Scott S1 lo scarpone con ski walk anteriore

È uno scarpone nuovo ancor più che un nuovo scarpone: fortemente orientato al freeski in montagna, somma performance sciistica ai massimi livelli di segmento, camminabilità praticamente touring, peso contenuto sotto i 1.400 grammi al mezzo paio nella misura 26,5 MP per il modello S1 130 Carbon che abbiamo potuto provare su neve.

NOVITÀ - L’idea nuova che struttura lo scafo con inserti in carbonio bi-iniettati di ispirazione Superguide è Power Bridge: il linguettone frontale diventa l’elemento chiave. Il suo asse di rotazione con forte struttura a ponte è fissato da due solide boccole all’anteriore dello scafo. Sul collo del piede, davanti ai malleoli, è ben visibile il pensiero meccanico originale di Scott S1: il nuovissimo meccanismo ski-walk nella sua versione più recente e definitiva è un piccolo ammortizzatore metallico a ponte sopra la curva del linguettone dove lavora in sinergia con il soffietto in gomma. Non c’è alcun bisogno di manovrarlo perché basta aprire o chiudere il gancio centrale che passa sul collo spingendo in sede il tallone: l’automatismo metallico, semplice ma molto pensato, si libera per la salita oppure si blocca per la discesa. La semplicità e le piccole dimensioni di questa soluzione ci sembrano molto più invitanti della prima versione del meccanismo, che probabilmente avrebbe frenato l’approccio degli sciatori tradizionalisti.

MA PERCHÉ? - Perché ribaltare soluzioni sperimentate come il meccanismo ski-walk posteriore, posizionandolo davanti? La risposta si presenta alla prima curva lavorata bene: dopo un minimo di progressività si trova subito un appoggio solido per spingere a volontà, mentre il posteriore del gambetto supporta uniformemente la muscolatura grazie all’assenza di sedi e forme ibride per la meccanica. Il selettore ski-walk all’anteriore innesca una catena di fattori positivi, molto sensibili alla calzata della scarpetta super fasciante da subito, al suo meglio nella sede del tallone e attorno al tendine.

CHICCHE PER CHI SA APPREZZARE - Sganciando del tutto le rastrelliere si sfruttano tutti i 60 gradi di escursione dichiarata, che è tanta. La ferramenta non sbatacchia in salita se riposta nelle apposite sedi delle leve, il filo metallico è semi irrigidito dal rivestimento in plastica, la fascia alta Power Strap resta agganciata al passante quando aperta. La suola intelaiata è facilmente sostituibile con un cacciavite Phillips 2. Inclinazione regolabile velocemente applicando i pad velcro dietro la scarpetta calda, comoda ma ben strutturata come da sviluppo Scott delle ultime due stagioni.

Peso: 1.350 gr (26,5)

Prezzo: 769 € (Carbon)

Materiale: Grilamid. + inserti in carbonio

Linguetta in tre materiali per impermeabilità + mobilità

Inclinazione gambetto: 11.5°/13° + libero in salita

Scarpetta: S1 Performance pelle

Flex index: 130

Last: 101 mm

Escursione: 60°

Taglie: 25 - 31,5

 

 

 


Marker vuol fare l'Alpinist(a)

C’è molta attesa attorno al nuovo attacco Alpinist di Marker, il primo, vero, attacchino della casa tedesca che sarà in vendita dalla prossima stagione invernale. Emilio Previtali ha avuto l’opportunità di provarlo per Skialper e sul numero 116 di febbraio-marzo, già disponibile nell’edicola digitale e acquistabile anche nella versione cartacea sul nostro sito, all’interno di uno speciale di più di 30 pagine dedicato alle anteprime 2019 pubblichiamo un ampio articolo su un prodotto che è chiaramente pensato per imprese dove serve la leggerezza, anche sul versante più alpinistico dello skialp.

