Cosa resta del record di Poletti sul Sentiero delle Orobie a 15 anni di distanza

Sono passati quasi 15 anni dal quel 7 agosto del 2005 quando Mario Poletti, allora trentaseienne, intraprendeva il viaggio sul Sentiero delle Orobie, completando gli 84 chilometri con oltre 5.000 metri di dislivello in 8 ore 52 minuti e 31 secondi. Un sogno che si realizzava, da Valcanale al Passo della Presolana.

«Il record - dice Mario Poletti - è stato fatto per portare a Bergamo il primo campionato del mondo di skyrunning a staffetta, Orobie Skyraid». Alla gara partecipò anche Kilian Jornet, allora giovanissimo. Orobie Skyraid è stata la prima delle 47 gare che Poletti, con la sua Fly-Up Sport, ha organizzato in 13 anni sul territorio provinciale.

Se è vero che le gare di trail running sono diventate un fenomeno di massa, vale la pena ricordare la quantità di gente comune che quella domenica di 15 anni fa si assiepò sul percorso alpino per assistere all’evento tanto atteso e dall’esito per nulla scontato. Il Sentiero delle Orobie divenne nell’immaginario popolare un tracciato iconico, quello del record del Mario, un posto dove praticare regolarmente la corsa e appassionarsi al mondo delle gare di montagna.

Per ricordare il record del Mario, domani, sabato 1 agosto, a Songavazzo, in Val Seriana, si terrà la serata Il Sentiero delle Orobie e un sogno lungo 9 ore. Oltre a Poletti saranno presenti gli atleti che lo accompagnarono lungo gli 84 chilometri e l’imprenditore Giovanni Bettineschi che, con la sua Promoeventi, lo supportò a livello organizzativo. A moderare, Paolo Cattaneo, direttore tecnico di Orobie Ultra Trail. Appuntamento al ristorante La Baitella di Songavazzo alle ore 20.30, ingresso libero.


Andrea Prandi e Simone Eydallin, anatomia di un record

Lontani da linee di partenze e arrivi, pettorali e classifiche. Sarà ricordata così l’estate 2020 che ha visto l’annullamento della maggior parte delle gare in calendario a causa dell’emergenza sanitaria. Gli appassionati di sport endurance hanno però continuato ad allenarsi e a mettersi alla prova, alzando l’asticella sempre di più nel tentativo di migliorarsi, raggiungere nuovi obiettivi e, perché no, anche nuovi record. Ne abbiamo parlato, dando spazio alla cronaca dei record, su skialper.it. Tra i fastest known time uno di quelli che ha fatto parlare di più è firmato da Andrea Prandi e Robert Antonioli alle 13 cime, in Valfurva, mentre, tra le imprese curiose, il nuovo record del mondo di Everesting di corsa di Simone Eydallin. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con i due atleti Dynafit per conoscere più nei dettagli le imprese.

Mai mollare

Ventidue anni, grinta e forza da vendere e tante vittorie portate a casa, la più grande poco più di un anno fa, sconfiggendo il tumore che lo aveva colpito al sistema immunitario. Andrea però non si è mai abbattuto. La determinazione, la passione per lo sport e l’amore per la montagna lo hanno aiutato anche in quell’occasione, dandogli la forza di andare avanti e di continuare a sperare per poi superare il buio e vincere una delle battaglie più difficili. Nel mese di maggio 2019, a distanza di nemmeno due mesi dal suo ultimo ciclo di chemioterapia, Andrea ha ricominciato a gareggiare e allenarsi fino a quando il 12 luglio scorso, nella sua Valfurva, l’atleta Dynafit ha realizzato l’ennesimo suo sogno, percorrendo l’anello delle 13 cime in sole 6h52’56’’. Un tracciato lungo oltre 37 chilometri con 4.000 metri di dislivello, percorso in coppia con il compagno Robert Antonioli. «Durante il periodo di lockdown mi è venuta voglia di mettermi in gioco, facendo qualcosa qui sulle montagne di casa e così ho pensato al giro delle 13 cime - racconta Andrea - Ho deciso di farlo con Robert, oltre che per il rapporto di amicizia che ci lega, per l’esperienza alpinistica e per la conoscenza che ha di questo ambiente. Nei punti più tecnici mi sono completamente affidato a lui». Un tempo strepitoso il loro, abbassato di quasi un’ora rispetto a quello che la settimana precedente aveva visto il sigillo della coppia Pintarelli-Boffelli. «Le condizioni erano praticamente perfette, la neve era dura e tutto è filato liscio. Ma non abbiamo dato nulla per scontato fino alle fine, in imprese come queste basta un piccolo imprevisto per far saltare tutto. Sull’ultima discesa ho avuto i crampi ma la testa alla fine l’ha avuta vinta e ha prevalso sul dolore e la fatica». Mai mollare, insomma. «No, mai mollare è ciò che si sente di suggerire Andrea a chi sta vivendo momenti difficili. Anche durante i cicli di chemioterapia non ho mai smesso di uscire di casa per qualche passeggiata sui miei sentieri, anche se ero letteralmente uno straccio. Lo sport, la montagna e l’aria aperta sono stati fondamentali. Per smaltire i farmaci e lo stress, per liberare la mente e per continuare a crederci, sempre».

