Anche Salomon produce mascherine
Salomon ha convertito il Prototype Center di Annecy per la produzioni di mascherine, per fare fronte alla grande richiesta del mercato francese. A seguire il comunicato ufficiale dell'azienda.
Si siedono un po' in silenzio, sempre ad almeno 2 metri di distanza, in una grande sala all'interno dell’Annecy Design Center (ADC) Salomon. Si tratta di uno staff di 10 persone, tutti specialisti nella produzione tessile con decenni di esperienza. Sono parte del team Soft Goods Prototype Center e normalmente questi progettisti, dal talento unico, realizzano prototipi per le linee future di prodotto: scarpe, giacche, scarponi da sci, zaini e altro ancora. Oggi questo Team specializzato sta realizzando mascherine protettive che, nelle prossime settimane, verranno utilizzate per la protezione dalla diffusione di COVID-19. Il loro obiettivo è consegnarne da aprile a giugno un quantitativo pari a 90.000. Di fronte alla carenza generalizzata di mascherine protettive nel Paese, il governo francese ha lanciato un appello alla propria industria tessile. Con gli strumenti industriali a disposizione, un'azienda francese chiamata Chamatex ha proposto una soluzione: mascherine tessili multistrato lavabili e riutilizzabili. Le mascherine sono certificate dalla DGA (Direction Général de l'Armement) e saranno destinate principalmente alle Amministrazioni e agli operatori industriali di tutti i settori. Poiché le richieste per le mascherine sono aumentate esponenzialmente negli ultimi giorni, Salomon ha ricevuto una chiamata da Gilles Reguillon, CEO di Chamatex, in virtù del rapporto tra le due aziende proprio per la capacità di Salomon di produrre prototipi di ogni tipo. Dopo cinque giorni dalla richiesta iniziale, i componenti del team Salomon erano alle loro postazioni, sempre presso l'ADC, pronti per realizzare le mascherine. «Chamatex è una società francese partner industriale di Salomon da oltre cinque anni» afferma Guillaume Meyzenq, Vice Presidente del settore Footwear di Salomon. «Abbiamo utilizzato la loro tecnologia MATRYX su alcuni dei nostri modelli di calzature premium. Condividono la nostra stessa passione per l'innovazione e hanno talenti unici per realizzare tessuti nuovi e rivoluzionari». Nonostante fosse desideroso di mettersi all’opera per contribuire ad aiutare la lotta alla diffusione del Covid-19, il Team Prototype Center di Salomon è stato costretto a rimanere a casa (come tutti in Francia nelle ultime settimane) per rispettare le restrizioni di sicurezza stabilite dal governo. La scorsa settimana, tuttavia, Salomon ha ricevuto la richiesta da Chamatex. «Durante una giornata normale, al mattino possiamo realizzare una scarpa prototipo che aiuta Kilian Jornet ad arrivare in cima all'Everest e nel pomeriggio un reggiseno sportivo per la nostra linea running» afferma Jean-Noel Thevenoud, che gestisce il laboratorio del Prototype Center, e aggiunge: «Questo è quindi un progetto diverso per noi, ma il Team ha voluto mettersi da subito in campo ed essere d’aiuto sin dall'inizio della crisi. Quando abbiamo ricevuto la chiamata la scorsa settimana, tutti eravamo pronti per iniziare. Ritorneremo presto a produrre attrezzature per outdoor, ma in questo momento siamo molto felici di poter usare le nostre abilità per aiutare in questa emergenza sanitaria».

In arrivo Skialper 129 di aprile-maggio
È una frase di Martin Luther King a contraddistinguere la copertina del numero 129 di Skialper di aprile-maggio, una frase che ben si adatta ai tempi che stiamo vivendo: «Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non farete nulla per cambiarla». Un numero che avrebbe dovuto essere interamente dedicato all’agonismo e allo spirito agonistico, e lo è in gran parte, ma che l’emergenza ha costretto a cambiare leggermente, inserendo anche articoli di viaggio. Per non smettere di sognare. 176 pagine tutte da leggere e da guardare, in distribuzione a partire dal 21 aprile.
COSA RESTERÀ DI QUEI FORMIDABILI ANNI ’90 - Nel giro di poco più di un decennio, con la nascita dello skyrunning, si è imposto il concetto di fast & light che è alla base del nostro andare in montagna e di sport meno estremi come il trail. Ripercorriamo gli anni d’oro di quell’intuizione, con le prime gare sul Monte Bianco e quelle in Himalaya, gli studi scientifici e le foto dell’epoca.
AVEVAMO TUTTO E NON LO SAPEVAMO - Poco conosciuta, la Valle Gesso è stato il luogo dove, inconsapevolmente, abbiamo vissuto l'entrata dell'Italia nel lockdown del Covid-19. E dove ci piacerebbe tornare per la prima sciata. Un reportage esclusivo e autoprodotto, firmato da Federico Ravassard, da uno dei luoghi più selvaggi d’Italia, ideale per lo scialpinismo esplorativo.
SOUL SILK - 9.700 chilometri, 90.000 metri di dislivello positivo, 12 Stati attraversati. Per pedalare dall’Italia alla Cina, raggiungere (spesso sciandole) le montagne più belle e vivere quel soffio di avventura che tanto ci è mancato negli ultimi mesi. Il diario di un viaggio indimenticabile, con testi e foto di Giacomo Meneghello.
AFGHAN SKI CHALLENGE - Quando si porta il fucile con la disinvoltura di una borsa e le priorità della vita sono molto diverse da quelle a cui siamo abituati, anche una gara di scialpinismo diventa l’occasione per divertirsi senza troppe pretese. Ieri come oggi. Un reportage dall’Afghanistan firmato da Ruedi Fluck.
MONSIEUR MEZZALAMA - Adriano Favre è il signorsì della gara di scialpinismo più famosa del mondo. Ma è anche rifugista, soccorritore, himalaysta, Guida alpina, gestore di rifugio, sviluppatore di prodotti per Ferrino. A tu per tu con un personaggio davvero poliedrico.
SKIALPER AMARCORD - Enrico Marta, fondatore di Skialper, ha seguito la parabola dello skialp race dagli esordi e ricorda alcuni degli episodi più curiosi, dai primi exploit di Kilian e Roux, alle funamboliche prestazioni di Giacomelli. Con le foto dell’archivio della nostra rivista.
L’ANNO ZERO - 1989: Fabio Meraldi e Adriano Greco, insieme a Valeria Colturi, partono dall’abbigliamento per lo sci di fondo per creare la tutina che ha fatto la storia dello skialp agonistico.
L’INCREDIBILE STORIA DELL’ATTACCHINO CHE FA IMPAZZIRE IL MONDO - Una serie di coincidenze ha permesso di sviluppare un’idea rivoluzionaria che dalle gare si è velocemente imposta come lo standard dello scialpinismo. Ecco come è nato e si è sviluppato l’attacco a pin, con le testimonianze dei protagonisti e le foto dei primi prototipi.
QUELLI DELLA NOTTE - 240 atleti, 80 volontari, 30 chilometri di percorsi da preparare in meno di un’ora e da disallestire entro l’alba: dietro alla Monterosa Skialp c’è una macchina organizzativa complessa, che lavora tutto l’anno per un evento di qualche ora. Curiosità e le spettacolari foto di Stefano Jeantet dell’ultimo evento agonistico top che si è disputato.
WESC 1991 - Per anni in Alaska è stato organizzato il Mondiale di sci ripido. Alla prima edizione uno sconosciuto sciatore di Jackson Hole ha sbaragliato la concorrenza. Si chiamava Doug Coombs. Il racconto di Robert Cocuzzo, che ha scritto un bellissimo libro su Coombs, illustrato dalle foto di quell’edizione del WESC del fotografo Wade McKoy
GO WITH THE FLOW - Dopo il terzo Freeride World Tour Arianna Tricomi è sempre più la freeskier del momento, ma il suo successo è frutto di un background che va dallo sci alpino alla prima scena freestyle, quella di chi il kicker lo costruiva con le proprie mani. Perché la passione per lo sci viene prima di tutto. Alberto Casaro l’ha incontrata poco prima del lockdown
NADIR MAGUET, IL MAGO TRASFORMISTA - Prima fondista, poi biathleta, scialpinista. E ora dobbiamo chiamarlo skyrunner? Per capirlo siamo andati a trovarlo a casa sua.