LEGGERO E ROBUSTO - Alpinist è un prodotto leggero (245 grammi senza ski-stopper), essenziale e soprattutto solido e robusto, che non ti pianta in asso. Ci sono alcune caratteristiche del prodotto, come la lunghezza di compensazione di quattro millimetri per garantire la sicurezza e il gioco tra punta e fissaggio posteriore dello scarpone quando lo sci viene sollecitato e deformato durante l’uso, che riescono a rievocare la storia e il prestigio di Marker. Altra caratteristica importante: i braccini del puntale dell’attacco Alpinist e della piastrina di base (che dispone finalmente di una dimensione e di una distanza dei fori di montaggio sullo sci di 38 millimetri, ideati per l’uso con aste più larghe dei classici sci race) sono rinforzati con carbonio a fibra lunga che garantisce il 30 per cento di rigidità in più rispetto a un attacco in solo metallo. Alpinist ha la non trascurabile caratteristica di consentire lo scorrimento della talloniera per adattarsi a scarponi di differente misura: il range di movimento è di 15 milillemetri (+/- 7,5). È disponibile con molle di sgancio da 4-9 DIN o 6-12 DIN, c’è lo ski-stopper opzionale ed è compatibile con tutti i rampanti All Pin Tech. Tutte caratteristiche che hanno fatto scegliere Alpinist al pro rider Stian Hagen, che prima usava Kingpin.


Alessandro Sandy Marchi e l'arte di shapeare

 Per Alessandro Sandy Marchi, fondatore di Sandy Shapes, lo shapeing potrebbe essere definito quasi una missione visto che nella sua vita ha shapeato e shapea qualunque cosa: surf longboards, skate longboards, sci e - ovviamente - snowboard e splitboard. Le sue mani hanno progettato e plasmato qualsiasi tipo di tavola per scivolare su ogni tipo di superficie. Anche dal punto di vista estetico le sue tavole non passano certo inosservate, coniugando un’anima naturale con un look di design. Scendendo nel dettaglio ricordiamo, per chi se lo fosse perso, che la Zingara - modello split della casa - ha vinto il nostro award Revelation of the Year sulla Buyer’s Guide di questa stagione invernale. Siamo stati a trovare Sandy e a vedere come produce le sue ‘creature’. Ne parliamo su Skialper di febbraio marzo, già disponibile nell’edicola digitale e acquistabile anche nella versione cartacea sul nostro sito.

@Massimo Crivellari

Un lavoro che è anche di contaminazione quello di Sandy, che non si è sottratto alle domande di Luca Albrisi. «Il know how che si è creato mescolando le tecnologie e le shapes di surf, snowboard e sci ha permesso di ottimizzare le curve dei camber e rocker, portando ad esaltare il carattere di ciascun modello o le esigenze del singolo rider e arrivando anche a creare vere e proprie tavole custom - dice Marchi -. Anche il mio studio del parallelismo delle sciancrature deriva del surf come alcune tecnologie come gli slimrails simili agli stepdeck del surf. Molto surf nello snowboard, molto snowboard nello sci, molto sci nello snowboard». E la Zingara? «Zingara… lei ti porterà dove mai nessun’altra ti ha portato. Il nome la descrive; ho voluto creare una geometria twin all mountain che permettesse un approccio molto frontale con la montagna in condizioni estreme e spazi limitati. È l’unico caso in cui siamo partiti dal modello split per poi derivarne anche la versione solida che oggi è la mia tavola più venduta…».

@Massimo Crivellari
@Massimo Crivellari
@Massimo Crivellari

Torna la storica skymarathon sul Monte Rosa

Fabio Meraldi in 4h24’ e Gisella Bendotti in 5h34’. Sono passati 25 anni da quella incredibile (e per i tempi curiosa) gara che ha segnato la nascita dello skyrunning. Da Alagna al Monte Rosa, a quota 4.554 metri. Proprio per celebrare i 25 anni (eravamo nel 1993) ritorna il 23 giugno la Monte Rosa Skymarathon & Alagna Indren Skyrace. Per l’occasione sarà una gara a coppie, in cordata, con 35 chilometri di sviluppo e 7.000 metri di dislivello totale. Prevista anche una prova più corta, la Alagna Skyrace, fino a Punta Indren, a 3.260 metri, con 22 chilometri di sviluppo e 4.000 metri di dislivello totale. La Skymarathon è riservata a un massimo di 150 coppie e le preiscrizioni online sono aperte dal 14 al 28 febbraio (al costo di 150 euro). La skyrace sarà invece una gara singola aperta a massimo 300 atleti, con quota di iscrizione di 70 euro.  Sarà ricco il montepremi, per un totale di 10.000 euro sulla prova a coppie e 3.600 sulla skyrace. Info: www.monterosaskymarathon.com