© Giacomo Meneghello
© Giacomo Meneghello

L’Everest dietro casa

Ci sono sogni irrealizzabili, si sa, ma a volte è difficile arrendersi di fronte all’idea di non poter concretizzare qualcosa a cui tanto si tiene ed è allora che si trovano soluzioni. È quello che fatto Simone Eydallin che, da sempre innamorato dalla maestosità dell’Everest, ha trovato un modo tutto suo per scalarlo. «Sono un grandissimo fan dell’Everest - racconta Simone - Sono sempre stato affascinato da questa montagna ma so che probabilmente non lo scalerò mai, non sono da me queste imprese così alpinistiche. Volevo però togliermi lo sfizio di simulare una scalata percorrendo, di corsa, il dislivello di 8.848 metri e così ho pensato alla sfida dell’Everesting. Quando ho iniziato a progettare il tutto non avevo nemmeno preso in considerazione l’idea del record ma poi, verso metà giugno, ho provato a fare un po’ di dislivello per vedere come stavo dal punto di vista fisico e psicologico. È stato solo allora che, dopo aver fatto due calcoli, mi sono reso conto che stavo bene e che avrei potuto provare a battere il record. E così è stato. Proprio pochi giorni fa è arrivata l’omologazione del mio nuovo record di Everesting nella specialità della corsa». Lo scorso martedì 14 luglio, a Sauze d’Oulx, Simone ha risalito per ben 12 volte e mezza una pista di sci di 715 metri di dislivello, lunga 3,3 chilometri e con una pendenza media del 24%, ed è sceso su un percorso parallelo in bici. Il tutto con il tempo pazzesco di 10h01'. Un’impresa difficile, sia dal punto di vista psicologico che fisico e che lungo il percorso ha richiesto l’assistenza, tra ristori, assistenza e lepri, di un team di circa una decina di persone. «A livello fisico non ho avuto grosse difficoltà, il problema è stata la testa - confida Simone - Arrivando da gare corte, lo sforzo mentale in imprese come queste è completamente diverso. Fino al sesto giro è andato tutto bene, ero super gasato, ma dopo l’ottavo ho avuto un vero e proprio crollo psicologico. Per fortuna che dopo il nono giro è arrivata mia moglie Emily e sul percorso si è radunata ancora più gente, ad aiutare e a tifare e tutto è tornato come prima». Raggiunto un obiettivo (o una vetta, è il caso di dirlo) è già ora di guardare ai prossimi. «Mi aspettano ancora qualche giorno di recupero, con allenamenti blandi in bici, alimentazioni sana e tanto riposo, ma poi devo preparami per la prossima impresa, in programma a fine estate, sul Rocciamelone, proprio lì dove ho partecipato per la prima volta in vita mia a una gara di corsa in montagna e dove mi sono innamorato di questo fantastico sport».

© Damiano Benedetto
© Damiano Benedetto
© Damiano Benedetto

Salomon, nel 2021 arriva la nuova X Ultra

Salomon propone novità importanti per la primavera-estate 2021. Si parte dal mondo trail running, dove arriva la top di gamma S/Lab Pulsar, un modello leggerissimo e molto veloce già ai piedi di Kilian, ma anche la v4 della collaudata Sense Ride, Wings/Pro e Wings/Sky. Nel mondo hiking è previsto il debutto della attesa quarta versione di X Ultra, uno dei modelli che hanno fatto la storia dell’hiking moderno. Il marchio di Annecy presta sempre più attenzione al mondo femminile e proprio modelli come X Ultra propongono versioni studiate nei minimi dettagli per le nuove hiker.

TRAIL RUNNING

Sense Ride 4

Per la stagione 2021 Salomon aggiorna il classico Sense Ride con la v4. L’edizione 2021 è comoda e reattiva come le antenate grazie all'ammortizzazione Optivibe di Salomon ma è stato riprogettato il supporto del tallone che è più imbottito, a vantaggio della tenuta. La schiuma Optivibe è progettata per assorbire le vibrazioni e ridurre l'affaticamento muscolare senza appesantire. La suola è la collaudata Contagrip e la pellicola Profeel protegge i piedi da oggetti appuntiti.