DOLOMITI HALF MARATHON EXPERIENCE - La mezza maratona dell’Alpe di Siusi e del Sassolungo non sono solo due delle gare più belle tra i Monti Pallidi, ma percorsi unici da provare tutta l’estate. Ognuno al proprio ritmo, magari fermandosi per una pausa in una delle tante baite gourmet lungo il percorso.
MUST HAVE - Le chicche per chi ha lo spirito agonistico dentro, che sia con una tutina, un pettorale in una gara di trail o dei padelloni ai piedi in un contest di freeski. Pagine da sfogliare tenendo ben lontana la carta di credito…
E NON FIISCE QUI - Il consueto appuntamento con il portfolio fotografico, un approfondimento sulla Workstation di ATK Bindings e sulle anteprime Dynafit per il prossimo inverno in chiave skialp race, opinioni e tanto altro.
Contrabbandieri di emozioni
Ha ragione Giorgio Daidola, il vero scialpinista è un viaggiatore errante. Usa gli sci non solo come mezzo di trasporto, ma pure come strumento di conoscenza del mondo e di se stesso. Li utilizza per raggiungere luoghi inaccessibili attraversando deserti bianchi, come bene ci ha insegnato Michel Parmentier; per salire montagne che sono solo tappe di un percorso fuori e dentro di sé. Un percorso che, a volte, ha come obiettivo l’orizzonte, per vedere ciò che c’è dopo e ciò che c’è dentro. Non per niente sciare è un po’ come vivere: consente di lasciare una traccia che non è indelebile, ma che identifica in modo univoco chi l’ha disegnata, così vincolata come è alla sua sensibilità, alla sua capacità tecnica, all’attrezzatura utilizzata, persino allo stato d’animo e alle emozioni del momento. E le traversate - meglio di ogni altra attività scialpinistica - permettono di rendersi conto di tutto questo, seguendo le tracce di chi le ha percorse per primo ed entrando in sintonia con la sua sensibilità, pur vivendo ogni volta un’esperienza nuova; assecondando le proprie emozioni, entrando fra le pieghe delle montagne, penetrando in punta di piedi in un mondo che, seppure già percorso, come la neve, cambia a ogni ora, a ogni folata di vento.
Per vivere queste emozioni non è sempre necessario partire per più giorni da casa e andare in capo al mondo. A volte è possibile trovare ciò che si cerca anche dietro l’angolo. Io ho avuto la fortuna di condividere un breve viaggio alla portata di qualsiasi scialpinista allenato a pochi passi da casa, sulle nostre Alpi, in giornata, da Isolaccia di Valdidentro a Livigno, lungo le tracce dei contrabbandieri e dietro alle code di Giacomo Meneghello. Lui è un fotografo che vive a Sondalo e che, collaborando con la Ski Trab, ha avuto l’idea di creare un’alta via scialpinistica tra Bormio e Livigno, tracciando due percorsi. Uno, più logico e diretto, parte da Isolaccia e uno, più difficile e tortuoso, prende il via da Oga, quest’ultimo in verità già in parte sperimentato da alcuni scialpinisti locali che fanno capo sempre alla Ski Trab. Noi, a causa del rischio valanghe, abbiamo affrontato il tracciato meno pericoloso, ma anche più lineare. Ventuno chilometri per circa 1.900 metri di dislivello positivo. Un tracciato senza particolari difficoltà tecniche che, partendo dalla Valdidentro, concatena in modo logico diverse convalli esistenti tra Bormio e Livigno. Convalli in un recente passato utilizzate dai contrabbandieri per far transitare le merci dal porto franco di Livigno all’Italia. Lo abbiamo fatto il lunedì di Pasquetta in una giornata splendidamente serena dopo il maltempo della settimanaprecedente che aveva portato quasi un metro di neve fresca, ma anche numerosi accumuli da vento suipendii maggiormente esposti.
Partenza alle 6,30 da Sant’Antonio di Scianno, pochi chilometri sopra Isolaccia, nel comune di Valdidentro, a quota 1.650 metri. Lasciata l’auto in un piccolo spiazzo, abbiamo iniziato a risalire verso il Monte Resaccio dapprima facendo traccia in un rado bosco di abeti e poi su distese innevate in cui s’intuivano alpeggi semisepolti dalla neve in un universo fiabesco al risveglio. Giacomo Meneghello davanti, noi dietro. Una decina di scialpinisti in tutto per l’occasione: alcuni ragazzi di Cantù guidati da Marco Colombo di Ski Trab, il forte altoatesino Alex Kheim con la moglie parmigiana Anna e io. Si sono poi aggiunti in Val Vezzola alcuni appassionati livignaschi e di Semogo tra cui la nota atleta polacca di scialpinismo Anna Tybor. Ci aspettavano già in quota, essendo partiti più avanti, da Li Arnoga. Un ripido pendio, la larga cresta ed eccoci in vetta al Monte Resaccio. Siamo a quota 2.717 metri. Il panorama a 360 gradi toglie il fiato; Cima Piazzi ci ammalia controllando ogni nostro passo dall’alto della sua bellezza e severità. In fondo, a sinistra, riconosco il Pizzo Palù, dietro l’Ortles con la sua corona di cime del bacino dei Forni.
Anna Tybor, reduce da una brillante prestazione al Tour du Rutor, mi fa da Cicerone illustrandomi il nome di valli e convalli. Livignasca d’adozione, mi dice di non poter più fare a meno di queste montagne. Il tempo di spellare e giù, verso il bianco più bianco. Versante nord: farina intonsa, sciatona. Gli Ski Trab Maestro che l’azienda bormina mi ha dato da testare per l’occasione non mi fanno rimpiangere sci più larghi. Ricamiamo un lenzuolo intonso consapevoli di essere dei privilegiati. Consapevoli di poter ancora una volta sperimentare che è vero che gli sci sono sciancrati per meglio adattarsi alla forma rotonda del mondo; per meglio consentirci d’accarezzarlo con le nostre curve. Si attraversa un universo incantato senza alcuna traccia, se non quella di qualche camoscio. Dalla Val Vezzola transitiamo in Val Trela. Procediamo ora in leggera salita sotto un sole abbacinante. È metà mattina. Le montagne si scrollano di dosso ciò che non riescono più a trattenere. Sentiamo rombo di scariche. La tigre bianca oggi è sveglia, in agguato su molti pendii, nascosta sotto il nuovo strato di neve. Ma il nostro percorso è mansueto. Giacomo lo ha scelto apposta preferendolo a quello più rischioso che transita in Val Viola e che potrebbe essere affrontato al ritorno in un ipotetico viaggio ad anello di due giorni. Saliamo pendii non impegnativi al Monte Rocca (2.814 m), classica scialpinistica della zona. Lo rimontiamo da est, non - come di consueto - da nord-ovest.
Dalla vetta si apre sotto di noi la Valle di Tre Palle. Firn e neve trasformata per una sciata da ricordare, con Giacomo che si sdoppia nel ruolo di guida e fotografo. Malghe che emergono qua e là, stalle, cavalli. Un presepe che lascia segni indelebili nell’anima dell’escursionista-viaggiatore. Attraversiamo una strada asfaltata in località Trepalle (quota 1.918) e di nuovo rimettiamo le pelli. Ora si sale verso il Monte Crapene (2.430 m). Ancora pendii dolci, neve trasformata. Qualche escursionista con le ciaspole. L’ambiente si fa meno isolato, gli impianti e le piste del carosello sciistico compaiono dall'altra parte della valle. Dalla cima del Crapene appare Livigno, giù in fondo. Dall’alto sembra davvero esteso e con il suo vestito migliore, quello tutto bianco, sembra una perla tra una conchiglia di cime.
