Al Sardinia Trail dettano legge i polacchi
Il polacco Bartosz Gorczyca, con il tempo finale di 6h12’52”, ha vinto l’ottava edizione del Sardinia Trail, conclusasi sulla spiaggia di Museddu, nel comune di Cardedu. Anche nell’ultima tappa è arrivato primo nella classifica assoluta, precedendo il belga Fabien Huby e Dario Tuveri, giunti insieme sul traguardo. Nella generale in seconda e terza posizione rispettivamente ancora Fabien Huby e lo svizzero Lino Polti; il primo italiano è Stefano Buosi, all'ottavo posto.
Nella gara rosa si aggiudica, per la prima volta, il titolo di regina del Sardinia Trail la polacca Ewa Majer, con il tempo di 7h34’08”, quinta assoluta, strappando lo scettro alla svizzera Patrizia Besomi, vincitrice delle due scorse edizioni, che ha concluso in terza posizione nella classifica generale, preceduta dall’altra elvetica Ylenia Polti.
QuarTrail des Alpages a Nicolas Pianet e Tatiana Locatelli
La primavera non si è fatta vedere. Anzi, il QuarTrail des Alpages si è trovato in mezzo alla neve, caduta in quota prima dello start. Quasi venti centimetri a oltre 2.200 metri che hanno costretto gli organizzatori a un repentino cambio di percorso. In basso leggera pioggia alla partenza e anche un timido sole che ha accompagnato gli atleti al traguardo: meglio di quanto previsto. «Bella gara comunque e giusta decisione quella di accorciare» il commento dei trailer.
La gara di 50 chilometri, accorciata alla vigilia a 46, è stata ulteriormente limata per un totale di 41 chilometri e un dislivello positivo di poco inferiore ai 4000 metri. È stata battaglia nella prova maschile, con Nadir Vuillermoz, Hans Hansen, Nicolas Pianet, Giuliano Cavallo ed Erik Bochicchio insieme per diversi chilometri nella zona di Fonteil. Poi la gara si è accesa: Bochicchio e Pianet hanno accelerato e staccato gli avversari. Il valdostano a sua volta ha rilanciato l’andatura, salutando il francese che però lo ha raggiunto e superato negli ultimi tre chilometri. Vittoria sfumata per Bochicchio che ha patito i crampi nell’ultima lunga discesa. Pianet ha vinto in 4 ore 38’56”, davanti a Bochicchio che ha chiuso in 4 ore 39’33”; terzo posto per Nadir Vuillermoz in 4 ore 43’09”. Non è partito Franco Collé.
Nella gara femminile, assente Francesca Canepa, la nuova favorita Tatiana Locatelli non ha avuto problemi a vincere la sua prima gara di stagione. La valdostana si è imposta dopo 6 ore 03’06”, andando a precedere Scilla Tonetti (6 ore 09’10”) e Dominique Vallet (6 ore 20’38”).
Vittoria straniera anche nella 26 chilometri maschile. Il successo è andato allo svizzero Antoine Piatti che ha tagliato il traguardo - posto nel cuore del castello di Quart - dopo 2 ore 54’08” di fatica. Secondo e terzo gradino del podio per i valdostani Loris Vuillen (3 ore 02’11”) e Denys Capponi (3 ore 03’58”).
Dopo il successo del 2018, Gloriana Pellissier si è ripetuta, ma questa volta nella prova più corta. L’alpina ha trionfato in 3 ore 32’02”, davanti a Lisa Borzani (3 ore 56’05”) che è ritornata in gara dopo il lungo stop per infortunio. Terzo posto per Marcella Pont in 3 ore 56’11”.
Poco meno di 100 i concorrenti al via della gara lunga, oltre 130 quelli che hanno scelto la 26 chilometri, ma sono stati ben 156 gli sportivi che nonostante il meteo si sono presentati al via di una delle prove non competitive. Nel pomeriggio spazio anche ai bambini.
Vertical Nasego, Davide Magnini e Valentina Belotti tricolori
Ai campionati Italiani di KM Verticale di Casto è spettacolo puro e cadono i record. L’ABCF Comero più forte della pioggia e di difficoltà atmosferiche che sono state spazzate via da una passione incontenibile. Al Vertical Nasego edizione numero 4 si assegnavano i titoli italiani assoluti, promesse, master e società di Kilometro Verticale ma sul tracciato da 4,3 km di sviluppo per 1000 metri di dislivello dal capoluogo alla spettacolare Corna di Savallo si è giocato a ben più alto livello, con una sfida che rimane memorabile anche per merito della presenza di numerosi campioni internazionali.
La gara femminile è stata disputata per prima, con partenza alle ore 10.00 dal municipio di Casto Capoluogo per raggiungere il traguardo posto a 1.430 metri sul livello del mare. L’attesa era tutta per lei, per la leggenda vivente di questo sport, l’austriaca Andrea Mayr, e la leggenda non ha deluso. La 6 volte iridata ha distrutto il record, abbassandolo di quasi 5 minuti (era 43’09”) e fermando le lancette su un incredibile 38’39” , relegando a 3’59” la seconda classificata, la pur brava rwandese Primitive Nyriora.
Lo spettacolo non è mancato alle loro spalle, dove è andata in scena la caccia al titolo tricolore che ha visto al fine prevalere Valentina Belotti che, come troppe volte le sta accadendo ultimamente, si è dovuta completamente reinventare dopo essere stata afflitta dapprima dall’ennesimo infortunio al tendine achilleo e poi da una polmonite che le ha permesso di tornare ad allenarsi solo da poche settimane.
La sfida era annunciata, lei contro Elisa Sortini, la migliore azzurra dell’ultimo mondiale e la campionessa in carica di km verticale. Dopo una seconda parte di gara di lotta furibonda, che per un attimo l’aveva lasciata sola sulle tracce della Nyriora, la vittoria ed il titolo italiano sono andate a Valentina, la camuna di Temù in forza all’Atletica Alta Valtellina.
Per lei l’ennesimo titolo di una carriera super, con un crono finale, 43’06”, che le sarebbe valso il record, visto che è stata capace di andare anche lei sotto il suo precedente primato.