Dynafit TLT Speedfit, il livello superiore

Non solo in pista, non solo fuori. Scriviamolo subito: la base progettuale è quella del collaudato TLT 6 nella sua ultima versione, più muscolare. Ma Dynafit non si è limitata a qualche adattamento funzionale ai fondi trattati o ai fuoripista piuttosto pressati delle aree sciabili attrezzate. È vero che lo spoiler fisso in Pebax, non più amovibile come nei precedenti TLT6, è particolarmente adatto alla progressione frontale sulla massima pendenza tipica della pista risalita sulle pelli. Ed è vero anche che questa nuova versione della scarpetta leggera Custom Light è più termica, e che la cosa fa piacere nel freddo buio della notte. Ma la sensazione prevalente è che con Speedfit Dynafit abbia proprio portato TLT 6 a un livello superiore, aggiornato alle tendenze freeski che si fanno strada anche fra i tradizionalisti.

TLT VITAMINIZZATO - L’adozione del nuovo spoiler fisso in morbido Pebax, che rappresenta la novità più visibile, è certamente favorevole al comfort di utilizzo globale. La salita resta sufficientemente agile, e anzi si gode ora anche di una certa risposta elastica a fine spinta. Si perde qualche grado di escursione effettiva del gambetto, più che altro in apertura di caviglia, ma è veramente raro trovarne il fine corsa, anche esagerando. Insomma, siamo ampiamente in touring zone classica ed è possibile anche alzare frequenza e sviluppo del passo in ottica fitness. Ma quello che colpisce è il saldo insediamento del piede nella nuova scarpetta Custom Light: il foam è leggermente aumentato di spessore, ma è anche più tonico e svolge un grande lavoro di supporto insieme ai pad semirigidi alla linguella e al collare. Un piede normale viene fermato con forza e senza vuoti per tutto il suo volume, compresi il tallone e l’avampiede che in TLT6 + Custom Light trovavano più volume e un po’ troppa altezza sopra le loro sedi. Non abbiamo sentito il bisogno di una termoformatura, apprezzandone il supporto generalizzato e ben distribuito già con la forma originale: uno sviluppo di TLT in direzione del controllo in fase ski.

SPEEDFIT NON SOLO PISTA - La prontezza sullo spigolo di TLT Speedfit è superiore ai suoi predecessori TLT6 anche per via di una cura ricostituente alle plastiche in zona caviglia, visibile sulla tridimensionalità del gambetto attorno alle boccole. Inoltre il Grilamid scelto per Speedfit è caratterizzato da un alto modulo elastico: chi ha esperienza dei precedenti TLT 6 se ne può accorgere anche al tatto. Si tratta proprio di ciò che serve per tenere giù la caviglia nelle pieghe carving in pista, ma è anche un bel passo avanti nella sensibilità necessaria fuori per dosare la presa sui fondi irregolari. La caratteristica chiusura superiore Dynafit Ultralock 2.0 lavora in bella sinergia con l’omonimo Ultralock Strap, dalla comodissima fibbia azionabile con una sola mano in tensionamento e in rilascio. L’insieme non fa rimpiangere i solidi linguettoni metti-togli TLT 6 perché la spinta in avanti risulta comunque tra le migliori del segmento touring. Insomma, il marketing Dynafit presenta TLT Speedfit con una destinazione prevalentemente pistaiola. Lo capiamo bene dato il successo del fitness touring e sì, ci siamo in pieno per quanto riguarda il touring di resort. Ma TLT Speedfit è anche e soprattutto il TLT 6 portato alla sua piena maturità, nel momento in cui esprime in modo aggiornato le potenzialità del progetto originale. La sua semplicità di utilizzo lo rende amichevole per chi esordisce, ma la performance tecnica può accompagnare fino ai limiti del freeski.

Dynafit TLT Speedfit

  • Materiali: scafo e gambetto in Grilamid ad alto modulo; spoiler anteriore Pebax
  • Taglie disponibili: 22.5 - 30.5 MP
  • Last: 103 millimetri
  • Inclinazione ski set: 15° e 18°
  • Escursione del gambetto: 60°
  • Suola Pomoca stabile in un ampio range di temperature
  • Grafica Dynafit fluo sullo scafo
  • Peso: 1.190 grammi / 27.5 MP
  • Prezzo: 550.00 €