Inanellando curve sul firn, scendiamo così fino al capolinea del nostro viaggio, firmando altri magnifici pendii con le lamine. Le nostre tracce saranno già scomparse, cancellate dal sole o dal vento. Non sarà invece cancellata l’idea di Giacomo d’ideare questo percorso che consente di collegare al ritmo delle pelli questi due paesi, Bormio e Livigno, divisi dalla cresta delle Alpi, ma uniti in una splendida cavalcata. Percorrendola noi, contrabbandieri d’emozioni, siamo andati alla ricerca del senso del viaggio con gli sci, solcando valli e salendo montagne dolci come la panna montata. Come sempre alla ricerca della curva perfetta. Come sempre trovando alla fine noi stessi.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 118 di Skialper di giugno 2018. Se vuoi acquistare l'arretrato clicca qui, se vuoi abbonarti a Skialper qui.

Gruppo Alpinistico Gamma di Lecco: un libro per aiutare gli ospedali della provincia
La provincia di Lecco è molto vicina all'epicentro del contagio di Covid-19, nel cuore della Lombardia, e le sue strutture sanitarie sono state travolte dallo tsunami dell'emergenza. Basti pensare che in uno dei due ospedali locali, quello di Merate, che si trova a poche centinaia di metri da una delle case che in queste settimane si è trasformata in una delle tante redazioni di Skialper sparse per il Nord Italia, a marzo 2020 sono decedute 214 persone contro le 37 di marzo 2019. Ora il Gruppo Alpinistico Gamma di Lecco lancia un'iniziativa di supporto alla raccolta di fondi 'Aiutiamoci', ideata dalla Fondazione Comunitaria del Lecchese a sostegno dell'azienda socio sanitaria locale, iniziativa che ha già raccolto quasi 4 milioni di euro di donazioni. Il Gruppo ha deciso di mettere in vendita 30 copie del bel libro che racconta la storia di questo sodalizio alpinistico ai piedi del Resegone a un prezzo di base d'asta di 50 euro. Ogni copia avrà una dedica speciale. Per informazioni: info@gruppogammalecco.com
Pik Lenin, sogno di vento e ghiaccio
Arranco lentamente, ogni venti passi mi fermo e, appoggiato sui bastoni, con un paio di respiri più lunghi, cerco di rimettere il fiato a posto con i tempi. Poi riparto spingendo gli sci in un mare di bianco accecante. Il pendio non è ripido e la neve non è brutta, ma la quota trasforma ogni singolo movimento in una fatica immonda. Mi fermo più e più volte, e ogni volta lo sguardo si fissa sulle mie due lame nere che trascino con i piedi e che fendono, anche cromaticamente, il manto candido della montagna che mi ospita. Non sono uno scialpinista e gli sci accoppiati sotto il mio respiro affannato mi ricordano solo anni passati, dove gli stessi, di altre forme e uso, giacevano inermi in attesa di affrontare le discese libere per le quali ero portato. Discese libere intese come attività sportiva di scorrimento veloce, tra salti e curve affrontate a oltre 100 chilometri orari, su nevi tendenzialmente dure o ghiacciate, un altro sci insomma, lo sci di un ragazzino che sognava i cinque cerchi olimpici, lo sci di un giovane esuberante che amava l’ebbrezza della velocità e un altro tipo di montagna. Poi i tempi passano, i cinque cerchi sfumano e l’amore per la neve cambia, più e più volte.
SEI AMICI AL BAR Alla fine, pochi mesi fa, un incontro fortuito al bar, un’idea che sembrava buttata lì tanto per parlare, un progetto che silenziosamente prende piede, che diventa realtà e che ora mi fa contare una ventina di passi tra una sosta e l’altra. Il bar era uno qualunque, con un arredo qualunque, in un pomeriggio qualunque, l’incontro quello con Cala Cimenti, l’unico Snow Leopard italiano. Cala è un ragazzone torinese di 41 anni che con la conquista del Peak Communism (7.496 m), nell’estate del 2015, è stato insignito dell’onorificenza del leopardo, che viene riconosciuta dalla Federazione di Alpinismo Russa solo a chi ha scalato tutte le cinque montagne di 7.000 metri delle ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale. Cala mi propone di salire il Peak Lenin (7.134 m), nel sud del Kirghizistan, senza dubbio tecnicamente la più facile delle cinque vette sorelle, ma innegabilmente anche quella con più vento, parametro questo che ne abbassa drasticamente la percentuale di riuscita (raggiungono la cima solo il 20-25% dei pretendenti). Spingo e conto, mi fermo e respiro, ogni tanto mi guardo intorno e ammiro la maestosità della parete nord che, sulla mia sinistra, scende omogenea e apparentemente liscia verso una valle grigia. Sotto i colori slavati e secchi dell’alta quota estiva si allungano a perdita d’occhio fino a spegnersi nell’infinito. Sto risalendo la via principale, quella della cresta ovest, sono a metà strada tra il campo due, a quota 5.300, e il campo tre, che andremo a montare ai 6.100 metri. Sono sotto il peso stremante di uno zaino enorme, imposto dalla scelta dell’autosufficienza nei campi avanzati. Con me, chi davanti e chi dietro, oggi ragionevolmente slegati, i miei compagni d’avventura, tutti amici ‘da bar’ che, al momento di decidere la trasferta, si sono trovati nel posto giusto al momento giusto e hanno deciso di unirsi alla spedizione. Un gruppo di amici normali con la passione per la montagna e per lo sport endurance, un sestetto che si conosce e si frequenta specie nelle gare di trail running e che ha deciso di condividere un’emozione forte chiusa da tempo nei relativi cassetti dei sogni. Maurizio Basso, 27 anni, è un serramentista che lavora in proprio, pratica scialpinismo agonistico e corsa in montagna di buon livello. Joseph Sassano, 45 anni, un cuoco con un infinito amore per la montagna. Flavio Ferrero, 52 anni, un dirigente d’azienda che impegna ogni minuto libero della sua vita in attività fisiche legate ai monti. E poi lei, la cucciola del gruppo, Natalia Mastrota, 21 anni, figlia del televenditore Giorgio Mastrota e della bella attrice Natalia Estrada, che al cemento di Milano ha preferito la vita più sobria e montana di Chamonix dove lavora come cameriera/barista. Un sestetto, tutto affiliato al CAI di Bra, in cui l’unico a non aver mai spinto gli sci con le pelli sono io, ma in un paio di prove tecniche mi tolgo le formalità di risalita mentre per la discesa non vedo problemi. Il pendio s’inasprisce e quella che fino a ora era una linea di percorrenza retta, si trasforma nel classico zig zag da escursione scialpinistica. Virata su virata approdo al piattone adibito a campo tre dove una quarantina di tende, per lo più momentaneamente disabitate, colorano e ravvivano un ambiente quasi troppo bianco. Il sole è alto e caldo, il vento sembra avere concesso una pausa, le speranze sono buone, domani si tenta la vetta.