Elisa Sortini quarta assoluta ed argento italiano, quinta la polacca Katarzyna Kuzminska, mentre ad ascoltare l’inno di Mameli in sesta posizione generale ma terza Italiana, è la sorpresa di giornata Corinna Ghirardi.
Record e pronostici rispettati anche al maschile, cade il regno di Patrick Facchini ed inizia verosimilmente quello di Davide Magnin, il trentina della Val di Sole strapazza la nutrita truppa degli avversari e si prende titolo italiano, vittoria generale e soprattutto il nuovo record, perché da oggi è il suo 35’17” a comandare, archiviando il pur eccellente 35’31” di Facchini, stabilito nel 2017.
Non sono mancate anche qui le sorprese: alle spalle del ‘Magno, il marocchino tesserato Tornado Running, Elhousine Elazzaoui, che non annunciato negli élites allo start si è andato a prendere la seconda piazza finale grazie ad una gara di grande aggressività che ha colto di sorpresa i maggiori indiziati della vigilia. Terzo generale ed argento italiano all’altoatesino Hannes Perkmann, abbonato al podio qui a Nasego, al 4° e 5° posto della generale due autentici fuoriclasse del panorama internazionale, il giovane transalpino Sylvain Cachard ed il fuoriclasse scozzese Andrew Douglas a precedere il settimo assoluto, ma medaglia di bronzo tricolore, Patrick Facchini.
Pierre Tardivel, l'evoluzione di un mito
L'appuntamento è fissato per il primo pomeriggio, il viaggio scorre rapido attraverso la Valle d'Aosta, il tunnel del Monte Bianco e poi tra gli autovelox e i limiti delle autostrade francesi verso Annecy. Abbiamo anche il tempo di constatare che negli autogrill francesi panini e gelati vengono conservati alla stessa temperatura.
Con Federico in auto, dopo aver parlato delle ultime arrampicate, il discorso vira - per ovvie questioni di politica aziendale - rapidamente sullo sci. Anzi sugli sci del mito che stiamo per incontrare. «Ha usato per anni quel modello lì, poi ha cambiato, è passato a modelli rockerati. Sì, però per le robe serie tornava sempre a quelli, poi adesso snow, comunque gli chiediamo tutto».
E fu così...
L'indirizzo è quello giusto, il navigatore non mente, le colline morbide di Annecy circondano una zona residenziale con casette unifamiliari basse, ciascuna con il suo giardino. Ci avviciniamo al cancello che riporta il numero civico indicato: un uomo sta sistemando dei rami in fondo al giardino. Ci vede, ci fa un cenno. Entriamo.
Stringiamo la mano a Pierre Tardivel.
Non nascondiamo un po' di emozione che svanisce quando, oltrepassando la soglia casa, ci si trova di fronte a un arredamento decisamente informale: libri e scaffali occupano le pareti, due divani dai cuscini multicolore abbracciano un tavolino con diversi oggetti sopra. Qualche armadio che porta con sé qualcosa di orientale, una sala luminosa che dà direttamente sul giardino. Sul tavolo da pranzo circolare una gabbia con uno dei membri della famiglia: un coniglio. Anche un cane e un gatto decisamente in carne ci fanno capire che la passione per gli animali è di casa dai Tardivel, per lo meno al pari dello sci!
Quella che avevamo immaginato come un'intervista con una traccia ben definita, si trasforma fin dalle prime battute in un'allegra chiacchierata con il Piero! Spero che Pierre non si offenda se mi prendo questa licenza. Chiamarlo Piero trovo che renda la cosa molto confidenziale.
«Hai visto cosa ha di nuovo sceso il Piero?».
«Grande il Piero, sempre avanti!».
E se ci pensate, quante volte tra gli appassionati di sci ripido, guardando una foto o una parete orlata di seracchi, magari appartenente al massiccio del Bianco, alla domanda da chi fosse stata scesaavete sentito rispondere Il Piero!. Proprio lui. Sempre lui. Come un amico più grande di cui hai sempre sentito parlare! Dunque che il Piero non sia un tipo convenzionale lo capiamo nei primi trenta secondi: quando scopre che uno di noi due è il fotografo, gli si illuminano gli occhi di quella curiosità genuina tipica delle persone eclettiche e inizia a tempestarci di domande tecniche sugli obiettivi, sui corpi macchina. E non certo per capire quali siano gli strumenti migliori da utilizzare durante le discese o per immortalare momenti di sci appesi a qualche pendio a 50°. Il Piero infatti ha una grande passione che coltiva parallelamente allo sci: l'avifauna alpina e la fotografia faunistica! Un po' stupiti, lo incalziamo.
Ci incuriosisce molto scoprire che sei un grande appassionato di animali nel loro ambiente naturale! Da dove arriva questa passione?
«Sono 30 anni che faccio foto, soprattutto alle varie specie della fauna alpina nel loro ambiente. Adoro prendere immagini degli animali di grossa taglia e di uccelli. Basta appena uscire da Annecy, diverse volte mi è persino capitato di fare foto a cerbiatti direttamente dalla finestra del salotto. Sono bellissimi. E poi gli uccelli, solo nel mio giardino ne ho potuti individuare una cinquantina di varietà. Sono un appassionato della natura e fotografare gli animali è stimolante. Incontrarli per caso e cogliere l'attimo giusto… (mima un gesto quasi da vera e propria caccia fotografica, ndr). Il problema sono le dimensioni dell'attrezzatura, di solito metto la mia macchina con un buon obiettivo in una sacca che tengo davanti sul petto e mi permette di muovermi sia in salita sia in discesa anche quando scio. Sì, perché lo scialpinismo è un'attività ideale per fare fotografie. In salita uno tiene il giusto ritmo e si ha tempo per guardarsi intorno e scattare. Poi invece in discesa si scia». (ride)
E foto di sci?