Kilian Jornet vince il vertical di Puy St. Vincent

Rientro vincente per Kilian dopo la pausa per l’operazione alle spalle. Il lupo perde il pelo… ma non il vizio. Il catalano, dopo il quarto posto di giovedì nella individual, ha vinto venerdì mattina il vertical di Coppa del mondo a Puy St. Vincent, in Francia, con il tempo di 27’09’’. Sul podio anche lo svizzero Werner Marti (27’15’’) e l’azzurro Michele Boscacci (27’37’’). Nella top ten, nell’ordine, lo spagnolo Oriol Cardona Coll, Davide Magnini (primo Espoir), gli svizzeri Remi Bonnet e Martin Anthamatten, il tedesco Anton Palzer, Federico Nicolini e lo spagnolo Antonio Alcalde Sanchez. Undicesimo Robert Antonioli, dodicesimo Nadir Maguet. Kilian subito all’attacco su un percorso duro, insieme a Marti, con Boscacci e Magnini che non hanno mollato la presa fino a quando i due di testa hanno guadagnato un po’ di distanza con il catalano che ha distanziato di qualche metro Marti sul finale.

Alba De Silvestro e Davide Magnini

DONNE - Bis della francese Axelle Mollaret, giovedì vincente su Laetitia Roux nell'individual (già ieri influenzata e oggi non al via), in 32’16’’. Sul podio la svizzera Viktoria Kreuzer (32’52’’) e la spagnola Claudia Galicia Cotrina (33’41’’). Ai piedi del podio, nell’ordine, le due azzurre Katia Tomatis e Alba De Silvestro (prima Espoir). A seguire nella top ten le spagnole Marta Garcia Farres e Nahia Quincoces Altuna, la russa Marianna Jagercikova, la svizzera Jennifer Fiechter e la francese Laura Deplanche. Dodicesima Ilaria Veronese, terza Espoir.

Katia Tomatis

JUNIOR - Vittoria di Andrea Prandi in 29’29’’ davanti agli svizzeri Aurelien Gay e Patrick Perreten. Al femminile successo della russa Ekaterina Osichinka in 23’40’’ sulle azzurre Giulia Murada e Giorgia Felicetti.

Andrea Prandi

Alla Fiera dell’Est

«Vattene all’Est da Mosetti e guarda un po’ cosa ci trovi». L’ordine, dalla redazione, era più o meno questo. L’anno scorso ce n’eravamo andati al Sud, quest’anno tocca dirigersi all’Est, quindi, verso le Alpi Giulie. Io, per inciso, abito all’Ovest, a Torino. Vado a sciare su cime alte più di tremila metri, a volte quattromila, molto spesso poi finisco in Francia dove bene o male mi ci ritrovo; al massimo il caffè fa un po’ schifo, ma le montagne hanno sempre la stessa forma. All’Est, invece, non mi ci ero mai fermato d’inverno e come tanti avevo la convinzione che l’Italia finisse a Venezia. Le montagne lì sono basse, squadrate e cattive, come i pugili che se le danno nel retro dei bar di periferia. La maggior parte di esse non arriva neanche a 2.000 metri, per dare un’idea». Inizia così l’ampio reportage di Federico Ravassard sullo sci selvaggio nelle Alpi Giulie che pubblichiamo su Skialper 116 di febbraio-marzo, disponibile nell’edicola digitale e ordinabile sul nostro sito nella versione cartacea.

Nel vento del Monte Sart ©Federico Ravassard

CON IL MOSE - Saranno montagne basse, almeno per uno che arriva dall’Ovest, però in mezzo a queste montagne è cresciuto uno degli scialpinisti italiani più cool del momento, Enrico Mosetti, detto il Mose. «Classe 1989, sponsorizzato da quel marchio molto hipster di Chamonix che ne riflette in pieno l’immagine, quattro spedizioni all’attivo e discese pazzesche su giganti di cinque o seimila metri in Perù, Georgia e Nuova Zelanda, più un tentativo al Laila Peak in Pakistan, ovvero una delle più belle montagne del mondo. Tutto questo per dire che, insomma, se uno così impara a sciare da queste parti, allora le Alpi Giulie devono avere un qualcosa dentro di selvaggio». Con lui ha sciato e girato Federico, ma non solo…