GIORNO X 25 luglio 2016, ore 3,30: fuori da una delle due tende arancioni Ferrino preparo le ultime cose, tra le quali gli sci appesi allo zaino, monto i ramponi sugli scarponi e parto seguendo un tracciato illuminato dall’esile fascio di luce che esce della mia frontale. Abbiamo deciso partenze scaglionate per provare a essere in cima tutti insieme, scelta difficile per chi come me non è avvezzo a certe situazioni che quindi deve affrontare da solo, ma decisione unanime che avrà nei fatti la sua ragione. Ben distanziate nella notte si intravvedono una trentina di luci ciondolanti, il freddo è di quelli importanti (percepito -35°) ma l’adrenalina riscalda gli animi, spingendo le gambe in un’andatura decisa. I soliti 20-30 passi, poi un piccolo recupero e poi ancora movimento. Verso le 5,30, anticipati da sfumature viola e arancioni, i primi raggi di sole colorano il cielo. Uno spettacolo mozzafiato che mi godo in compagnia di Natalia. The Knife, il coltello, una cresta particolarmente esposta alla furia dei venti, è la parte più tecnica dell’intero percorso, l’unica dove è richiesto l’uso della piccozza, almeno per sicurezza. Appena prima violente folate di aria gelida ci hanno fatto abbandonare lo zaino con gli sci, lasciandoci quindi spogli e leggeri, con meno vela da offrire alla violenza delle raffiche e più possibilità di continuare. Poi lunghi traversi e mammelloni nevosi che sembrano non finire mai e alla fine lui, che sotto forma di piccola testa bronzea rappresenta il vertice del monte che gli hanno dedicato: Lenin. Il sole oramai alto illumina il mondo e il mondo, visto da qui sopra, sembra essere ancora più infinito. Mi vengono in mente le parole con cui Richard Parks, in Oltre l’orizzonte, descrive una situazione simile e le faccio mie: «Quassù l’orizzonte è più lontano che in qualsiasi altro luogo, e trovarsi a contemplarlo significa contemplare quanta più terra possibile senza staccarsi dalla sua superficie. Per questo motivo penso che ti faccia sentire più vicino al pianeta e, in qualche modo, a qualsiasi cosa ci possa essere di superiore a noi esseri umani». Cala e Mauri, mostrando esperienza e forza fisica fuori dal comune, a differenza di noi, arrivano in cima con zaino e sci al seguito e, come da programma, ridiscendono sciando l’immenso versante nord. Un’enorme parete di 2.700 metri di dislivello tagliuzzata da un’infinità di crepacci e lucidata nelle sue parti più esposte. Natalia purtroppo, causa geloni ai piedi, non ce l’ha fatta a salire e appena prima del coltello ha dovuto rinunciare, come peraltro ha fatto anche almeno un terzo della trentina di alpinisti provenienti da tutto il mondo che ci ha provato in questa gelida notte di fine luglio. Io, Flavio e Joseph, fatte le consuete foto di rito, ritorniamo ripercorrendo l’infinita cresta ovest che, dopo alcune ore, ci riporta al campo 3.
IL SOGNO NEL CASSETTO Ho camminato e sciato piano, pianissimo, ho fatto soste su soste, ho allestito e smontato campi, ho mangiato e fatto i bisogni in situazioni per me assolutamente nuove e decisamente estreme; sono stato aiutato, più psicologicamente che fisicamente, specie dall’amico Joseph, con cui ho condiviso l’ultima parte dell’ascesa finale, ho avuto un principio di congelamento ai piedi e annebbiamento della vista, probabilmente, a causa dell’aria rarefatta e della disidratazione. Sono anche stato momentaneamente incosciente perdendomi sfumature che non troverò più, ma alla fine ce l‘ho fatta. Con tanto sacrificio, un po’ di sana sofferenza e un pizzico di fortuna, fondamentale come sempre, ce l’ho fatta. Ce l’ho fatta io, un non alpinista e ce l’hanno fatta i miei amici scialpinisti. Ce l’abbiamo fatta e abbiamo portato a casa il nostro sogno nel cassetto. E la sera dell’ultimo giorno, nelle verdi e respirabili quote del campo base (3.500 m), guardando il grosso massiccio granitico ricoperto di neve e arrossato dagli ultimi raggi di sole che precedono la notte, seduto nella mia tenda, stanco e sorridente, rubando nuovamente una citazione a me cara (di Tiziano Terzani) ho semplicemente pensato: «Buonanotte signor Lenin».

Andata e ritorno in 13 ore e mezza
Dopo la salita dalla Normale, Cala Cimenti ha salito e disceso in velocità e in solitaria la via Arkin sulla difficile parete nord del Peak Lenin, per oltre 2.700 metri di dislivello. Ecco il racconto dell’impresa.
Sono le cinque del pomeriggio del primo agosto, neanche a farlo apposta guardo l’orologio che segna le 17.00 spaccate. Attraverso fasci di polvere di neve sollevati dal vento osservo il profilo del busto di Lenin. Reciprocamente ci guardiamo sornioni. Sono in cima al Peak Lenin (7.134 m) per la seconda volta in una settimana e quattro anni dopo la prima salita, quando questa cima ha dato il via al mio Snow Leopard Ski Project che è poi durato tre anni. Mi tornano alla mente immagini, emozioni, amicizie che mi hanno arricchito in questo arco di tempo sovietico e inevitabilmente vado con la mente anche a sette giorni prima, quando cinque amici festeggiavano in questo stesso luogo con grandi pacche sulle spalle e mille foto. È stato bello mettere a disposizione la mia esperienza a queste quote e la conoscenza della montagna per aiutare un gruppo di amici ad arrivare in cima alla loro prima montagna di settemila metri. In più, con Maurizio, siamo scesi da questa immensa parete nord con gli sci calzati direttamente dalla cima. Questa volta però è diversa, sono inginocchiato a 7.134 metri di quota e sono felice, sereno, volevo congedarmi da questa montagna con qualcosa di speciale, mi sarebbe piaciuto salire la sua parete nord attraverso la via Arkin in velocità, senza l’ausilio di campi intermedi e senza bivacchi, in giornata e da solo. Ovviamente volevo salire la nord in giornata per poterla poi ridiscendere con gli sci. Volevo regalare tutto a questo luogo un po’ speciale per me e mi sarebbe piaciuto che questa impresa rappresentasse la degna conclusione del mio periodo da leopardo delle nevi. Mi sarebbe piaciuto e speravo che la montagna me lo concedesse. Così la notte tra il 31 luglio e il primo agosto, alle 4.40 del mattino, sono partito dal campo a 4.400 m alla volta della cima, 2.700 m più in alto. È stata una salita dura, resa ancora più difficoltosa dall’abbondante neve caduta nei giorni precedenti, ma alla fine, dopo 12 ore e 20 minuti, ho raggiunto la cima in un ambiente surreale.
La discesa è stata meravigliosa: nonostante la fatica, che inevitabilmente non ti permette di avere quella continuità nella sciata che hai a quote meno elevate, sono riuscito a godermi una neve a tratti farinosa, sorprendentemente molto meglio di quella che mi aspettavo. La degna conclusione di tutto. Un’ora e dieci minuti dopo ero di nuovo giù, ai piedi del ghiacciaio. 13 ore e mezza dopo la mia partenza. Non mi restava che attraversare per l’ultima volta la grossa morena che mi divideva dal campo da cui sono partito e tornare all’agglomerato di tende gialle con gli sci in spalla. A metà strada mi è venuta incontro la piccola Natalia ed è stato un piacere incontrare, prima di tutti, i suoi occhi sorridenti nonostante proprio quel giorno avesse fallito il secondo tentativo di arrivare in cima. Insieme siamo andati al campo base e dopo è stato tutto un susseguirsi di strette di mano, sorrisi, complimenti e vodka.
Cala Cimenti
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Prove di collaborazione tra La Grande Course e ISMF
Dopo un matrimonio difficile e interrotto prematuramente, La Grande Course e International Ski Mountaineering Federation tornano a collaborare, come ha anticipato anche a Skialper Adriano Favre, presidente LGC, in un’intervista pubblicata sul numero di aprile, in uscita a breve. Favre si è incontrato con il suo omologo ISMF, Thomas Kähr, ad Arvier, in Valle d’Aosta, alla presenza delle delegazioni dei comitati esecutivi delle due organizzazioni. Uno dei primi passi concreti in questa direzione sarà l'organizzazione di un Campionato del Mondo long-distance all'interno di una delle gare LGC già esistente. Un team di progetto congiunto si occuperà di intraprendere gli interventi necessari per la realizzazione di questo obiettivo nel più breve tempo possibile. LGC ha, inoltre, manifestato la propria intenzione a collaborare attivamente all'interno di ISMF, in una modalità che dovrà ancora essere definita. Il desiderio di LGC è, quindi, quello di contribuire attivamente al rafforzamento di ISMF quale piattaforma globale per lo scialpinismo.
Al fine di raggiungere questo obiettivo, ISMF dovrà avviare un progetto specifico di collaborazione e i vari settori di competenza all'interno di ISMF dovranno deliberare su questo progetto integrativo. Inoltre, i settori di collaborazione più importanti includeranno il potenziamento dei giovani talenti ma anche gli ambiti relativi all'anti-doping e all'attività dei giudici. Si pensa inoltre a un coordinamento nella comunicazione tra le due organizzazioni.
