vive lo schivo leopardo delle nevi, dei lupi però non avevo notizia. Di certo non ci siamo fermati a controllare e siamo riusciti a raggiungere la valle e passare una notte tranquilla anche se un po’ bagnata.

Le grandi nevicate e l’innalzamento delle temperature hanno condizionato il nostro approccio alla montagna il giorno seguente. Dopo esserci infilati in una stretta valle e aver camminato per una decina di chilometri, iniziava finalmente la neve, ma ben presto ci siamo accorti che le condizioni del manto nevoso erano pessime e siamo rientrati. Tornati all’auto, abbiamo risaliamo la valle del fiume Burkhan fino alle pendici della cima più alta della parte occidentale dell’Uchemchek dove abbiamo individuato una possibile linea di salita da Sud. Passata la notte, la mattina seguente ci siamo inerpicati lungo i ripidi pendii erbosi fino a raggiungere la neve. La rotta che avevamo ipotizzato tracciandola sul GPS si è rivelata praticabile e senza intoppi abbiamo raggiunto la vetta a 4.254 metri (Lambda Peak) passando prima da una punta minore a quota 4.196 metri (Choku Max). Proseguendo lungo la valle abbiamo deciso di esplorare l’altro versante, quello a Sud. Alla sveglia ci è toccato subito il guado del Burkhan la cui acqua gelida ci arrivava quasi fino alla vita. La camminata prima di calzare gli sci è stata piuttosto lunga. Le temperature erano alte e, raggiunta una cima a 3.950 metri (ChokuLato) che ci ha regalato una vista pazzesca su tutte le montagne circostanti, abbiamo deciso di fare dietrofront. È stata la nostra ultima avventura con gli sci perché la sera il consueto aggiornamento meteo non ha lasciato spazio a dubbi: brutto tempo per tanti giorni. Così abbiamo attraversato spazi sconfinati, ammirando montagne senza nome in ogni direzione, tra dirupi, gole, paesaggi desertici, vallate boscose, colline erosive con sfumature cangianti a perdita d’occhio. Abbiamo visitato la sponda meridionale del lago Issyk-kul e Karakol, pernottando in accoglienti case locali e yurte particolarmente apprezzate da mio padre che prima di quest’anno non aveva mai dormito in una tenda. Abbiamo anche avuto modo di apprezzare la birra locale e il cibo, che ha superato di gran lunga le nostre aspettative per varietà e qualità. Abbiamo apprezzato di meno la polizia locale che, con strane multe per il superamento di ancor più strani limiti di velocità, ci ha alleggerito dei Som rimasti nei portafogli prima del volo di rientro.

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