Wings/Sky

Tra le novità anche Wings Sky, progettata con obiettivo supporto e grip, ma senza compromettere la reattività. I tessuti resistenti proteggono i piedi dai detriti sui tracciati tecnici e l’Advanced Chassis permette di mantenere stabilità su terreni irregolari, ottimizzando il controllo del movimento e la protezione. La suola Contagrip offre un grip affidabile man mano che le pendenze (e le discese) diventano più ripide. Wings Sky è disponibile anche in una versione Gore-Tex.

S/Lab Pulsar

Arriva sul mercato la scarpa nata dalla collaborazione con Kilian Jornet per essere la più leggera nel mondo trail. S/LAB Pulsar era ai piedi di Kilian alla Sierre-Zinal 2019... Con l'intersuola Salomon più leggera e una tomaia praticamente quasi senza peso è la S/LAB più leggera mai realizzata (170 grammi). La Pulsar ha un drop di 6 mm e la giusta quantità di ammortizzazione dove serve per mantenere l'agilità su tracciati non tecnici. La trama traspirante Matryx è rinforzata da fibre di aramide.

HIKING

X Ultra 4

Arriva la quarta versione di un autentico mito, una delle scarpe che ha inventato l’hiking moderno. X Ultra 4 prende in prestito le tecnologie del trail running ed è il risultato di approfonditi studi biomeccanici per una migliore stabilità e per prevenire lesioni alla caviglia. La ricerca mostra che l'80% delle lesioni da escursionismo sono distorsioni della caviglia e il 95% di queste sono distorsioni della caviglia nella parte esterna. Utilizzando e analizzando nel dettaglio queste informazioni, Salomon ha identificato le aree chiave del piede che necessitano di protezione e ha riprogettato tutta la collezione dell’iconica scarpa. X Ultra 4 è dotata di un nuovo telaio ADV-C per ottimizzare stabilità, ma senza limitarne la mobilità. Il risultato è una scarpa con più protezione ma che lascia il piede libero. La suola Contagrip MA è stata riprogettata pensando alle discese più insidiose e il bumper è a prova di pietre. Il modello da donna è stato adattato alla morfologia femminile. X Ultra 4 è disponibile nelle versioni uomo e donna, bassa e media, Gore-Tex e nelle larghezze medie e ampie.

X Ultra 4 Mid

Outline Prism GTX

Con la flessibilità di una scarpa da corsa, la protezione Gore-Tex completamente impermeabile e il grip per qualsiasi terreno, la versatile Outline Prism GTX è il prodotto da hiking moderno. Il design leggero la rende comoda come qualsiasi scarpa da corsa, mentre il grip, il puntale protettivo e la trama traspirante la rendono ideale per le escursioni.


Bosatelli sul percorso della nuova 100 miglia del Bernina

Questa strana stagione senza gare è l’occasione per mettere a fuoco nuovi progetti. Così gli organizzatori della Valmalenco Ultra Distance Trail, la gara di 90 km con 6.000 m D+ ai piedi del Bernina, ne hanno approfittato per progettare una nuova 100 miglia. «La VUT è nata con il preciso intento di promuovere il nostro territorio, l’Alta Via e i suoi rifugi. Proprio in quest’ottica, già a partire dall’anno prossimo, ci piacerebbe affiancare alla nostra gara principe due prove che definire di contorno sarebbe limitativo: una vera e propria 100 miglia e la 35 km. Ciò ci permetterà di offrire una proposta a tutto campo, dalle medie alle lunghissime distanze» ha detto Fabio Cometti del Comitato Organizzatore. E allora ecco un tester d’eccezione per il nuovo percorso. Oliviero Bosatelli è partito lo scorso 15 luglio da Piazza Garibaldi a Sondrio e ha corso all’ombra di Bernina, Disgrazia e Pizzo Scalino. L’ultra trailer del Team Scott Italia, main sponsor tecnico della gara, era accompagnato da atleti del posto e ha toccato alcuni punti tra i più belli della zona: Passo del Ventina, Valle di Scerscen, Diga di Alpe Gerala, Val di Togno e Val Poschiavina. «Ringrazio Scott e gli amici della VUT per avermi dato la possibilità di vivere questa tre giorni di immersione in una natura incontaminata - ha detto il Bosa al termine -. Su questi percorsi si vede la vera montagna in scenari che definirei stupendi. La fatica che si fa in salita è ampiamente ripagata dallo spettacolo che si può godere. Sarà una gara impegnativa, ma vi assicuro davvero bella». Il test event è stato anche l’occasione per fare del bene. Bosatelli è molto legato alla sua terra, epicentro dell’epidemia di Covid-19 e il comitato organizzatore per ringraziarlo ha fatto due piccole donazioni ad associazioni orobiche che lo stesso Oliviero ha segnalato.