©Federico Ravassard

L’IMPORTANTE È SCIARE - Beatrice, Nicole, Andrea e Samuele hanno tra i 21 e i 22 anni e nella vita, oltre a studiare, sono maestri di sci ma amano anche uscire con le pelli, nella zona di Tarvisio. E sciano… Nei piedi avevano tutti assi e scarponi di una certa massa, si capisce che prima ancora di essere alpinisti loro sono sciatori, anche salendo verso il Montasio con le pelli. È importante sciare anche se è brutto, se la nebbia nasconde tutto. Come al Monte Sart, dove Federico ha avuto come compagno di gita Davide Dade Limongi. Non senza fare prima una tappa al Rifugio Gilberti e conoscere Tschurwi, cuoco e custode di questi monti. Dalle Alpi Giulie non nascono solo scialpinisti forti in discesa: ce ne sono altri che il vento sulla faccia lo sentono anche in salita. Uno di questi, che i lettori di Skialper conoscono bene, è Tadei Pivk, residente a Camporosso.

Sci selvaggio tra le nuvole ©Federico Ravassard

SENZA CONFINI – Il bello delle Alpi Giulie è che Austria e Slovenia sono dietro l’angolo, ed ecco allora che non ci siamo fatti mancare una sortita in Cariniza con Mose e i suoi allievi del corso di scialpinismo e a Bovec, sul versante sloveno di Sella Nevea, nella valle dell’Isonzo. «Nel fondovalle luccica l’acqua azzurra dell’Isonzo, la stessa che un secolo fa era tinta dal rosso del sangue dei ragazzi mandati a difendere il fronte dalle truppe austroungariche. La Prima Guerra Mondiale qui c’è stata per davvero: basti pensare che uno degli elementi decisivi della disfatta di Caporetto fu un tunnel poco sotto di Sella Nevea che gli austriaci utilizzarono per spostare armi e uomini senza farsi vedere dagli italiani appostati al colle».

Al Rifugio Gilberti ©Federico Ravassard

SAPORI DELL’EST – All’Alte Hütte a Campo Rosso Roberto Del Negro, proprietario e cuoco del ristorante, oltre a cucinare i deliziosi rigatoni al salto, è la memoria vivente dello scialpinismo giuliano. Gestiva una taverna che era di fatto un punto di riferimento fisso per i giovani scapestrati che si divertivano ad andare su e giù dai monti con mezzi e tecniche a dir poco rudimentali, come degli sci lunghi mezzo metro importati dall’Austria con i quali cercavano di scendere nei canali sopravvivendo in qualche modo fino al fondo. Le pareti del ristorante sono un pezzo di storia: nelle fotografie sono ritratti volti noti come Messner, Casarotto e Kukuckza. Lunga vita allo sci selvaggio.

Il Mose ©Federico Ravassard

 

 

 

 


Verso una bocciatura dello skialp a Pechino 2022?

Non ci sarebbero nuovi sport nel programma olimpico di Pechino 2022. Questa la notizia filtrata da Pyeongchang dove, in questi giorni pre-olimpici, è tutto un fiorire di riunioni della nomenklatura a cinque cerchi. Secondo quanto riportato ieri da insidethegames.biz, infatti, la decisione è stata ufficialmente annunciata dal responsabile ad interim della commissione CIO (Comitato olimpico internazionale) di coordinamento con Pechino 2022, Juan Antonio Samaranch. «Pechino non ha chiesto di inserire nuovi sport nel programma» ha detto Samaranch e «a noi va bene e non ne proporremo altri». Così riporta il sito web, che però lascia aperto uno spiraglio. Se la decisione dovesse essere confermata sarebbe una pesante doccia fredda per tutto l’ambiente dello scialpinismo. Dalla ISMF, la federazione internazionale dello scialpinismo, fanno sapere di avere ricevuto la notizia come noi tramite internet, ma di non avere nessuna comunicazione ufficiale in merito e confermano che è previsto nei prossimi mesi un incontro con il comitato organizzatore di Pechino 2022.


Arriva al cinema L’ultima discesa

Domani esce nelle sale cinematografiche italiane L’ultima discesa (6 Below), film tratto dalla storia vera del campione di hockey su ghiaccio canadese Eric LeMarque e dal suo libro (che in Italia è titolato come il film ma nella versione originale è Crystal Clear), appena pubblicato da Sperling & Kupfer. Dopo Everest, uscito nel 2015, ecco un altro film hollywoodiano che affronta le tragedie della montagna. Nel cast del film diretto da Scott Waugh (Need for SpeedAct of Valor) e realizzato con il nuovo formato panoramico Escape, troviamo Josh Hartnett (Penny DreadfulSlevin - Patto criminale, Black Dahlia), la vincitrice dell’Oscar Mira Sorvino (La dea dell’amore) e Sarah Dumont (The RoyalsManuale scout per l’apocalisse zombieDon Jon).