Le Mascherine di Elleerre
Elleerre, il marchio di Alzano Lombardo che produce materiale promozionale e sponsorizza alcuni importanti atleti del mondo outdoor, si trova nell’epicentro del contagio Covid-19 nella Bergamasca. Qualche settimana fa, insieme a Grande Grimpe, ha iniziato a produrre mascherine riutilizzabili in poliestere da donare al Comune di Nembro. Ora, alla luce delle numerose richieste ricevute, ha iniziato a riconvertire la produzione per rendere disponibile questo prodotto a coloro che ne avessero bisogno e devolverà al Comune di Nembro 0,50 euro per ogni articolo venduto. Le mascherine filtranti riutilizzabili sono in tessuto non tessuto (TNT) 100% poliestere, realizzate con doppio strato e lavabili in lavatrice a 40°. Non sono un dispositivo medico né un DPI. Info qui.
Dalle 14 di oggi online Evolution, il nuovo film di Anna Stöhr
Dopo aver lasciato le competizioni nel 2018, la climber austriaca Anna Stöhr era alla ricerca di nuove sfide. Sicuramente ne ha trovata una ad Aiglun, nelle Alpi Marittime francesi, dove la trentunenne ha affrontato e completato Ali Baba (8 tiri, 250 metri, grado 8a+). Il film Evolution, che sarà online e gratuito da oggi alle 14 sul sito di Salewa ( www.salewa.com/anna-stoehr-evolution) racconta il viaggio personale che ha portato una due volte campionessa mondiale di bouldering da un estremo all'altro dell'arrampicata, lasciando le competizioni in artificiale per abbracciare la libertà, la necessaria determinazione e i ritmi caratteristici delle grandi pareti di arrampicata alpina. Di Anna Stöhr abbiamo scritto anche sul prossimo numero di Skialper, in distribuzione a partire dal 21 aprile.
Durante il film l'atleta Salewa ricorda un episodio di alcuni anni fa, durate un climbing trip in Sardegna. A quell'epoca stava cominciando a meditare sulla sua evoluzione come scalatrice e aveva affrontato le sfide caratteristiche delle vie lunghe: «Ero impressionata da quelle pareti e volevo scoprire se fossi in grado di scalarle. Avevo fiducia nelle mie abilità atletiche, ma avevo anche grande rispetto per l'altezza e l'esposizione di queste gigantesche pareti di roccia. Le mie abilità mentali, che ero così brava a usare durante le competizioni, sembravano inutili mentre dondolavo a 100 metri di altezza dal suolo... In quel momento mi diedi l'obiettivo di diventare una scalatrice più versatile».
Insieme al suo compagno, lo scalatore professionista Kilian Fischhuber, si è dedicata a questa sfida cercando nuovi progetti al di fuori delle palestre di arrampicata. Affrontare una via impegnativa come Ali Baba, e riuscire finalmente a completarla, rappresenta un punto di svolta nella vita di Anna. Stava affrontando un nuovo terreno sotto ogni aspetto, passando dai brevi e intensi problemi di bouldering alle lunghe vie verticali di arrampicata alpina. È riuscita a superare la sfida con se stessa, oltre che con la parete? Il film Evolution mostra come Anna Stöhr, una climber di livello mondiale, abbia lasciato la propria comfort zone per affrontare le sue paure in una diversa dimensione dell'arrampicata.
Transilvania, la polvere di Dracula
L’inverno 2015-2016 verrà ricordato come ‘l’inverno che non c’è’. Il tempo è passato a vedere i siti meteo inesorabilmente forieri di cattive notizie: anche questa settimana di neve non se ne parla e allora non resta che prendere le scarpette e andare a scalare. Così passano le vacanze di Natale, il Capodanno e anche oltre finché… Squilla il telefono e dall’altra parte il Cis mi dice: «Ho sentito un amico che lavora in Romania, lì c’è neve, potremmo andare a vedere». Fino a quel momento della Romania avevo solo un vago ricordo di un tema scritto a scuola, qualche film del conte Dracula, ma nulla che avesse a che fare con la neve o con lo sci. Dopo qualche ricerca su internet, mi trovo ad acquistare un biglietto con destinazione Bucarest ed eccoci davanti al check-in con in mano uno zaino e una sacca da sci. La ragazza addetta alle operazioni di imbarco guarda la sacca e con sorriso sornione ci domanda: «Sci? Non sapevo che in Romania si sciasse». Meno male che aveva tante doti, ma nessuna di queste legata alla neve o allo sci…

NEBBIA E POWDER Siamo un gruppo ristretto: io, il Cis (Andrea Cismondi) e Albi (Alberto Torassa). Dopo qualche ora di volo, sognando e fantasticando, ci ritroviamo ad atterrare a Bucarest. Sulla pista c’è un mucchio di neve. Bene, quella sarà l’unica che vedremo nella giornata in quanto la passeremo tra la nebbia e la pioggia. Mentre l'umidità ci entra nelle ossa, ritiriamo la macchina a nolo, una Ford Fiesta che scopriamo essere più capiente del previsto o noi più piccoli di quanto immaginavamo. Sta di fatto che riusciamo a infilarci tutto dentro. Durante il viaggio abbiamo cambiato programma svariate volte - il meteo non è stato decisamente dalla nostra parte - e in serata ci siamo ritrovati sulle montagne del Fagaras, in un albergo alla partenza della cabinovia che porta a Balea Lake. Qui conosciamo un addetto degli impianti di risalita che parla un cattivo italiano e ha lavorato per alcuni anni in Italia. Ci descrive la stagione come la peggiore degli ultimi 30 anni: «Poca neve». Perfetto, ecco il resoconto del primo giorno: tanti chilometri, tanta pioggia, niente neve. La tristezza e lo sconforto vengono placate solo dalla birretta serale. Però la mattina del secondo giorno ha un nuovo gusto, quello della polvere. La pioggia del giorno prima in quota ha lasciato una spanna di powder e dopo la colazione si decide il programma: andiamo su Balea Lake e rimaniamo in quota. Prendiamo la prima funivia, un impianto a fune vetusto che mi ricorda tantissimo la vecchia cabinovia per salire al Bianco. Il quadro reca la scritta Fitre Milano e mi sento quasi a casa.

BALEA LAKE, FINALMENTE NEVE La vista fuori cambia. Il verde e marrone lasciano spazio al bianco candido e… sbam! Siamo in inverno! Scendiamo a Balea Lake, un lago ghiacciato contornato da colate di ghiaccio e da canali di neve, il paese dei balocchi per noi. Prendiamo una stanza in un albergo sul lago e poi via, si montano le pelli agli sci: è il momento di dare spazio alla fantasia. Tutto da scoprire e da fare, in giro solo noi. La giornata ci regala tre discese su una spanna di polvere su fondo duro, concludendola alla grande mangiando omelette e bevendo birra. Ora il tutto inizia ad avere senso. La mattina seguente ripartiamo alla scoperta del territorio e, indossati i ramponi, con gli sci in spalla risaliamo il canale dietro all’albergo, che ci porta sulla cresta. Qui gli spazi si aprono e lo sguardo corre sul bianco delle montagne e i colori scuri della pianura. Una serie di discese ci regalano quel sound sognato per mesi: la libertà di sciare e di essere liberi di lasciare la nostra firma su un manto perfetto.