«Anche sciando faccio un sacco di foto ai miei compagni, ne ho pochissime invece dove ci sono io perché gli altri ne scattano meno. Mi piace tanto fotografare, ma nelle discese ripide spesso utilizzo una compatta che è più comoda: la tengo sullo spallaccio fissata con un laccetto al collo e... zan, quando passa il compagno, scatto veloce! Mi sono accorto che utilizzando un obiettivo grandangolare da 24 mm e fotografando in un canale a 50° si riesce a inquadrare l'orizzonte. È più bello!».
Mi sembra che ti piaccia molto vivere ad Annecy , perché non Chamonix, più vicino al Bianco?
«No, non mi piacerebbe vivere a Chamonix, è più caotica e molto più cara rispetto a qui. E poi Annecy ha molti più servizi ed è meglio collegata. Ci sono più scuole e università per le mie figlie».
Riesci a lavorare come Guida alpina anche qui?
«In realtà come Guida lavoro poco. Lavoro piuttosto come intermediario nell'editoria di montagna. Per esercitare come Guida dovresti fare eliski, spedizioni, oppure due o tre Vallée Blanche alla settimana. Sinceramente non mi piace. È bello anche arrampicare, ma non come sciare».
Quindi preferisci sciare, ma sei nato alpinista o sciatore?
«Essendo Guida ho scalato e scalo e non mi dispiace. Ma scalare è fatica, dolore a volte, devi sempre forzare per ottenere risultati e andare forte. Lo sci è diverso, è più fluido, meno forzato, un'attività più dolce. Sciare mi è sempre piaciuto. La mia famiglia in montagna faceva al massimo delle escursioni. A sciare mi ci portava la scuola. Ma già a 10-11 anni mi piaceva più andare in fuoripista che su percorsi battuti. E poi non serve forza, si fa tutto plus en douceur, l'ho sempre preferito. Con i materiali di oggi è facile diventare un buono sciatore, è molto più difficile essere un buono scalatore».
Negli ultimi anni il livello si è molto alzato, complici materiali sempre migliori e più facili da utilizzare. Però forse troppo spesso ottimi sciatori si cimentano in discese anche molto impegnative, trascurando forse un po' troppo la componente alpinistica che lo sci di pente raide richiede. Quanto è importante?
«È indubbiamente importante, specie per gestire situazioni come creare delle soste, fare delle calate e altre manovre di corda in sicurezza. E poi se sei solo uno sciatore e non provi piacere anche durante le risalite delle pareti... insomma magari sali una parete per quattro ore, se non ti piace questa parte la giornata diventa lunga (ride!). Discorso diverso per le valanghe, anche con 40 anni di esperienza il rischio non è mai completamente eliminabile purtroppo. Bisogna fare attenzione a scegliere le giuste condizioni, sapere aspettare. Con la neve dura il rischio valanghe è minore ma, appunto, la neve è dura».
Lo sci ripido è diventato una moda negli ultimi anni. Come in arrampicata e alpinismo esistono vie di salita e percorsi più o meno difficili: è giusto pensare che sia così anche nello skialp?
«Sì, esistono pendii e montagne più o meno difficili, certo. Per esempio la scala Volopress mette tutto insieme sotto un'unica valutazione di difficoltà che mi vede d'accordo. In effetti il ripido è un'attività che è diventata di moda, ma a volte chi la pratica non è pronto come si è potuto vedere dal gran numero di incidenti di questo tipo della scorsa stagione. Anche la PGHM (il Soccorso Alpino francese, ndr) non è contenta di ciò. Non vorrei che poi alla fine come soluzione si arrivasse a vietare delle discese come la nord-est delle Courtes».
Lo sci estremo, per quanto ti riguarda, è qualcosa di diverso?
«Se ci riflettiamo, l'estremo lo si ha quando si cerca e si raggiunge il limite. E il limite lo cerchi per esempio nelle gare di freeride, ti confronti con un cronometro e cerchi il limite. Infatti a volte cadono: arrivare al limite cercando la velocità. Nello sci di pente raide che ho fatto e faccio, non si cerca il limite. La caduta è da evitare assolutamente. Per quanto mi riguarda ho sempre cercato di muovermi con un margine di sicurezza, magari facendo una curva in meno se non me la sentivo. Non ho mai voluto raggiungere il limite ma il maggior piacere che mi poteva offrire una discesa ripida. È un'attività molto psicologica, è tutto nella testa, come diceva Stefano De Benedetti».
È la possibilità che dà lo sci di pente raide di ampliare esponenzialmente il proprio terreno di gioco che ti affascina di questa disciplina?
«No, è proprio la ricerca della pendenza che mi piace. È cercare di prendere confidenza con le proprie paure e gestire l'incertezza che restituisce il ripido».
Allora come vedi la tendenza degli ultimi anni di scendere certe pareti in modo superfluido e a grande velocità? (Gli si illuminano letteralmente gli occhi, ndr)
«Ah, poter sciare come Jérémie Heitz e al tempo stesso mantenere un margine di sicurezza, sarebbe un sogno! Anche con curve meno filanti, andando leggermente più piano, ma con quella fluidità. Per me lo sci è diventato cercare la perfezione del gesto su pendii adatti allo sci. Non mi interessano più quelle discese molto tecniche dove fai una curva, derapi metri perché non c'è spazio, fai un'altra curva e poi una doppia. Lo sci è saper attendere il bon jour per avere le condizioni per poter scendere nel modo più fluido possibile un bel pendio. Se le condizioni non ci sono, aspetterò, magari degli anni. Certe discese fatte trovando tratti ghiacciati che obbligano magari a doppie o a non sciare integralmente diventano un esercizio d'alpinismo. Cosa che non rappresenta la mia idea di sciare. Per me è più importante la natura, cercare di capirla e prendere del piacere giocando con essa, come per la fotografia degli animali selvatici».
Lo sci per te è ricerca di fluidità, abbiamo capito bene?
«Sì, è la ricerca di quella sensazione di fluidità che ha sempre influenzato il mio modo di andare sulla neve, specie con i materiali di adesso. Il freeride ha portato molto allo sci in questo senso».
Questa tua ricerca della fluidità passa senza dubbio anche per l'evoluzione dei materiali. A fine anni ottanta e novanta si usavano sci molto stretti, poi verso i primi anni duemila utilizzavi i mitici Dynastar 8800 e le successive evoluzioni che erano 89 mm al centro. Parliamo del tuo sci preferito?