Davide Cheraz e Pietro Picco, 4x4.000 in Valle d'Aosta

Non un record, almeno questo non era lo spirito, ma un sogno, una bella avventura da vivere con l’amico Aspirante Guida alpina Pietro Picco. Ecco come è nata l’idea di 4x4000 di Davide Cheraz del team Salomon. Il runner voleva salire i quattro quattromila valdostani in velocità, concatenandoli in bici. Un progetto più volte rinviato a causa delle condizioni problematiche, soprattutto sul Cervino. Poi il via da Courmayeur venerdì scorso e l’arrivo ieri alle 16 sempre a Courmayeur. In mezzo 400 km e un totale di 16.500 m D+ per raggiungere le vette di Cervino (4.478 m), Monte Rosa (4.554 m), Gran Paradiso (4.061 m) e Monte Bianco (4.810 m), prima di fare ritorno a  Courmayeur, al Jardin de l'Ange, dove ad accoglierli c’era una nutrita folla di amici e turisti.

«E’ andata bene, benissimo - ha dichiarato Davide Cheraz -. Non fosse per il Bianco dove ci siamo trovati nella nebbia, direi che è andato tutto alla grande». Entrando nei dettagli, l’azzurro di trail running ha continuato: «Le condizioni non erano delle migliori, abbiamo anche pensato di tornare sui nostri passi, ma grazie all’assistenza di alcuni amici siamo riusciti ad arrivare in vetta. Il Cervino era la montagna che mi preoccupava di più dal punto di vista tecnico… invece siamo saliti molto più rapidi rispetto all’ascesa fatta come test. Ci siamo sempre mossi agevolmente anche grazie a delle giornate spettacolari. Momenti di difficoltà? Non molti. Oggi Pietro ha patito un dolore al tendine sull’ultima discesa verso Courmayeur, ma è stato un duro e ha stretto i denti».

Alle sue parole hanno fatto eco quelle dell’amico Pietro Picco: «Sapevamo che oggi il meteo non sarebbe stato dei migliori, ma nemmeno così proibitivo da vanificare l’ultima ascesa. È stato difficile trovare il momento giusto per partire, ma attendere e rinviare di qualche giorno si è rivelata la scelta giusta. Siamo contenti di essere riusciti a coronare questo nostro piccolo sogno. In questi giorni ci siamo sempre mossi bene, con una buona sintonia e senza prendere eccessivi rischi. Ora direi che ci siamo meritati una bella dormita.


Kilian a nudo

Da Steck a Jornet. Skialper 130, dedicato all’alpinismo, agli alpinismi, ai modi di intendere i nuovi alpinismi nei quali il fast & light ha un ruolo importante, si apre con Ueli e non può che chiudersi, dopo una carrellata di personaggi eccezionali, con Kilian. Perché rappresentano due strade diverse per arrivare alla velocità con ingaggio, quella dell’alpinista e dello skyrunner. Due strade che partono lontane, ma che a un certo punto corrono parallele fino a incrociarsi. Ma pur sempre due strade diverse. Non c’è dubbio che curiosità e sperimentazione abbiano accomunato questi giganti delle montagne e siano i fattori che li hanno fatti incontrare e dialogare. Ueli ha scritto la storia del fast & light, Kilian anche e ha ancora margini per scriverne altre di pagine. Lo abbiamo intervistato tante volte, ma mai eravamo andati tanto in profondità su argomenti come rischio, leggerezza, ingaggio, acclimatamento, attrezzatura, tecnica o allenamento. E anche sul suo rapporto con Ueli, of course.

Ecco un’anticipazione, quello che ci ha detto sul suo rapporto con Ueli Steck: «Abbiamo scalato insieme in Nepal, intorno a Chukkung. Abbiamo parlato molto di allenamento, approccio alpinistico alle grandi vette, acclimatamento, alimentazione. Un giorno ero a casa e, parlando, mi ha chiesto se avessi mai scalato l'Eiger. Io ho risposto di no, così mi ha detto di andare a trovarlo il giorno dopo a Interlaken, ho preso l’auto e la mattina siamo andati a Grindelwald. Abbiamo parcheggiato, una corsa fino alla parete, poi siamo saliti in simul-climbing, ma non così velocemente, solo godendocela e scattando foto. Dalla macchina alla macchina ci abbiamo messo dieci ore. Il suo è un approccio molto interessante, si è allenato tanto, ha curato ogni dettaglio ed è sempre stato aperto a provare il nuovo e a evolvere. Ogni uscita con lui è stata ricca di insegnamenti!».