BENEDETTO SALVAMONT La vacanza continua: riscendiamo a valle, ricarichiamo la macchina e ripercorriamo al contrario la strada di qualche giorno prima con destinazione Busteni. Il terzo giorno ha inizio prendendo la cabinovia che ci porta sull’altipiano dei Monti Bucegi. Le previsioni meteo sono tornate brutte, un forte vento spazza l’altipiano e le nuvole viaggiano veloci. A peggiorare la situazione, Cabana Babele, il rifugio dove pensavamo di rimanere a dormire, ci delude: niente dormire, niente mangiare. In quota con brutto tempo, neve ventata, senza mangiare e senza bere… La giornata non poteva iniziare peggio e nello sconforto proviamo a raggiungere la capanna della Salvamont (quello che in Italia sarebbe il soccorso alpino) nella speranza di qualche buona notizia. Ed ecco come un inizio pessimo può trasformarsi in una gran giornata. È una stupenda baita di montagna e il tipo che vive dentro non solo ci offre un posto dove dormire ma ci darà da mangiare, indicazioni per le gite e per concludere in bellezza una sberla colossale di vino rosso. Rimaniamo due giorni sull’altopiano scorrazzando tra una vetta e un'altra, tutte con dislivelli molto contenuti, ma con gran neve e con il parco giochi a nostra disposizione. Qui ci facciamo anche una cultura sul soccorso alpino di zona e arriviamo a una sola conclusione: vietato farci male! L’ultima gita sull’altipiano, con destinazione Monte Omu e discesa nei canali fino a valle, viene stoppata a metà. Troppi accumuli da vento: vediamo di non andarcela a cercare! Cambiamo discesa e rientriamo a valle con la cabinovia per trasferirci in un albergo di Sinaia dove ci viene regalato l’ingresso in piscina, bagno turco e sauna: perché non approfittarne? Abbiamo sognato i pendii di Sinaia ma la nostra vacanza è terminata al Cota 2000, un bar sulle piste: tempo troppo brutto. Non ci resta che… fare tappa su Bucarest per dare uno sguardo alla capitale prima di caricare gli sci sul volo di rientro per l’Italia.
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La Sportiva annuncia la mascherina per lo sport e posticipa di un anno il lancio della collezione estiva
La Sportiva, dopo avere chiuso i suoi stabilimenti prima che il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri rendesse obbligatorio lo stop alla produzione e avere riconvertito parte della catena alla realizzazione di mascherine ha deciso di posticipare di un anno il lancio della collezione estiva 2021 e ha annunciato un nuovo modello di mascherina con filtro sostituibile, adatto per chi fa sport. A seguire il comunicato stampa ufficiale che annuncia il nuovo prodotto e quello sul lancio della collezione estiva.
La Sportiva presenta la prima mascherina igienica per lo sport
Lo aveva annunciato Lorenzo Delladio presentando due settimane fa il progetto di riconversione di una parte del sito produttivo di Ziano di Fiemme allo scopo di produrre mascherine chirurgiche per la Protezione Civile di Trento: «Stiamo cercando di proporre soluzioni innovative anche in questo campo per risolvere principalmente un problema sino ad ora sottovalutato, ovvero quello dell’impatto ambientale causato dalle attuali mascherine monouso oggi in commercio». La sfida è stata lanciata proprio da Delladio al suo reparto di Ricerca e Sviluppo: trovare una soluzione che aumenti il comfort e l’ergonomia di un prodotto che saremo tutti costretti ad indossare per lunghi periodi, dando la possibilità di sostituire unicamente l’elemento filtrante e quindi di riutilizzare il prodotto nella nuova quotidianità che tutti noi ci troveremo a vivere nella seconda fase dell’emergenza da COVID19.
Si chiama Stratos Mask la nuova mascherina igienica sportiva di protezione generica realizzata in tessuto con filtro interno intercambiabile e facilmente sostituibile. È un prodotto lavabile, riutilizzabile e comodo da indossare grazie ad una perfetta ergonomia studiata per fasciare il volto in maniera sicura e confortevole. La messa a punto è avvenuta nell’ultima settimana grazie ai primi prototipi realizzati a partire dai tessuti tecnici della linea abbigliamento La Sportiva. Terminata la fase di collaudo l’azienda ha già
provveduto a depositare la domanda di brevetto e valuterà in una seconda fase se precedere con la domanda di certificazione sanitaria, al momento Stratos Mask è a tutti gli effetti una mascherina igienica di protezione generica perfettamente utilizzabile per praticare sport quando i decreti lo permetteranno a fine emergenza.
«Fino ad oggi giustamente le mascherine avevano principalmente il ruolo di proteggerci in una fase di emergenza e l’attenzione ad elementi quali comfort ed impatto ambientale era stata messa in secondo piano. In azienda abbiamo però iniziato a ragionare sul lungo periodo, cercando di limitare il più possibile gli sprechi a favore dell’ambiente – dice Delladio – e pensando alla praticità di utilizzo continuativo di un oggetto che entrerà nella nostra quotidianità. Ne è uscita una soluzione molto smart, che permetterà ad ognuno in maniera semplice e veloce di rimuovere e sostituire autonomamente il filtro accessorio interno, lavare la mascherina e tornare a re-indossarla in tutta sicurezza».
Ulteriori informazioni circa le modalità di commercializzazione saranno disponibili nelle prossime settimane. Nel frattempo l’azienda conferma che al momento della ripresa della normale attività, la produzione di mascherine sia chirurgiche sia generiche sportive si affiancherà a quella delle scarpette outdoor e scarponi da montagna per le quali il marchio La Sportiva è conosciuto in tutto il mondo.

La Sportiva posticipa di un anno il lancio della collezione estiva
L’emergenza causata dal diffondersi dell’epidemia di COVID19 non appare vicina alla sua soluzione immediata, di conseguenza La Sportiva dopo aver deciso in anticipo sui tempi voluti dal Governo per la chiusura dello stabilimento di Ziano di Fiemme, e dopo la riconversione di parte dell’impianto produttivo a favore della produzione di mascherine e dispositivi sanitari per la Protezione Civile di Trento, adotta ora una misura importante a sostegno dei negozianti e della propria rete vendita mondiale.
Preso atto che la chiusura prolungata della maggioranza dei negozi italiani ed europei, cominciata proprio nella fase iniziale della stagione spring/summer 2020, porterà ogni operatore del settore a fare i conti con giacenze di prodotto molto alte, prodotti che nella maggior parte dei casi non hanno nemmeno avuto il tempo di essere presentati al mercato e che non possono quindi essere tra qualche mese considerati “superati”, La Sportiva ha deciso di posticipare il lancio di circa il 90% della collezione abbigliamento estiva 2021 e della gran parte delle novità calzature previste.
Lo scopo di questa decisione è di preservare il valore dei prodotti della collezione che si trovano attualmente nei magazzini dell’azienda e dei negozianti in un’ottica “slow fashion” che permetterà ai partner di non essere costretti a svalorizzare la merce e a continuare a proporla con maggior respiro nei prossimi mesi.
La nuova collezione apparel che sarà presentata a maggio alla rete vendita mondiale e che sarà nei negozi a Primavera 2021 (circa 74 i mercati serviti), riproporrà quindi gran parte della collezione attuale 2020, arricchita da alcune nuove capsule prodotto aggiuntive e non sostitutive di precedenti prodotti. Stessa decisione coinvolge anche diversi nuovi progetti relativi alle collezioni Footwear Mountain Running® e Climbing, con l’identico obiettivo di non rendere prematuramente obsolete grandi quantità di prodotto invenduto a causa della prolungata chiusura.
«In questo momento così difficile per tantissimi nostri negozianti in tutto il mondo, non ci sembrava responsabile presentare, come siamo soliti fare e come il mercato impone normalmente, decine di prodotti nuovi che avrebbero immediatamente appesantito gli assortimenti dei negozianti, in un anno dove è probabile che l’invenduto sarà tendenzialmente elevato. – Dice Giulia Delladio, Strategic Marketing Manager de La Sportiva - La nostra azienda si impegnerà di conseguenza ad investire le risorse di Marketing sostenendo in ogni modo possibile un corretto e completo processo di sell-out delle collezioni già attualmente nei magazzini dei nostri partner».
Si tratta di un segnale forte che l’azienda ha deciso di lanciare nella profonda convinzione che possa aiutare tutta la filiera a creare le migliori condizioni possibili per una pronta ripresa nel post emergenza. Il motto aziendale di questi giorni è sempre lo stesso: «Uniti, seppure divisi, scaleremo anche questa cima».
Ripresa agonistica? Troppo alto il rischio giuridico
L'elenco delle gare annullate, o rinviate, si allunga di giorno in giorno. Ma quando si potrà realisticamente tornare a correre in un trail o una sky marathon? Difficile a dirsi, di sicuro fino alla fine dello stato di emergenza, cioè il 31 luglio, appare improbabile che possa svolgersi una gara, alla luce anche dei rischi giuridici ai quali andrebbero incontro gli organizzatori. A questo proposito la FISKY, una delle federazioni coinvolte nell'organizzazione di eventi, ha preso una posizione chiara comunicando che «fino al 31 luglio 2020 non sono autorizzate manifestazioni che fanno riferimento alla nostra Federazione, salvo eventuali nuove disposizioni delle competenti autorità». Sull'argomento abbiamo chiesto un parere all'avvocato Flavio Saltarelli.