«In quegli anni gli sci erano molto stretti, fare le curve era più forzato, più brusco. Con i nuovi materiali è diventato tutto più armonioso, più morbido. Ho usato molto gli 8800, è vero, ma quelli con cui mi sono trovato meglio sono stati i Dynastar Cham 97. Non troppo lunghi, avevano una maneggevolezza incredibile e poi col rocker erano facilissimi da sciare, non restituivano sorprese e avevano una buona rigidezza torsionale che per tenere sul duro è la cosa più importante. Intorno ai 95-97 mm secondo me c’è il compromesso ideale».
Ti confesso che ci hai spiazzato… come sei arrivato allo snowboard?
«È stato naturale cercando un modo per ottenere maggiore fluidità. Lo snowboard per uno sciatore come me non è stato immediato. Ho iniziato nel 2014, in principio lo trovavo contraddittorio, devi sempre accompagnare il movimento, molto più che con gli sci. Ma una volta che uno impara è assai meno faticoso. E poi adesso ci sono le splitboard. Ho deciso di fare il salto verso lo snowboard quando si è perfezionato questo tipo di materiale».
Un punto di vista molto surf questa ricerca del gesto fluido e più armonioso possibile. Che materiale usi adesso?
«Sì, mi piace e pratico quando posso anche il surf da onda infatti. Sulla neve utilizzo una splitboard Plume. Ma il vero problema è cercare la combinazione perfetta attacchi-scarponi. Uso uno scarpone SB di Pierre Gignoux e trovo che sia il compromesso perfetto che mi garantisce un'ottima risposta nelle sezioni in backside, anche su nevi difficili. Ovvio, lo snowboard patisce un po' le nevi dure, infatti ci sono pochi video di ripido su nevi dure. Però hai anche due picche e in front su tratti ghiacciati è meglio. Le cose cambiano se ci sono tratti di dry…».
Come sono stati gli inizi? Erano davvero così mitici quegli anni da un punto di vista delle precipitazioni nevose?
«Una volta gli inverni erano davvero diversi, nevicava sul serio. Si poteva sciare nove mesi l'anno, da novembre a luglio. Tra il 1978 e il 1980 ho iniziato a fare ski de randonnée. Fino al 1988 sono stato a tutti gli effetti un amatore. Poi fino al 1995 sono stato sostenuto dagli sponsor. Era mia moglie Kathy a organizzare tutto e a gestire i rapporti con le aziende. All'inizio essere pagato per compiere delle prime discese sempre più difficili è stata una motivazione, ho smesso di lavorare in banca e mi ci sono dedicato a tempo pieno. La ricerca della prima era sia un discorso di ego che di soldi. Poi mi sono accorto che questa impostazione stava influenzando anche le mie scelte e ho continuato la mia attività solo per piacere».
Scorrendo la lista delle tue discese, mi piacerebbe saperne di più su alcune, per esempio spesso mi capita di sciare nel Massif des Écrins dove nel 1997 hai ripetuto il Couloir Gravelotte sulla parete nord-est della Meije.
«Sì la Meije, purtroppo l'unico che è riuscito a sciarlo tutto quel canale, a proposito di cambiamenti delle condizioni nevose negli anni, è stato Patrick Vallençant alla fine degli anni '70, in occasione della prima discesa. Quando sono andato io in basso c'era già un tratto di 50 metri insuperabile con gli sci, così per evitare di fare doppie sono risalito e ho sceso il Corridor».
Un'altra discesa che mi ha molto colpito è quella del '95 sul versante Italiano del Triolet. Che caratteristiche aveva?
«Il problema di questa discesa è che ci vuole un grande innevamento per poter collegare tutte le parti, poi certo, è ripida!».
Una data mitica: 10 luglio 1988? Ne parliamo? Il Grand Pilier d'Angle: un posto surreale e pericoloso.
«Nello stesso giorno, con l'elicottero però, ho concatenato la parete sud-est del Col de la Brenva e la parete nord del Grand Pilier d'Angle. Era dopo una perturbazione di una settimana, forse il secondo giorno di bello. Sul versante italiano del Monte Bianco c'era un innevamento incredibile, tutto bianco. Tutto. La Brenva l'ho scesa presto e la neve, essendo luglio, si era già trasformata: l’ho trovata quasi dura, specie in alto. Poi sono stato depositato nuovamente sulla cima del Bianco, ho sceso la cresta di Peuterey per fare infine una parte di cresta del Grand Pilier d'Angle a piedi e scendere la parete nord. Qui ho trovato soprattutto ‘poudre tassée’, tranne nell'attraversamento sopra al seracco. La neve, decisamente dura, era un po' verglassata, poi una parte in doppia sul salto centrale e i pendii del tratto basso. Dall'elicottero avevamo monitorato i seracchi della Poire, non erano particolarmente brutti o fratturati, però lì sotto ho allungato le curve... È un versante bellissimo, sul quale mi piacerebbe sciare ancora, fortunati quelli che possono averlo sotto gli occhi tutti i giorni».
Hai mai avuto paura di una discesa, magari una parete che hai deciso di non scendere perché ti incuteva timore?
«Certo! Il Nant Blanc sulla Verte».
Però lo hai sceso e ci sei andato ben due volte!
«Sì, ma mi ci sono voluti ben venti anni per andare a provare! Non mi sentivo pronto, lo reputavo troppo difficile per me. Poi l’ho sciato: il Nant Blanc racchiude una serie di problemi tecnici e di pendenza notevoli. Non abbiamo fatto le doppie della parte centrale, ma abbiamo cercato, con una traversata, di collegare i due nevai. Nell'arco delle due volte ho sciato tutte le varie sezioni dalla cima, ma non concatenandole in un'unica discesa. E poi oggi il problema potrebbe diventare il risalto alla base. Invece ci sono delle discese che, paradossalmente, miglioreranno con lo scioglimento dei ghiacciai, speriamo!».
Ultima domanda, soli o in compagnia?
«In compagnia c'è condivisione. È più bello!»
