Nico Valsesia ci ha abituati a imprese titaniche a suon di pedalate e passi di corsa per raggiungere le cime più alte della terra partendo dal mare. Imprese che il cinquantenne di Borgomanero con un secondo e terzo posto nella Race Across America di ciclismo ha sempre affrontato con disinvoltura. Solo il Monte Ararat l’ha respinto. Il D-Day era previsto sabato scorso, 22 maggio. Partenza da Hopa, una piccola cittadina affacciata sul Mar Nero, e dopo 500 chilometri e 8.000 metri di dislivello da pedalare in completa solitudine, arrivo ai 2.200 metri della base dell’Ararat, con ancora altri 3.000 metri di dislivello da scalare a piedi per raggiungere la vetta. Una montagna, l’Ararat, tecnicamente facile da salire in estate ma ancora ricca di neve e ghiaccio in questo periodo. Con in più le difficoltà della pandemia, con la Turchia sottoposta a pesanti restrizioni. Per non farsi mancare nulla Nico ha pensato bene di raggiungere la destinazione in auto, aggiungendo altri 4.000 chilometri non proprio agevoli.
Cronaca di un tentativo
La partenza sabato alle 12.33. La strada, quasi sempre ben asfaltata, scorre prima in una valle e poi inizia una lunga e massacrante salita di oltre 100 chilometri, quindi prosegue su e giù per altipiani prima molto verdi e poi dalle tonalitа più aride. Il vero problema sono i cani randagi che attaccano più volte Valsesia, costringendolo anche a scendere dalla bicicletta e usare la stessa per difendersi. Poi sarа l’auto al seguito a mettersi in mezzo e a fare da deterrente per i tanti cani incarogniti contro il ciclista. La notte, fredda e molto ventosa di suo, con gli agguati improvvisi di questi branchi di pericolosi randagi, diventa un tormento. Alle prime luci dell’alba e con il cambio di zona il cielo diventa grigio e le temperature iniziano a salire. Una foratura e alcuni posti di blocco militari, in un’area contesa con la vicinissima Armenia, rallentano leggermente il ruolo di marcia, mentre bar, market e qualsiasi tipologia di negozio sono chiusi, mettendo a dura prova il pianificato reintegro alimentare. Arrivati a Dogubayazit, la piccola cittadina sulla piana ai piedi dell’Ararat, giа base logistica per la prima ascensione conoscitiva e d’acclimatamento con salita in vetta, dei giorni precedenti, si decide per un reintegro energetico importante. Dopo un riposo di un’ora e mezza, Valsesia cambia anche la bicicletta, una gravel, per gli ultimi 20 chilometri che portano allo spiazzo da cui partono tutte le ascensioni al monte. Una salita flagellata dal vento e con il cielo che diventa sempre più nuvoloso e scuro. La frazione ciclistica termina dopo 25 ore e 31 minuti. Dopo un paio d’ora di marcia, Nico, accompagnato dal figlio Felipe e da un Guida locale, è costretto a un riparo di fortuna sotto una roccia per evitare una forte grandinata e i tanti fulmini che saettano in cielo. Un altro spostamento verso l’alto in un momento di apparente calma, mentre il nero della notte si è impossessato della montagna e un secondo stop forzato da un’altra grandinata spinta da un vento fortissimo. A quota 3.200 metri l’ospitalitа in una tenda di un gruppo di escursionisti. anche loro bloccati dalle avversitа meteorologiche, un riparo che servirà per tutta la notte. Questa mattina, con il vento leggermente in calo e nessuna precipitazione, un ultimo tentativo fino ai 3.800 metri dove li avrebbe dovuti attendere una tenda di servizio, purtroppo distrutta dalla forza della natura. Restano comunque la vetta dell’Ararat conquistata nei giorni precedenti e un tentativo di record portato nuovamente al limite da un atleta che a 50 anni ha ancora qualcosa da dire.