La ripresa agonistica per l’oudoor running non è dietro l’angolo. Sino a che il Covid 19 rappresenterà un probabile pericolo, anche giuridicamente sarà assai sconsigliabile gareggiare, se non a condizione di enormi rischi ed improponibili sforzi, anche economici, delle organizzazioni. Questo è ciò che ho in estrema sintesi risposto in questi giorni ai numerosi organizzatori di competizioni di trail e skyrunning i quali mi hanno interpellato domandandomi: Quando potremo riprendere a correre in gara? Che cosa eventualmente si rischia?.
La responsabilità degli organizzatori (come costruita dalla giurisprudenza) a tutela degli atleti si configura allorquando in gara gli atleti medesimi incorrano in pregiudizi non imprevedibili e riconducibili, secondo la miglior scienza ed esperienza, al comportamento colposo degli organizzatori. Ad oggi l’unica certezza per garantire la salute dal Covid 19 pare essere il mantenimento di un’adeguata distanza di sicurezza; distanza di sicurezza che non sarebbe ipotizzabile tenere ed assicurare in tutti i momenti delle competizioni di trail e skyrunning. Infatti, anche eventuali partenze a cronometro, non impedirebbero frazioni di gara caratterizzate da estrema vicinanza tra gli atleti (pensiamo ad esempio ai sorpassi); senza poi voler considerare le difficoltà di poter fruire della necessaria e tempestiva assistenza medica in loco.
Solo, dunque, attraverso un quasi impossibile monitoraggio temporalmente aggiornato con relativa certificazione della salute degli ammessi alla partenza gli organizzatori potrebbero tutelarsi, dimostrando di non essere in colpa in ipotesi di successivi sintomi da virus accusati dagli atleti partecipanti, sintomi la cui eziologia potesse essere riconducibile all’ambito della gara.
In via preliminare va ricordato che la colpa (intesa come imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, ordini, regolamenti e discipline) è l’elemento costitutivo della responsabilità civile e penale; colpa che viene meno - di fatto - solo quando gli organizzatori sono in grado di dimostrare di aver assunto ogni precauzione a garanzia della salute degli atleti.
Sotto il profilo normativo, ai fini della responsabilità civile rileva l’art. 2043 del Codice civ. laddove obbliga il risarcimento di ogni danno conseguente a fatti lesivi ingiusti patiti; per quanto attiene la responsabilità penale le fattispecie di reato ipotizzabili sono, invece, quelle di lesioni ed omicidio colposo.
Più difficile - ma non impossibile - , inoltre, configurare a carico degli organizzatori, in ipotesi di scoppio di focolaio in seguito alla gara organizzata, il gravissimo reato di epidemia di cui all’art. 438 Codice Penale, il quale prevede: Chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo. Trattasi di delitto che ha come elemento costitutivo il dolo (la volontarietà e la consapevolezza di cagionare l’epidemia) ma non impossibile da configurarsi anche nel caso di evento non voluto, ma frutto di comportamento gravemente imprudente, in quanto nel nostro ordinamento esiste anche il cosiddetto dolo eventuale che ricorre ove un soggetto - pur non volendo cagionare specificatamente un evento - essendo consapevole del pericolo, o dovendo esserlo, corre il rischio di cagionarlo e l’evento si verifica.
Da ultimo, non è remota la possibilità di finire alla sbarra per delitto colposo contro la salute pubblica, fattispecie prevista e punita dall’art. 452 del Codice penale che punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque commette, per colpa, appunto, uno dei fatti preveduti dall’articolo 438 Cp., cioè contribuisce anche per imperizia o imprudenza al diffondersi di un’epidemia.
Ski Trans Alt Tirol
Novembre 2017. Attenzione, quella che avete sotto gli occhi non è la solita proposta. È la sintesi di un percorso durato diversi anni... qui dentro c'è tutta l'essenza della mia personale chiave di lettura dello scialpinismo. C'è la mia formazione di geografo, la passione per la storia, il piacere di perdersi tra le montagne, il valore della condivisione e il vizio di documentare l'esperienza per non perdere un giorno i ricordi e le emozioni vissute…
Avrei potuto tenere questo viaggio per me, invitare solo qualche amico intimo, invece ho deciso di provare a realizzarlo in quella che sento essere la mia veste più naturale, e cioè quella della Guida alpina. Se qualcuno raccoglierà il mio invito e vorrà unirsi anche solo per un tratto di questo lungo viaggio, ne sarei onorato!
Dopo diverse stagioni di incubazione, nell’autunno scorso finalmente il progetto sembrava delinearsi in maniera chiara nella mia mente ed era pronto a essere partorito. Così mi sono deciso a prendere la tastiera stendendo le specifiche minime per spiegarlo alle persone che intendevo coinvolgere e ho inviato il file, accompagnato dal messaggio di cui sopra. È questo il gioco che mi attira dell’alpinismo: prendere un’idea, un sogno, una visione, per quanto balzana o assurda, valutarla da ogni angolazione, magari scartarla, oppure digerirla, metabolizzarla, pianificarla, attendere il momento opportuno, agire e infine trasformarla in qualche cosa di concreto, tangibile, vero. Un po’ come rubare piccoli lembi da una dimensione fantastica e immaginaria e portarli nel mondo reale. Una chiave di lettura che può essere applicata alle vie nuove, o alle discese con gli sci, e che in questi anni ho spesso provato a portare anche all’interno del mio lavoro di Guida, con proposte o progetti un po’ particolari e insoliti. Per quanto riguarda questa traversata del Tirolo Storico, credo che l’idea sia nata davanti a una carta, anzi una piccola mappa in rilievo delle Alpi che tengo appesa alla parete di casa. Un giorno ho posato l’attenzione sulla zona di massima estensione dell’arco alpino sull’asse Nord-Sud, segnalata in basso giusto dall’inconfondibile goccia del Lago di Garda, e da lì sono partito alla ricerca di un percorso dove il rilievo subisse meno interruzioni possibili e permettesse di rimanere in quota. Ho sempre avuto il desiderio di perdermi dentro alle montagne, di starci il più tempo possibile, per godere quelle sfumature che le gite mordi e fuggi spesso non lasciano il tempo di cogliere e niente meglio dello scialpinismo di traversata si adatta a questo proposito! Quel che è successo dopo è pura fortuna. Mano a mano che seguivo con gli occhi questo ipotetico percorso, mi sono reso conto che la linea più logica dal Garda correva attraverso la Catena del Lagorai, dove sono cresciuto, e poi sulle Dolomiti, per proseguire sulle montagne dell’Alta Pusteria e quindi fino in Austria. Ho provato a figurarmi il percorso in inverno ed ho capito di aver trovato la vena d’oro: un vero e proprio regalo della natura che sembrava concedere un viaggio con gli sci in un contesto scenografico unico per varietà e spettacolarità. Dagli uliveti di un piccolo angolo di Mediterraneo incastonato tra le montagne ai mastodontici ghiacciai degli Alti Tauri, attraversando zone non certo molto frequentate, ma sempre provvidenzialmente provviste di strutture in grado di fornire il necessario supporto logistico.