© Philipp Reiter

E a proposito del diverso approccio all’ingaggio in quota di chi arriva dal trail running e chi dall’alpinismo? «Probabilmente la differenza sta nelle capacità tecniche e fisiche all'inizio più che nella visione, io devo concentrarmi sulla tecnica e loro lavorano sul fisico. Penso che gli stili siano molto simili, è solo il nostro background a essere diverso».

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© Kilian Jornet

Davide Magnini sale e scende dalla Presanella in 2 ore e 39 minuti

Il cielo è il limite per Davide Magnini, è davvero il caso di dirlo. Il ventiduenne di Vermiglio, punta di diamante della squadra di scialpinismo del Centro Sportivo Esercito, ha lasciato la sua firma su un’altra vetta salita in velocità questa mattina. Questa volta l’obiettivo era la Cima Presanella, la più alta del Trentino con i suoi 3.558 metri d’altezza e, soprattutto, la montagna di casa per Davide, che ogni mattina la guarda svegliandosi nella sua Vermiglio, sulle prime pendici del Passo del Tonale. 

La corsa di Magnini è partita proprio dal suo paese natale alle 7.19 del mattino, circa un’ora dopo l’orario inizialmente previsto a causa della nebbia e delle basse temperature in quota prima che il cielo si aprisse. Dopo aver raggiunto la vetta con una grande prestazione (probabilmente la mia migliore scalata della Presanella di sempre dirà dopo la prova,) lo skyrunner si è lanciato nella discesa verso la località Cadin, sede di partenza e arrivo, arrivando a chiudere il suo sforzo in 2 ore, 39 minuti e 7 secondi sui complessivi 21 km di percorrenza per 2.350 metri di dislivello positivo. In allenamento, il trentino aveva fatto segnare un personal best di 3 ore, 7 minuti e 19 secondi: un miglioramento di quasi mezz’ora, a conferma di una prestazione di livello assoluto.

Magnini ha poi proseguito la sua corsa verso il centro di Vermiglio, dove ad attenderlo ha trovato famiglia, tifosi e appassionati per celebrare una nuova impresa conquistata dopo il record di salita e discesa dell’Ortles di appena otto giorni fa. «Dopo il record della scorsa settimana sapevo di contare su un’ottima condizione, ma l’emozione che provo oggi è fatta di tante cose. C’è stata la tensione, con l’avvio ritardato al mattino, ma anche la responsabilità dell’organizzazione che caratterizza eventi come questo, il desiderio di fare bene davanti alla mia gente, e la gioia di incontrare così tante persone prima sul percorso, e poi in piazza a Vermiglio. Volevo che fosse la festa di Vermiglio, della montagna, della passione: è stato proprio così» ha detto Davide. «Questa mattina avrei voluto partire alle 6, ma in quota c’era nebbia e uno strato di ghiaccio sulla cresta. Mio padre e il tecnico dell’Esercito Manfred Reichegger che erano sul percorso mi hanno consigliato di attendere, e anche grazie a questo sono riuscito a fare un’ottima ascesa, mentre oggi la discesa ha rappresentato l’insidia più grossa, sia per il fondo che per lo sforzo che nell’ultima parte ha iniziato a farsi sentire parecchio. Ma non c’è dubbio: sentire così tanto affetto intorno a me mi ha permesso di dare qualcosa in più, e staccare un tempo che ha superato le mie più rosee aspettative. Sono felice. 

Al fianco di Davide Magnini nella sua impresa, il Consorzio Pontedilegno-Tonale. Davide Magnini ha la straordinaria capacità di riuscire a sorprenderci ogni volta - ha detto il consigliere delegato Michele Bertolini - Ormai tutto il mondo conosce il valore di questo straordinario campione, che oggi ha regalato ai tifosi di casa sua una grande prestazione e un’emozione ancora più grande. Non vediamo l’ora di seguire le prossime imprese di Davide: un percorso di grandi successi che speriamo lo porterà alla ribalta nel 2026, quando lo scialpinismo potrebbe fare il suo debutto come sport olimpico proprio nei Giochi di Milano-Cortina».