LA STORIA - Eric LeMarque (Josh Hartnett), un ex giocatore di hockey professionista, nel 2004, dopo aver causato un incidente automobilistico, fugge sulle montagne nei pressi della località sciistica di Mammoth Mountain, in California, in cerca di adrenalina con lo snowboard. Dovendo fare i conti con una dipendenza da metanfetamine e una vita che gli sta sfuggendo di mano, Eric decide di prendersi un giorno per staccare, ignorando i numerosi avvertimenti sull’imminente arrivo di una tempesta. Durante una forte tormenta di neve, LeMarque si allontana dalla pista perdendo l’orientamento. Nessuno sa che si è perso, nessuno sa dove si trova. È completamente solo. In un primo momento il campione non si rende conto di quanto la situazione sia disperata e cerca di trovare un riparo e dell’acqua. Le sue condizioni precipitano quando è inseguito da un branco di lupi e precipita in un lago ghiacciato. Intanto Susan (Mira Sorvino), la madre di Eric, intuisce che qualcosa non va e inizia a ripercorrere i movimenti del figlio. Con l’avanzare del congelamento e la continua lotta per la sopravvivenza, Eric è costretto a mangiare la sua stessa carne, mentre la preoccupazione della madre porta a mettere in atto un disperato tentativo di salvataggio, anche se la squadra di recupero pensa che sia ormai troppo tardi. Quando Eric si rende conto dell’arrivo dei soccorsi, la sua unica chance di farsi localizzare è arrampicarsi su una parete rocciosa alta 1.300 metri, ma il suo corpo inizia a cedere. Alla fine ce la farà ma perderà le gambe.

MESSAGGIO SICUREZZA - Si può discutere sulla fedeltà del film al libro di LeMarque, che sembra essere più spirituale e racconto della rinascita di un uomo, mentre il film è basato soprattutto sull’incidente e la mera lotta per la sopravvivenza. Si può discutere, come hanno fatto alcuni giornalisti anglosassoni, sul fatto che Mira Sorvino, la madre, ha in realtà solo 11 anni in più di Josh Hartnett, che nel film interpreta il figlio (allo stesso tempo però i colleghi di lingua inglese riconoscono il realismo delle scene in montagna e la grande prova dello stesso Hartnett che si è preparato a lungo per affrontare le riprese in un ambiente difficile). Quello che emerge però è il messaggio che L’ultima discesa manda al grande pubblico, se è vero che anche per promuovere il film è stato diffuso un testo che approfondisce la tematica della sicurezza e dell’attrezzatura che non puoi mai mancare fuoripista. Le tristi notizie dello scorso fine settimana rendono di stretta attualità l’incidente di LeMarque, avvenuto nei pressi di una località sciistica. Il modo migliore per affrontare la montagna e la neve in sicurezza, dopo essersi informati sulle condizioni atmosferiche e del manto nevoso, è uscire sempre con la giusta attrezzatura, anche a due passi dalle piste, anche se può sembrare esagerato. Artva, pala, sonda, ma anche casco, cellulare carico, eventualmente Avalung o zaino airbag sono compagni salvavita. E poi è fondamentale sempre informare qualcuno della propria attività. Regola che vale anche per il grande outdoor estivo, come pure quella del telefonino. Se L’ultima discesa sensibilizzerà qualcuno dei frequentatori meno esperti della montagna, ben venga. Se poi qualcuno vorrà leggersi anche il libro, scoprirà una storia di speranza anche nel buio più assoluto di una vita precipitata nel vortice della droga. Una storia di rinascita, a ben vedere come quella di A un soffio dalla fine, scritto dal patologo americano Beck Weathers - al quale si è ispirato il regista di Everest - che dopo essersi salvato ha scoperto di avere perso tante cose (una mano, parte del naso…), ma di avere recuperato la sua famiglia e una vita che stava uscendo dai binari.