Grazie Piero, un mito.
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SUL NUMERO 114 DI SKIALPER, PER ORDINARLO CLICCA QUI
Masters Eiger Calu, il bastone hi-tech
È stato premiato con l’award come migliore bastone telescopico da hiking dalla nostra Outdoor Guide ed è uno dei bastoni più solidi e pratici da regolare per chi ama camminare in montagna. Stiamo parlando di Eiger Calu di Masters che pesa 280 grammi ed è regolabile da 70 a 140 centimetri. Uno dei segreti del modello è proprio il Calu. In pratica il tubo in AluTech 7075 è rivestito di fibra di carbonio 100% con finitura 3K e lavorazione High Modulus. Questo connubio racchiude la massima tecnologia, efficienza, leggerezza, tenuta, affidabilità: il meglio della lega di alluminio 7075 (lega utilizzata anche in aeronautica e che nella Outdoor Guide abbiamo erroneamente indicato come unico componente del fusto) e del carbonio migliore. In questo modo anche i colpi parametrali vengono meglio assorbiti e non causano, per esempio, la rottura del bastone.
Confermato per sabato il QuarTrail des Alpages
Il QuarTrail des Alpages, terza prova del Tour Trail della Valle d’Aosta, previsto per sabato 18 maggio, è confermato. Giovedì gli organizzatori hanno effettuato tutte le valutazioni del caso, decidendo di non far slittare la gara a domenica: le previsioni meteo attuali non sono così diverse rispetto a quelle annunciate per sabato.
Claudio Herin e la squadra di tracciatori hanno disegnato anche la 50 chilometri, che cambia leggermente rispetto a quanto previsto. Si correrà su un percorso di 46 chilometri effettivi e raggiungerà la quota massima di circa 2700 metri del Mont Grand Pays.
Il percorso è pulito, ma in quota può esserci qualche tratto ancora innevato. Per la 46 chilometri, gli organizzatori consigliano dunque i ramponcini che però non rientrano nel materiale obbligatorio.
Sono circa 120 gli iscritti alla 46 chilometri, mentre sfiorano i 200 i concorrenti che hanno fatto richiesta di un pettorale per partecipare alla 26 chilometri. Altri 150 invece partiranno in una delle prove non competitive che si snoderanno sempre sul territorio di Quart.
Al via oltre a Franco Collé e a Giuliano Cavallo, ci saranno anche Giancarlo Annovazzi e l’elvetico Florian Thevoz, nella gara rosa presente Francesca Canepa, mentre Gloriana Pellissier ha scelto la 26 chilometri.
Sabato la sfida del Garda Trentino Trail
Sarà una giornata da veri eroi quella di sabato, con un percorso ricavato nella neve che ancora fa bella mostra in quota e letteralmente districato tra gli schianti provocati dalla tempesta Vaia dell’ottobre scorso: ma il Garda Trentino Trail si è rivelato ancora una volta più forte delle avversità e sabato 18 maggio si appresta a vivere la quarta edizione, ancora una volta nel solco della crescita con i suoi mille iscritti. La gara dei tre laghi - Garda, Tenno e Ledro come è conosciuta nel gergo degli appassionati, è stata presentata stamane al Caffè Trentino di Arco, a poche decine di metri dalla partenza del tracciato di 60 chilometri e 3500 metri di dislivello protagonista sabato, alla presenza del presidente di Garda Trentino Marco Benedetti, degli assessori allo sport del Comune di Arco - Maria Luisa Tavernini - e Riva del Garda - Mario Caproni, del direttore del Consorzio Turistico Valle di Ledro Stefano Cronst e del presidente della Cassa Rurale Alto Garda Enzo Zampiccoli, accolti dal presidente del Comitato Organizzatore Matteo Paternostro.
Tra gli iscritti non mancano i volti noti a cominciare dalla veneta Federica Boifava che nel 2016 ha avuto l’onore di battezzare - con tanto di successo - la prima edizione del Garda Trentino Trail. Confermata anche la presenza del forte runner trentino Christian Modena, del gardenese Christian Insam - sul podio l'anno scorso - e di tanti altri protagonisti del panorama nazionale ed internazionale compreso il recente primatista mondiale di dislivello nelle 24h Manuel Degasperi.
Il presidente Matteo Paternostro non nasconde come “Nelle ultime settimane siamo dovuti intervenire tre volte per spalare la neve caduta nella parte più alta del tracciato, tra il Rifugio Nino Pernici e Bocca Saval, sulle Alpi di Ledro, oltre i 1600 metri di quota. Oggi possiamo dire che quel tratto è in perfetta sicurezza, pur persistendo ancora della neve. Necessità di sicurezza che ci ha invece suggerito di rinunciare all’altro tratto del Sentiero della Pace e di conseguenza da Bocca Saval, invece di proseguire verso Bocca Dromaè si scenderà verso la Valle di Ledro percorrendo in senso inverso la salita della Ledro SkyRace. Il resto del tracciato è confermato, con un’unica variazione legata alla possibilità di pioggia nella giornata di sabato: l’arrivo non sarà in Piazza III Novembre a Riva del Garda ma all’altezza del PalaMeeting di RivaFiera in modo da garantire al termine della gara un posto al coperto a tutti i partecipanti. Nel giro di quattro edizioni siamo cresciuti notevolmente e non possiamo che ringraziare tutti i rappresentanti dei Comuni interessati che hanno sempre garantito il loro appoggio: Arco, Tenno, Ledro e Riva del Garda in ordine di percorrenza, la Comunità di Valle, l’Apt Garda Trentino, Trentino Marketing e la Provincia Autonoma di Trento oltre a tutti gli sponsor privati a cui quest’anno si sono aggiunti Hoka One One e WildTee”.
E saranno 1000 gli iscritti sulle tre distanze previste dal Garda Trentino Trail 2019 che nel rispetto del principio di alternanza del verso di percorrenza si presenta nella versione con partenza da Arco ed arrivo a Riva del Garda. Come detto la prova maggiore, il Garda Trentino Trail, propone 60km di sviluppo con 3500 metri di dislivello: tre le (lunghe) salite principali, con il Monte Calino in apertura, seguito dall’ascesa a Bocca Saval passando per il Rifugio Nino Pernici per scollinare in Valle di Ledro e lasciarla dopo aver scalato la cresta di Nara che ripoterà il gruppo verso l’Alto Garda Trentino: il tratto finale sarà tutto da gustare, lungo il sentiero del Ponale, uno dei tratti più spettacolari d’Europa.