© Giacomo Podetti

Federico Nicolini: Cima Tosa andata e ritorno in 3h4'50''

Ha sfidato la sorte per stabilire il nuovo fastest known time da Molveno a Cima Tosa scegliendo venerdì 17 per il tentativo. Ieri Federico Nicolini ha chiuso il giro di circa 30 km e con circa 2.300 m D+ in 3h4'50''. Partenza da quota 850 m e arrivo in vetta alla punta più alta del Brenta, Cima Tosa (3.173 m) per lo scialpinista figlio di Franco, gestore del rifugio Pedrotti. E proprio dal Pedrotti è passati Kikko, dopo essere partito alle 9 e avere seguito la Val delle Seghe. «Raggiungere la vetta sopra casa, nel minor tempo possibile è il sogno di ogni atleta - ha detto Kikko prima della partenza - Se poi la cima è anche la più alta del Gruppo di Brenta che con i suoi 3173 mt. domina tutta la valle l’adrenalina sale ancora di più. La Cima Tosa è una montagna simbolo per noi di Molveno e dell’altopiano Paganella...
Se poi vivi più di 3 mesi l’anno ai suoi piedi al Rifugio Tosa Pedrotti la sentì ancora di più tua».

© Alice Russolo

Simone Eydallin da record nell'everesting

Dieci ore e 6 minuti. In questa estate così strana e così ricca di exploit personali, senza pettorale, ieri è arrivato un nuovo record, anche se è ancora in attesa di omologazione. Simone Eydallin ha fermato il cronometro sul miglior tempo dell’everesting, vale a dire 8.848 m D+ di corsa. Il precedente crono con lo stesso stile è di 11 ore e undici minuti. Perché esistono diverse opzioni, oltre a naturalmente alla più famosa in bici. L’atleta Dynafit ha scelto di scendere in mountain bike, su un percorso parallelo. La partenza ieri alle cinque di mattina in punto, nella sua Sauze d’Oulx, per risalire 12 volte e mezza una pista di sci di 715 metri di dislivello, lunga 3,3 km e con una pendenza media del 24%. «È una salita aritmica che uso spesso per allenarmi e per testarmi» ha detto Simone. Un record costruito con meticolosità, con un team, tra ristori, assistenza e lepri, di una decina di persone. «L’idea dell’everesting è nata più per allenamento e per dare un senso all’estate senza gare, ma inizialmente non pensavo al record, poi quando ho fatto una prova su un dislivello di circa la metà ho capito che avevo delle possibilità». La tattica di Simone è stata spavalda: spingere nelle prime cinque salite, per avere poi margine per gestire gli ultimi giri. «La prima salita l’ho chiusa in 33 minuti, forse un po’ troppo veloce, poi sono stato su una media di 35-36 minuti e l’obiettivo da metà era di potermi gestire 43 minuti di media, però all’ottavo e nono giro ho avuto un black-out durissimo. Il problema non era il fisico, ma la testa, non ce la facevo più a mangiare, a vedere le stesse persone, sono stato a un punto dal ritiro». Qualche curiosità: le scarpe usate sono state Feline Up, Simone aveva con sé anche un paio di bastoni pieghevoli, che non ha usato solo nelle prime due salite, ha consumato circa 12.000 calorie, 4,5 litri di bevande e percorso in totale 84 km con una media di 150 battiti al minuto. «Ogni 30 minuti prendevo un gel di carboidrati, poi all’arrivo sali o carboidrati liquidi e dopo circa metà delle salite ho aggiunto dei tramezzini con miele e marmellata, non ho mai avuto cali di zuccheri ma lo stomaco ne ha risentito un po’». Anche a metà percorso c’era un punto ristoro. Un altro aiuto è venuto dalle lepri, non tanto nelle prime salite, ma nelle ultime, nelle quali sono state importanti nell’impostare e mantenere il ritmo. Però l’atleta Dynafit non ha mai fatto portare nulla ai compagni, né i bastoni, né il flask. Well done Simone. 

© Damiano Benedetto

Arriva Scott Kinabalu Ultra RC

Viene lanciata ufficialmente oggi la nuova Scott Kinabalu Ultra RC, scarpa pensata per la corsa off-road su lunghe distanze, in gare e allenamento. Tra le caratteristiche la suola Hybrid Traction, con combinazione di tasselli a forma di chevron e conici: un mix che aiuta la spinta e la trazione, ma anche la stabilità nelle curve ad alta velocità. I tasselli conici sono posizionati ai lati. L'intersuola Kinetic Foam restituisce il 14% in più di reattività rispetto alla tradizionale EVA e la tomaia è in un tessuto leggermente rigido che offre il giusto supporto ma anche tanto spazio retato per la traspirazione. Il peso dichiarato è di 270 gr e il drop di 8 mm. Il prezzo di vendita è di 165,90 euro.