I primi 40 anni di Stian Hagen

Stian Hagen è uno dei pro skier più anziani ancora in attività. Insieme a leggende come Mike Douglas e Chris Davenport fa parte di questo mondo da più di un ventennio e non sembra avere nessuna intenzione di rallentare. Originario di Oslo, classe 1974, con un passato come atleta giovanile nel salto con gli sci e nel fondo, è stato una delle leggende del freeski e dello sci ripido quando in pochi affrontavano i couloir più ripidi del Monte Bianco. Ha anche partecipato per un paio di anni al Freeride World Tour, ma si è subito trovato più a suo agio come star dei film off piste. Stian Hagen è lo ski bum che non ha mai rinunciato al suo sogno. È arrivato la prima volta a Chamonix con i suoi genitori, Unn e Finn Hagen, quando aveva 12 anni. E continua a divertirsi e sciare ad alto livello. Nonostante abbia in tasca un patentino di Guida alpina che sfrutta molto poco… Su Skialper 116 di febbraio-marzo, già disponibile nella nostra edicola digitale, il foto-reporter svedese Mattias Fredriksson ha incontrato Stian per parlare di come è cambiato il mondo del freeski e del ripido in questi ultimi venti anni. E ne è venuta fuori un’intervista molto interessante con foto spettacolari…

discesa con vista sul Dru ©Mattias Fredriksson

LO SCI PRIMA DEI SOCIAL - «I primi anni ho vissuto in una tenda all’Argentière per alcun mesi ogni inverno; sciavo tutti i giorni e conducevo una vita molto semplice. Mi alzavo la mattina, raggiungevo gli impianti e disegnavo curve con chi incontravo in montagna. La maggior parte delle persone aveva a mala pena un telefono prima dell'avvento dei social media quindi tutto era molto più spontaneo».

Stian Hagen nel suo chalet ai piedi del Monte Bianco ©Mattias Fredriksson

IL RIPIDO DI UN TEMPO - «Oggi sciare sulla faccia nord dell’Anguille di Midi o su qualsiasi altra classica discesa ripida non rappresenta più una grande sfida per le persone. È spaventoso come tutto sia cambiato nel corso degli anni. Non fa per me, non mi interessa rischiare che qualcuno mi piombi addosso».

Stian Hagen nella sua ski room ©Mattias Fredriksson

BRAND & FREESKI - L’industria dello sci ha vissuto alcuni momenti difficili durante gli anni Novanta, all'ombra dello snowboard che esplodeva, attirando tutta l'attenzione. Però, proprio mentre Stian iniziava a imporsi come uno degli sciatori più completi della valle di Chamonix, il boom del free skiing stava per decollare. E improvvisamente tutti i marchi hanno riscoperto l’enorme potenziale degli sci in versione freeride. Però… «Fu del tutto fortuito per me, non avevo mai pianificato o immaginato di diventare uno sciatore professionista, è accaduto per caso. Sono stato molto fortunato e ne ho approfittato. Oggi sembra che i bambini abbiano già un piano a 12 anni e che sappiano esattamente quello che vogliono».

Hagen durante una gita scialpinistica

STILE UNICO - Scrive Emilio Previtali a proposito di Hagen: «Non era un freestyler, non faceva manovre o rotazioni sui cliff, soprattutto sciava. Dritto. Veloce. Nel suo stile c'era tutto il DNA dello sci scandinavo della nuova generazione, con un background di sci di fondo, salto dal trampolino e telemark. Grande centralità, consistenza, confidenza con gli sci lunghi e larghi e resistenza per giornate infinite all'Aiguille du Midi o al Toula, sul versante italiano».

©Mattias Fredriksson

Mammut Elements, quattro clip per raccontare il rapporto degli atleti con la neve

Lo senti ancora il richiamo della natura? È questo lo spirito del progetto Mammut Elements, quattro cortometraggi nei quali gli atleti italiani Mammut - Mattia Felicetti, Martin Dejori, Alex Walpoth, Filip Schenk e Michael Piccolruaz – raccontano il rapporto con il ‘loro’ elemento.