Medesimo finale per le due prove di minor chilometraggio: da Tenno prenderà il via la Tenno Trail Marathon, 42km per 2400 metri di dislivello, mentre la Ledro Trail Experience vivrà lo start a Bezzecca con un menù fatto di 30km e 1200 metri di salita.
«Crescono i numeri e con loro anche le presenze straniere - è stato il commento del vicepresidente del CO Diego Tamburini - in questo 2019 ci assestiamo sul 25% di iscritti stranieri, in rappresentanza di una trentina di nazioni. Merito anche dell’impegno promozionale da parte nostra, che oltre a presidiare i canali social e web, ci ha visti protagonisti di persona in appuntamenti clou come la ZugSpitze Marathon, la 100 miglia d’Istria, la Venice Marathon, la Firenze Marathon e tante altre».
Salewa Alpine Movie Night, il cinema di montagna nel cuore di Milano
Il cinema di montagna nel cuore delle movida milanese. È questo lo spirito di Salewa Alpine Movie Night che il prossimo 23 maggio porterà nel capoluogo lombardo una selezione di film dal Trento Film Festival. A partire dalle 18:30 l’area antistante il Salewa Store di Milano di Corso Garibaldi 59 verrà trasformata in un cinema all’aperto. Playing with the invisible, con Aaron Durogati, Carega Punk, con Andrea Simonini, No turning back, su Hansörg Auer, e Lantang i film in programma. Il campo base di Milano accoglierà gli spettatori con comode balle di fieno su cui sedere per godersi lo spettacolo, birra, speck, formaggi e prodotti tipici per trascorrere insieme una serata di ospitalità altoatesina. La partecipazione alla serata è gratuita. Basta recarsi a partire dal 21 maggio presso il Salewa Store di Corso Garibaldi, registrarsi e ritirare il proprio pass per la serata. L’orario limite per ottenere il pass in negozio il 23 maggio alle 17.
I FILM - «È nella solitudine luminosa dell'autunno nelle Dolomiti che Aaron Durogati, formidabile pilota e autentico esteta del volo, affronta il suo personale viaggio per imparare a rialzarsi. Una storia intima e potente sulla fragilità e la resilienza umana, per riscoprire il volo come gesto puro e autentica espressione di sé». Così viene presentato Playing with the invisible, di Matteo Vettorel e Damiano Levati, cortometraggio di 30 minuti. Andrea Simonini, regista di Carega Punk e scalatore Salewa, sarà presente alla serata. Carega Punk è una via di arrampicata aperta sull’omonima montagna. Langtang, di Seb Montaz, è uno dei film della serie Summits of my life con Kilian Jornet ed è ambientato in Nepal dopo il terribile terremoto del 2015. No Turning Back, di Damiano Levati, è un omaggio ad Hansörg Auer, scomparso il 16 aprile scorso in Canada insieme a David Lama e Jess Roskelley.
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Tutto pronto per la prima edizione della Val del Riso Trail
Tutto pronto per la prima edizione della Val del Riso Trail, in programma domenica 19 maggio, nella valle delle miniere. Dal paese di Gorno, attraverso un itinerario di 24 chilometri con 1400 metri di dislivello positivo, ci si dirigerà alla contrada Sant’Antonio, in località Crocefisso, e poi più in basso, nella frazione Riso, per poi risalire al nucleo alpestre di Ortello e la frazione Chignolo d’Oneta. Dalla Madonna del Frassino si va a Cantoni d’Oneta e l’ascesa porta al Colle di Zambla. Si superano le scale del Sapplì e si giunge alla Baita Alta di Grem. Bivacco Telini (1650 metro), la zona mineraria di Preda Balaranda, Forcella Bassa, si sbuca nella conca di Piazza di Golla, Zucco, e ci si abbassa ancora. La panoramica Curva delle Guardie, e giù fino al centro del paese di Gorno dove è posto l’arrivo. Un percorso disegnato con cura, che va a toccare alcuni dei punti di maggior interesse paesaggistico e ambientale della valle orobica. La manifestazione è organizzata dalla Fly-Up Sport di Mario Poletti in stretta collaborazione con la Pro Loco di Gorno. Partenza in linea alle ore 9.30 dall’area feste comunale in via Madonna 2 a Gorno. Il ritiro pettorali e la consegna del pacco gara avverranno dalle ore 7.30 alle ore 9. Il tempo massimo consentito per completare la Val del Riso Trail è 4h30′.
Grandi sfide al Trofeo Nasego
Una classica della corsa in montagna, il Trofeo Nasego, che nel fine settimana accende Casto con l’assegnazione dei titoli italiani Vertical e Lunghe Distanze. Ma ‘La Nasego’ non sarà solo italiana, da tempo si lavora da tempo per proporre un vero evento internazionale.
VERTICAL - Fin troppo facile partire da qui, dalla vera notizia di questa edizione: Andrea Mayr sarà al Nasego per la gara Vertical. La detentrice del primato del mondo sul kv, stabilito sempre in italia alla Chiavenna-Lagunc, sarà la donna da battere. Per lei si tratterebbe di chiudere un cerchio e dopo Chiavenna e Malonno apporre il sigillo anche sulla croce di Savallo, il simbolo del Vertical Nasego. Ma non sarà sola, perché in gara per il titolo italiano ci saranno Valentina Belotti, la super scalatrice Camilla Magliano e la scudettata tricolore uscente Elisa Sortini. Poi tante atlete di livello e specialiste, da Samantha Galassi a Roberta Ciappini, dalla scozzese Louise Mercer alla rwandese Primitive Nyriora, e poi ancora Katarzyna Kuzminska, Anna Laura Mugno per una gara che ancora una volta non tradirà le attese.