Maguet da record sul Gran Paradiso

Un crono che resisteva dal 1995. L’ennesimo record sulle vette più alte d’Italia che cade in questa estate senza gare. È successo questa mattina sul Gran Paradiso. Una sfida per due. I due alpini in forza al Centro Sportivo Esercito, Nadir Maguet e Daniel Antonioli, hanno attaccato lo storico primato di Ettore Champrétavy. A spuntarla in 2h02'32" (1h29 in vetta), con il nuovo record di salita e discesa è stato Nadir Maguet. L'altro alpino ha invece stoppato il cronometro sul tempo di 2h10'32". I due sono partiti dalla frazione Pont di Valsavarenche (1960 mslm), hanno risalito sentieri, pietraie, ripide pareti e la parte sommitale di ghiacciaio, fino a toccare i 4.061 m della vetta. Da lì, giù a rotta di collo in una e vera corsa contro il tempo.

Il precedente storico primato di 2h21’36” (1h43’22” il tempo di ascesa) del 1995 era di Ettore Champrétavy che a sua volta aveva invece battuto quello di Valerio Bertoglio, guardaparco di Ceresole Reale con un passato da atleta, che il 6 agosto 1991 fermò il cronometro sul tempo di 2h32’6” (1h50’il tempo di salita).

Dopo essersi confrontati con Ettore Champrétavy, che non ha lesinato loro preziosi consigli, alle prime luci dell’alba i due alpini sono partiti da Valsavarenche per attaccare i 2.101 metri di tecnicissima ascesa. Lo stesso Champrétavy, si è unito al personale della Sezione Militare di Alta Montagna e ad altro personale tecnico del Centro Sportivo Esercito e dell’ambiente, per creare una cornice di sicurezza lungo il percorso permettendo agli atleti di compiere l’ascesa e la discesa in completa autonomia e in piena sicurezza seppur con limitato materiale alpinistico al seguito. Un record certificato del sistema GPS Live Tracking di Wedosport e dal cronometraggio classico della Federazione Italiana Skyrunning.


L’incredibile storia dell’attacchino che fa impazzire il mondo

È un quadrilatero che ha come estremi Bad Haring, in Tirolo, Graz, in Stiria, il Monte Bianco e la Valtellina. Non c’è dubbio però che il caso abbia voluto che il Monte Bianco, il luogo che apparentemente c’entra meno con questa storia, sia stato determinante. Siamo agli inizi degli anni Ottanta. Uno studente di ingegneria di ritorno da una vacanza con un amico per arrampicare nelle Calanques passa da Chamonix. Guarda il Monte Bianco e, con quell’incoscienza tipica dei ventenni, non ci pensa due volte: perché non proviamo ad arrivare in vetta? I due scelgono di traversare dall’Aiguille du Midi, poi Tacul e Mont Maudit. Alla fine in vetta ci arrivano, ma devono battere traccia e quell’attrezzatura pesante – sci da due metri e attacchi da skialp con telaio – li distrugge più dell’intera vacanza nelle Calanques.

Passano meno di dieci anni, siamo alla fine degli anni Ottanta, più precisamente nel 1988. Nella valle di Chamonix si corre il Rallye du Mont Blanc. Tra i concorrenti la coppia Fabio Meraldi-Adriano Greco. Mentre stanno salendo con sci e pelli, il primo giorno, vengono entrambi fulminati da una visione. Stanno zitti, il fiato è poco e c’è da fare il tempo. Poi al termine della prova si guardano fissi negli occhi. Hai visto anche tu quello che ho visto io? Lungo il percorso hanno incontrato uno scialpinista senza attacchi. Senza attacchi, sì, giusto un puntalino piccolo piccolo e la talloniera ancora di più. In fin dei conti è quello che frulla nella loro testa da un po’ di tempo, bisogna separare il puntale dalla talloniera, ma come? Il primo anno alla Pierra Menta hanno usato il Silvretta 300 togliendo la talloniera e sostituendola con quella del rampone, ma la sicurezza? Dobbiamo assolutamente trovarlo si dicono, ma in una località come Chamonix è come cercare l’ago nel pagliaio. Il giorno dopo, durante la gara, incrociano ancora quello scialpinista. Nessuno dei tre parla una parola d’inglese, gesticolano, si fanno ampi cenni per ritrovarsi dopo la gara. E si ritrovano. Lo scialpinista è un austriaco, si chiama Fritz Barthel ed è quell’ingegnere che quando studiava era salito sul Monte Bianco, di ritorno dalle Calanques. È a Chamonix per incontrare un giornalista francese incuriosito dal suo attacco-non attacco. Fabio e Adriano rientrano in Valtellina e il giorno successivo partono subito in auto per il Tirolo, destinazione Bad Haring. Lì Fritz regala loro un paio di attacchini e uno scarpone Dynafit, un altro attacchino se lo comprano.