©Thomas Monsorno

RUMORE BIANCO - «Un fiocco di neve riecheggia come il silenzio sul silenzio. Mille sfaccettature e la solita reazione di stupore veste il paesaggio, arricchisce il mio sguardo e rapisce la mia mente. Quel silenzio rallenta il tempo e lo fa suo. Io sono ospite della montagna: busso e mi ci immergo. Energia e polvere. Annego in quei fiocchi, cavalcandone la perfezione». Il primo episodio, Rumore Bianco (White Noise) racconta l’atleta Mattia Felicetti, maestro di sci della Val di Fiemme e atleta del Freeride World Qualifier. Anzi forse sarebbe più corretto dire che è lo stesso Mattia a raccontarci il suo elemento, fondendosi in esso, nello stesso modo in cui i fiocchi di neve si sciolgono nell’acqua che una volta che vi si appoggiano. Scientificamente il White Noise identifica una certa frequenza dell’udibile, una frequenza talmente particolare da collegarsi per una frazione di tempo e spazio con la stessa con la quale la neve cade e dipinge il paesaggio a proprio piacimento. È chiamato bianco per analogia con il fatto che una radiazione elettromagnetica di simile spettro all'interno della banda della luce visibile apparirebbe all'occhio umano come luce bianca, come la neve appunto. Lo stesso Mattia dice: «Ho iniziato a sciare a tre anni e a fare gare a sei. L’amore per lo sci in neve fresca è scattato immediatamente, tanto che il mio maestro di sci di allora faceva fatica a tenermi a freno. La passione per la montagna è andata a evolversi in altri sport come l’arrampicata e highline, ma lo sci è sempre stato parte inscindibile del mio essere».

©Thomas Monsorno

Mammut Elements è un progetto 100% made in Italy. Il tutto viene raccontato con la voce di Ivan Pavlovic e le immagini del film-maker Matteo Pavana e del fotografo Thomas Monsorno.

©Thomas Monsorno

ATK RT | 2.0, lo scialpinismo evoluto ha un nuovo riferimento

Sette anni fa veniva lanciato un prodotto diverso da quello che fino ad allora si era visto sul mercato, molto contenuto nelle dimensioni e nel peso, ma altrettanto performante in sciata. ATK RT Race Tour è stata la prima collezione di attacchi sviluppati e dedicati allo scialpinismo evoluto inteso come perfetto anello di congiunzione tra l’esasperato mondo race e quello spesso troppo conservativo dello skialp turistico. La lunga presenza sul mercato di questo modello testimonia quanto sia stato all’avanguardia, ora però è venuto il momento di mandarlo in pensione per immettere sul mercato la sua naturale evoluzione, RT | 2.0, disponibile da questo autunno nei migliori negozi. Il nuovo attacco si inserisce nella categoria Touring del catalogo ATK Bindings, integrando una già vasta gamma di prodotti specifici per gli amanti della montagna in inverno con l’obiettivo della leggerezza abbinata a performance di sciata e affidabilità.

ANCHE LIGHTWEIGHT - In soli 290 grammi RT | 2.0 unisce comfort e minimalismo, funzionalità e riduzione di peso e ingombro. RT | 2.0 è disponibile anche nella versione Lightewight, dedicata agli utilizzatori più leggeri (donne e giovanissimi): aggancio più morbido e range di regolazione dei valori di sgancio ridotto a 4-8, il tutto combinato a un colore azzurro molto trendy. Le principali caratteristiche di RT | 2.0 sono:

  • Ski-Stopper integrato e facilmente asportabile (disponibile nelle misure 75,86, 91, 97 mm).
  • Il nuovo sistema di variazione della forza di bloccaggio del puntale in fase di salita (U.H.V. Uphill Hardness Variator ) garantisce il corretto serraggio per ogni utilizzatore.
  • Easy Entry System: la nuova geometria del puntale rende l’inserimento dello scarpone intuitivo e rapido in ogni condizione, anche con suole visibilmente usurate.
  • Slitta di regolazione R01 (nuovo design alleggerito) installata di serie, che permette un range di traslazione della talloniera di 30 mm, consentendo di utilizzare l’attacco con scarponi di differente taglia (fino a 3 taglie).
  • Sportellino con alzatacco: un pratico sistema di alzatacchi stabilizzati nella posizione selezionata tra flat mode, + 36 mm e +50 mm.
  • CAM Release System (sgancio regolabile 5-10): il sistema di cam che gestisce lo sgancio verticale (My) dello scarpone in fase di caduta, estremamente preciso e affidabile ma allo stesso tempo di dimensioni contenute e molto leggero.
  • Rotational System (sgancio regolabile 5-10): è il sistema che gestisce lo sgancio laterale (Mz) della talloniera, conferisce a RT|2.0 la tipica stabilità in fase di sciata e la rigidità torsionale che hanno reso celebri gli attacchi da scialpinismo ATK.