Nel vertical uomini, fari puntatissimi sul detentore delle ultime due corone, Patrick Facchini. Tra gli sfidanti, attenzione allo scozzese Andy Douglas ed al giovane francese Sylvain Cachard. Ma sarà a livello italiano che arriverà l’attacco più deciso con Hannes Perkmann che ha davvero tanta voglia di continuare il suo grande avvio di stagione e con Henri Aymonod pronto a dimostrare di essere definitivamente maturato e pronto a recitare in un ruolo da protagonista. Outsiders di livello top? Il capitano dell’US Malonno Emanuele Manzi o Fabio Bazzana, poi Fabio Ruga ed il giovane Andrea Rostan.
TROFEO NASEGO - Nella gara regina si incrociano medaglie iridate ed europee. Siamo rimasti col salto e lo schiaffo al tabellone di Alessandro Rambaldini, era un anno fa e da quel momento 'Rambo' non avrebbe più sbagliato: vittoria nella classica di casa, titolo italiano al Bronzone Trail e poi il suo secondo mondiale nella magia di Karpacz. Rambo ha sfatato il tabù della Nasego, realizzando un sogno ed ora parte con il pettorale numero uno e facendo paura a tutti. Il livello si impenna decisamente però, i gemelli Bernard e Martin Dematteis hanno non uno, ma parecchi conti in sospeso con la Nasego, che con loro è sempre stata avara di soddisfazioni. Ci saranno poi Aymonod e Luca Cagnati. Storia tutta diversa per un altro orange delle Valli Bergamasche, Xavier Chevrier: a lui è dedicata la serata di sabato presso la tensostruttura di Famea, poi si getterà in gara. Tra i favoriti anche Francesco Puppi, ma soprattutto il keniano Robert Penin Surum. Le superstars internazionali non finiscono qui: Andy Douglas e Sylvain Cachard doppiano e saranno in gara anche la domenica, dove per la verità ambiscono ambedue alla vittoria senza se e senza ma, insieme a loro la Gran Bretagna e la Francia presentano altri due top runner: Chris Arthur e l’eterno ‘le capitain’ Julien Rancon. Tra gli outsiders di lusso pronti a fare esplodere la gara: Emanuele Manzi, Andrea Rostan, Hannes Perkmann, Alberto Vender, Patrick Facchini, Marco Zanoni, Rolando Piana, Fabio Ruga, Francesco Trenti ed Andreas Reiterer…
Nella gara rosa impossibile non partire da un dato altrettanto clamoroso: saranno in gara le campionesse del mondo in carica sia del classic che del long distance. Qualcosa che non capita a molte gare, ma alla Nasego si potrà ammirare la sfida tra Lucy Wambui Murigi e Charlotte Morgan. E ancora Barbara Bani e Gloria Giudici, la rwandese Primitive Niyirora, la francese Elise Poncet, l’irlandese Sarah McCormack, le sorelle della Valle Varaita Francesca ed Erika Ghelfi e la saluzzese Lorenza Beccaria, neo-campionessa d’Italia a staffetta. E proprio il titolo tricolore di lunghe distanze rappresenta la gara nella gara lasciando molto aperto il pronostico in virtù del fatto che la favorita Elisa Sortini sia in forte dubbio a causa di un ginocchio dolorante che le permetterà probabilmente di gareggiare solo nel Vertical. Le pretendenti al titolo però non mancano oltre alle già citate ecco Samantha Galassi, Cecilia Basso, Camilla Magliano.
Speed Twist by Amplatz, il bastoncino che risolve
Pochi particolari sono trascurati dallo sciatore come il bastoncino. Eppure il bastone comanda tutto quanto. È un anello cruciale della catena tecnica, detta i tempi, orienta in larga parte gli atteggiamenti del corpo sugli sci. Nel touring sugli sci o a secco è l’interfaccia tra gli arti superiori e il terreno in ogni fase, collabora decisamente alla progressione in salita, ed è un fattore di sicurezza. Un utilizzatore molto evoluto sa apprezzare anche la qualità della canna: stabilità, smorzamento, aerodinamica, roba per cui servono esperienza e sensibilità. Ma sicuramente tutti, anche i debuttanti, si accorgono subito delle funzionalità - o dei problemi - alle estremità del bastoncino. Per superare i limiti di puntali e impugnature tradizionali, Speed Twist di Amplatz nasconde in testa all’impugnatura un piccolissimo meccanismo veloce, efficace e sicuro che permette di ruotare di 180° l’orientamento del basket del puntale. La posizione standard dietro alla canna è efficace in salita per agganciare il fondo, appoggiarsi, spingere ed estrarre dalla neve senza resistenze. Con una rapida semi-rotazione alla testa del bastone si imposta la nuova posizione del basket davanti alla canna, ottenendo lo stesso appoggio sicuro al terreno anche in discesa: la punta a scalpello in carburo di tungsteno e il gambo lavorano sul fondo esattamente come in salita. Il risultato è l’aggancio sicuro, sempre. Anche su fondi duri come ghiaccio, pietra e asfalto. Anche in caso di errore o distrazione. Tutti gli altri elementi sono altrettanto al top della funzionalità. L’impugnatura in schiuma densa a sezione tonda facilita i piccoli adattamenti ai fondi irregolari o molto inclinati. La regolazione del lacciolo è rapidissima, la sua stabilità successiva è completa. Poco sotto la lunga impugnatura, una guaina ruvida aumenta il grip dei guanti sulle canne salendo a piedi frontalmente pendìi molto ripidi o gradinati. Le canne sottili Komperdell passano con facilità nella neve profonda e non subiscono le raffiche di vento. Speed Twist è il bastone per il touring che conosce la montagna e risolve i problemi.
