«Argentera è sempre stato il posto di cui non bisognava parlare. Troppo bella, troppo poco affollata per essere data in pasto agli affamati di polvere, specialmente quando lì se ne trovava mediamente più che nel resto dell’arco alpino. Protetta dalla massa anche grazie al suo isolamento: dalla pianura del cuneese bisogna sciropparsi cinquanta chilometri di curve, spesso intasati dai tir diretti verso la Francia attraverso il Colle della Maddalena. Da Milano ci vogliono quattro ore, da Torino poco più di due: forse troppi per una stazione che ha da offrire una seggiovia e uno ski-lift. Ciononostante il mito di Arge è cresciuto negli anni, senza tuttavia riuscire mai a diventare un fenomeno mainstream come è successo ad altre località simili, per rimanere in Piemonte, Prali, forse anche a causa del fatto che i suoi frequentatori hanno preferito mantenerla per sé, per fare in modo che nei giorni di polvere in coda agli impianti ci si potesse contare nell’ordine di un paio di decine di sciatori». Scrive così Federico Ravassard nell’ampio reportage sulla località piemontese che pubblichiamo nel numero 127 di Skialper, di dicembre-gennaio.

© Maurizio Fasano

Da qui sono passati anche dei miti come Kaj Zackrisson, Henrik Windsted, Mike Douglas e Candide Tovex, eppure questa valle non è mai decollata, uno dei migliori segreti delle Alpi, ben conservato. Ora che gli impianti, almeno per questa stagione, sembrano destinati a rimanere chiusi, che ne sarà di Arge? In 17 pagine ripercorriamo i fasti del passato, intrecciamo storie di ieri e di oggi, incontriamo local e sciatori che questi pendii li conoscono molto bene e chi ha deciso di crede ancora in Arge. Perché Arge è un po’ un’icona. «Dall’essere un secret spot al diventare un insieme di piloni arrugginiti e baite abbandonate dimenticato il passo è purtroppo breve ed è proprio Argentera a insegnarcelo. Ovunque, nelle Alpi, esistono luoghi che rischiano di morire e che proprio per questo possono avere un fascino particolare, oltre che l’assenza di altri pretendenti per la prima traccia, con le pelli o con gli impianti: piccole borgate che meritano di essere salvate attraverso la loro frequentazione, perché raccontano e custodiscono il passato e il futuro delle Alpi al pari di località più blasonate. Probabilmente poter dire di aver sciato l’Incianao immacolato fa meno figo di aver vibrato su un Toula coperto di gobbe, ma è proprio da qui che bisognerà ripartire».

© Federico Ravassard
© Federico Ravassard