Nel 1989 Meraldi e Greco si presentano alla Pierra Menta con quell’attacchino con due pin per rendere solidale il puntale con lo scarpone e due spine alla talloniera. Ma i due valtellinesi fanno molto di più che usare quello strano aggeggio: danno consigli, vengono visti dagli altri agonisti italiani, la voce si sparge. In gara lo vogliono tutti. Centro Sport di Sondrio, di Gianni Rovedatti, inizia a distribuire il modello in Italia, che diventa uno dei mercati più importanti. I valtellinesi provano anche ad alleggerirlo ulteriormente andando da una guardia giurata del carcere di Tirano che si diletta con lavoretti di tornitura e ne realizza un esemplare in ergal. La talloniera è ok, ma il puntale si rompe... «Tra gli ingegneri meccanici esiste uno scioglilingua: se conosci la plastica, usa l’alluminio e se conosci l’alluminio, usa l’acciaio. Non volendo aggiungere materiale, ho usato l’acciaio.» dice Barthel. Il sodalizio con il mondo degli atleti italiani funziona. «Non sapevo quanto fosse grande il mondo delle gare in Italia e poi voi siete più aperti alle novità. È buffo, ma comunque lo provo mi dicevano in Italia, mentre in Austria la risposta era categorica: non funzionerà mai. Così una volta mi sono ritrovato a passare otto ore alla dogana di Vipiteno per esportare sei paia di scarponi» aggiunge Barthel.

Flashbak, 1984. Nella cantina di Bad Haring quel testardo studente d’ingegneria lavora senza sosta per realizzare la sua idea: un attacco da scialpinismo leggero, senza telaio, separando puntale e talloniera.
Fa vari tentativi. Capisce che deve contare su un intero sistema scarpone-attacco, più che sul solo attacchino. L’università dove studia è a Graz e lì - guardacaso - c’è anche una fabbrica della Dynafit, che produce scarponi da skialp. Per realizzare i fori che alloggiano i pin anteriori le prova tutte, ma rovina irrimediabilmente i suoi scarponi. Un giorno prende la bici e va in Dynafit. Riesce a farsi dare qualche scafo degli scarponi Tour Lite per i suoi esperimenti. Arriva perfino a scollare le suole, ma niente, capisce che bisognerebbe creare quella modanatura nella fase di iniezione del materiale plastico. Ecco allora che in questa storia interviene il quarto uomo, il padre di Fritz. È uno scialpinista, grazie ai primi prototipi riesce a stare al passo dei suoi amici più giovani. Un giorno si spinge fino a dire al figlio che quell’attacchino lo ha ringiovanito di 15 anni. E così mette mano al portafoglio per fare modificare lo stampo, e non sono pochi soldi. E in quel 1984 viene depositato il primo brevetto. Manca solo il nome. È l’epoca dei personal computer e dell’high tech, quel prodotto che toglie, più che mettere, e che fa della semplicità la sua arma vincente non può che chiamarsi Low Tech.

Fritz Barthel in un'immagine di qualche anno fa

Barthel prende la sua creatura e inizia a bussare alla porta dei grandi marchi dello sci. Per il suo brevetto chiede l’equivalente di 2.000 euro, ma nessuno vuole metterci quei pochi soldi per un prodotto che nella migliore delle ipotesi potrebbe interessare l’uno per cento del mercato. Così inizia a produrlo e commercializzarlo lui. Il primo anno ne vende uno, poi dieci, poi 40. Tra il 1986 e il 1990 arriva a quota mille, tutti stipati in casa. Un giorno bussano alla porta. È un acquirente, ma non di un singolo attacco. Arrivano dalla Dynafit e si garantiscono i diritti esclusivi sull’attacchino, lasciando a Fritz il brevetto. «Ho sempre pensato che l’attacchino fosse per pochi pazzi, ma non sapevo che fossero così tanti, però i primi proprietari di Dynafit a credere nel Low Tech sono stati quelli di Salewa, il successo è legato ad alcune persone in particolare, Heini, Reiner, Beni (Oberrauch, Gerstner e Böhm, ndr) e pochi altri che hanno reso lo scialpinismo cool». Da allora l’attacchino è diventato lo standard, ben oltre le gare, ed è arrivato sulle vette più alte del mondo, scendendo dai pendii più ripidi. «Credo che i pin resisteranno ancora, ma la storia dice che i sistemi vengono sostituiti da altri sistemi migliori e dubito che sarò io a fare il prossimo passo, non è giusto che lo faccia un vecchio testardo: giovani, fatevi avanti!». È proprio vero, tutto questo non sarebbe stato possibile senza la testardaggine di quell’ingegnere austriaco, due garisti valtellinesi, un’azienda austriaca (che poi sarebbe diventata di proprietà italiana, guardacaso). E al Monte Bianco.

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