Speed Twist
Impugnatura: cilindrica prolungata in espanso a cellule chiuse ad alta densità
Canna: Ergal, fissa un pezzo, diametro ridotto
Meccanismo Speed Twist: sviluppo e realizzazione Amplatz / ATK
Punta: Widia a scalpello
Il Tor va in Tour
Il Tor des Géants, dopo dieci anni non ha bisogno di presentazioni, allora si racconta. Racconta le storie dietro le quinte, racconta le allucinazioni degli atleti, racconta le curiosità dei volontari, racconta il lavoro degli organizzatori. Storie che inevitabilmente si intrecciano tra loro. Questo un po’ lo spirito di Tor in Tour che martedì scorso ha fatto tappa a Torino, nella Sala degli Stemmi del Museo Montagna di Torino. Un appuntamento voluto da Ferrino, che sin dalla prima edizione ha creduto nell’evento ed è rimasto sempre sponsor della manifestazione. Dalla fornitura tecnica, sino alla presenza in gara, con un team tutto al femminile. Non a caso nella serata a Torino, con Anna Ferrino, Ceo di Ferrino, c’erano due atlete del Ferrino Women Team, Scilla Tonetti e Alice Modignani Fasoli. E c’era anche Erika Noro, responsabile del progetto VolonTOR e coordinatrice dei 2.500 volontari del Tor des Géants. Ma c’erano anche tanti appassionati di Tor: c’era chi l’ha fatto e chi magari un pensierino a farlo in futuro lo sta facendo. Una gara che nelle storie di chi l’ha fatta diventa più un viaggio dentro se stessi. Cosa si mangia, quanto si dorme, quali sono i tratti più difficili, il Malatrà come momento più emozionante e non solo perché si ‘vede’ il traguardo di Courmayeur: il Tor è una gara diversa da tutte le altre. Lo sapevamo, ma adesso ci crediamo sempre di più.
NUOVI REGOLAMENTI ALL’INSEGNA DELLA CONSAPEVOLEZZA DELLE DIFFICOLTÀ DI UNA CORSA IN MONTAGNA - In un’ottica di autoconsapevolezza sono cambiati i regolamenti delle gare per il Tor X, con modifiche sostanziali per quanto riguarda il materiale obbligatorio e quello consigliato per affrontare in sicurezza la gara. Il concorrente dovrà decidere se portare nello zaino o lasciare nella sacca Tor, in conseguenza di valutazioni proprie o di obblighi da parte della direzione di gara, l’attrezzatura sufficiente per affrontare in tranquillità e sicurezza il tratto di percorso che lo attende. Nonostante ciò, in particolari condizioni (meteo avversa, difficoltà tecniche del percorso…) i commissari di gara potranno controllare l’equipaggiamento del corridore e, in accordo con la direzione di gara, obbligare il corridore ad equipaggiarsi con il materiale richiesto o, in caso estremo, fermarlo.
Il concorrente, valutate le condizioni meteorologiche e il tratto di percorso da affrontare, alle basi vita (ogni 50 km circa), dove trova la sacca Tor, deve preparare la propria attrezzatura. In casi estremi, ai punti di controllo o di ristoro (dove è tollerata l’assistenza personale) il corridore può, grazie ai propri assistenti, avere ulteriori indumenti e scarpe di ricambio, alimenti e/o integratori.
Discorso a parte merita il Tor des Glaciers che, proprio per la sua natura di gara estrema in quasi totale autonomia, richiede che o corridori siano dotati di navigatore GPS, mappe del percorso, altimetro e bussola per seguire il percorso di gara. Una gara che ha riscosso immediato riscontro con pettorali sold out in pochissimi minuti.
Alla base di queste modifiche c’è il concetto di semi-autosufficienza che, da sempre, contraddistingue le gare di Vda Trailers: l’organizzazione fornisce una rete di sicurezza all’interno della quale l’atleta deve essere in grado di muoversi risolvendo e gestendo in autonomia situazioni difficili che possono presentarsi, legate alle condizioni psico-fisiche del corridore ed ai mutamenti meteorologici. Il ruolo dell’organizzazione non è di aiutare un atleta a gestire i normali problemi che possono insorgere: per una corsa in montagna di tanti chilometri la sicurezza dipende in primis dalla propria capacità di autogestione, anche in situazioni estreme, di giorno e di notte.
ESERCITO - Un endurance trail di 330 km con 24.000 metri di dislivello, corso per un tempo che va dalle 67 alle 150 ore in condizioni difficili e con poche ore di sonno, non è solo una prova estrema dal punto di vista fisico, ma anche mentale. Lo sa bene l’Esercito Italiano che, grazie ad una partnership stretta con Vda Trailers, utilizzerà il percorso di preparazione al Tor des Géants e la gara stessa come un addestramento alle missioni.
Ventuno militari, suddivisi in due plotoni da dieci ai quali si aggiunge un capitano, parteciperanno al Tor in partenza l’8 settembre, con le wild card messe a disposizione dall’organizzazione, per allenare e mettere alla prova diversi aspetti della vita sotto le armi quali la capacità di elaborare informazioni in condizioni di difficoltà, la gestione del sonno, la sopportazione del dolore: un addestramento mentale e fisico che nasce dal progetto ‘Over the Top – Cognitive Training’.
Nel 2018, il tenente colonnello Vincenzo Zampella ed il tenente colonnello Giulio Monti parteciparono all’endurance trail valdostano, portandolo a termine. Un ruolo fondamentale, in quell’impresa, è stato rivestito dal cognitive training affrontato dai due ufficiali in preparazione. Monti, nel 2017, si ritirò a pochi chilometri dal traguardo, e da lì è ripartito per raggiungere l’obiettivo.
In preparazione al Tor, i ventuno militari parteciperanno anche al Gran Trail Courmayeur 105 km, che partirà il 13 luglio. La collaborazione tra Vda Trailers e l’Esercito Italiano, presente sul territorio con il Centro Addestramento Alpino di Aosta, è di lunga data, e nasce con la prima edizione del Tor des Géants. Dal 2010 a oggi, infatti, le brandine messe a disposizione dai militari offrono il meritato riposo agli atleti nelle basi vita dislocate sul percorso: una fornitura indispensabile per una delle competizioni più dure e impegnative del mondo. Con la nuova partnership siglata, il corpo militare fornirà un supporto logistico fondamentale, anche in termini di sicurezza, per la realizzazione della gara, grazie all’impiego di mezzi (per esempio elicotteri abilitali al volo notturno) e personale, durante tutta la durata del Tor.