In seconda battuta ho realizzato che la linea ideale correva giusto lungo il confine di quello che fino al secolo scorso era il Tirolo Asburgico, ovvero la regione più meridionale dell’immenso impero Austro-Ungarico. I primi ordinamenti che sanciscono l’estensione del territorio tirolese dal Lago di Garda fino alla zona montuosa del Kaisergebirge risalgono agli inizi del 1500: da quel tempo lontano, i confini del Tirolo storico rimasero pressoché invariati fino al termine della Prima Guerra Mondiale, quando le province di Trento e Bolzano vennero annesse al Regno d’Italia. Le genti che abitano questa regione transfrontaliera risultano pertanto accomunate da secoli di storia, con tratti distintivi comuni che ancora oggi sopravvivono nonostante l’appartenenza a nazioni diverse, e la suggestione di poterle idealmente riunire con questa traversata mi sembrava un ulteriore valore aggiunto. Certamente non volevo dare alcuna connotazione politica dell’iniziativa, ma questo collegamento dettato al contempo dalla geomorfologia e dalla storia mi è sembrato avere quasi un valore di messaggio universale, ovvero quello delle montagne come spazio d’unione, piuttosto che elemento di separazione come spesso si vorrebbe far credere. Il caso ha voluto che durante la traversata il Tirolo Storico fosse sempre presente, da un vecchio calendario di stampo asburgico trovato in un bivacco sul Lagorai alle stampe storiche dei bed & breakfast dove abbiamo dormito. In ogni modo, l’entusiasmo e l’apprezzamento che ho raccolto ancora prima di partire mi ha sorpreso e gratificato ed è stato lo stimolo decisivo per buttarsi a capofitto in quest’avventura. La traversata è stata pianificata a tappe di tre giorni ciascuna, da svolgersi ogni due settimane in maniera da poter sfruttare i periodi con le condizioni presumibilmente ottimali. Le tappe in programma erano sette, per un totale di 21 giornate sugli sci su uno sviluppo di poco inferiore ai 400 chilometri. Giovanna e Alberto sono stati i temerari che si sono offerti di seguirmi in tutti gli appuntamenti, dall’inizio alla fine, mentre tanti altri amici si sono aggregati a una o più tappe, ognuno compatibilmente con i propri impegni. Viste le ambiziose premesse, ci voleva una partenza in grande stile e dai connotati simbolici: così siamo partiti direttamente con gli sci in spalla dal centro storico di Riva del Garda, un tempo estremo avamposto sud-occidentale della Mitteleuropa, e abbiamo preso una barca a vela per navigare sul ‘fiordo’ del Garda fino a Malcesine, dove la funivia del Monte Baldo ci ha portati in quota, permettendoci di calzare gli sci in direzione Monte Altissimo di Nago.
La prima giornata si è conclusa a Festa di Brentonico e l’indomani per portarci sul Monte Stivo abbiamo inforcato le E-bike, giusto per adattarci allo stile vacanza outdoor che tanto caratterizza l’Alto Garda. Dal rifugio Marchetti la terza giornata ci ha visto seguire la lunga cresta che conduce alle Tre Cime del Bondone, raramente percorsa d’inverno, per poi riprendere le biciclette e scendere fino in Piazza Duomo a Trento, per un aperitivo in grande stile all’Aquila d’Oro, dove anche la statua del Nettuno pareva guardarci perplessa. Due settimane più tardi abbiamo iniziato a fare sul serio e, nonostante il maltempo, siamo salpati per la mitica traversata del Lagorai. Devo dire che da quando ho memoria scialpinistica ho visto davvero pochissimi gruppi, forse tre-quattro in tutto, portare a termine il percorso integrale che dal Monte Panarotta porta al Passo Rolle o viceversa. La carenza di punti di appoggio lungo il percorso obbliga a tappe lunghe e complesse e di certo scoraggia l’approccio a questa magnifica Haute Route che attraversa vallate silenziose e fuori dal tempo. Vista la quantità di neve fresca presente e la scarsa visibilità, anche noi abbiamo dovuto deviare dal tracciato ottimale ed evitare diverse cime, ma è stato comunque un punto di orgoglio riuscire a portare a termine queste due tappe difficili dove serve anche spirito di adattamento e lavoro di squadra.

A marzo siamo approdati in Dolomiti, dove la presenza antropica cambia radicalmente, ma come tutti sanno la scenografia è talmente grandiosa da lasciare sempre a bocca aperta. Nei primi tre giorni dal Rolle a Corvara abbiamo ancora pagato pegno con il meteo, sebbene con dei risvolti positivi, come la possibilità di affrontare la Val Mezdì, alias il fuoripista più famoso e gettonato delle Alpi Orientali, in perfetta solitudine! Quando è stato il tempo di ripartire dalla Val Badia, però, ai piani alti hanno deciso che dopo tante bastonate era il tempo della carota, e ci sono state regalate tre giornate da cineteca, con neve commovente e un susseguirsi ininterrotto di scenari mozzafiato: Lagazuoi, Fanes, Sennes, Croda Rossa d’Ampezzo, Tre cime di Lavaredo… per rubare le parole all’amico e collega Marco Maganzini, «SciAlpinismo con la A maiuscola, tra pareti di disperante verticalità!».
In aprile abbiamo provato a sfuggire all’avanzare della primavera alzandoci di quota e inoltrandoci nel gruppo delle Vedrette di Ries, inseguiti da un caldo feroce ed esagerato… qui per la prima volta siamo dovuti tornare sui nostri passi e rinunciare a svalicare sul Collalto, visto che alle 9.30 del mattino a 3.000 metri c’erano quindici gradi. Il gran finale, ovvero i tre giorni conclusivi, ci hanno visto invece impegnati sugli Alti Tauri. Da programma inizialmente avevo pensato di spingermi fino al Grossglockner, ma il tempo splendido e le condizioni strepitose ci hanno invogliato a chiudere in bellezza con tre belle cime: in ordine Picco dei Tre Signori, Großer Geiger e GroßVenediger, prima di scendere fino a Matrei e quindi a Lienz, con prati e alberi ormai in fiore ad annunciare il cambio di stagione.

Mi sono chiesto che cosa resterà di questa fantastica cavalcata da Sud a Nord. Sicuramente gli incontri lungo il percorso, perché una traversata di questo tipo è fatta anche per conoscere persone, prima fra tutti i tanti rifugisti con i quali abbiamo condiviso fantastiche serate. E poi tre momenti emergono sopra a tanti ricordi. Dal punto di vista paesaggistico la lunga tappa dal Lagazuoi al rifugio Sennes, nel cuore delle Dolomiti, davvero una di quelle scialpinistiche che ti rimangono nella testa a lungo. Per quanto riguarda lo sci, non dimenticherò i mille metri di dislivello su perfetto firn, tutti tra i 25 e 30 gradi, dal Collalto, sopra Anterselva, e la lunghissima discesa dal GroßVenediger, con oltre 2.000 metri di dislivello. Col senno di poi, direi che meglio di così non poteva andare: al di là delle 14 giornate di bel tempo sulle 21 totali e delle ottime condizioni d’innevamento, la traversata è stata letteralmente al di sopra delle aspettative, e questo soprattutto grazie al fattore umano, ovvero la passione che tutti i partecipanti hanno messo in questa piccola grande sfida. Come ha detto giustamente Barbara, siamo stati trascinati in un turbine di emozioni e amicizia. Per questo sarò eternamente riconoscente a tutti gli amici che ci hanno creduto e mi hanno aiutato in tante maniere diverse, dai sopralluoghi preventivi ai carichi di viveri da portare in bivacco, fino al grosso lavoro fatto con foto e riprese per documentare adeguatamente l’esperienza. A nome di tutti, credo di poter dire che la prima attraversata scialpinistica del Tirolo Storico sia stata e rimarrà un’esperienza indimenticabile: ora la strada è aperta, e auguriamo a quelli che in futuro vorranno ricalcare il nostro cammino di divertirsi almeno quanto noi! E io, finalmente, ho potuto tagliarmi la barba. Sì, perché me l’ero tagliata appena prima della partenza a gennaio e durante la prima tappa mi hanno detto: adesso lasciala crescere per tutta la traversata. Così ho fatto, aspettando l'ultimo giorno per tagliarla!
Traversata del Tirolo Storico
Tappe 1-3: dal 12 al 14 gennaio 2018, da Riva del Garda a Trento via Malcesine, Monte Grande, Monte Altissimo di Nago, Monte Stivo, Cima Alta, Cornetto del Bondone, Viote.
Tappe 4-6: dal 2 al 4 febbraio 2018, dalla Panarotta alla Val Campelle via passo della Portela, lago di Erdemolo, rifugio Sette Selle, passo dei Garofani, Passo Cadino, lago delle Buse, forcella Montalon, forcella Valsorda, Colle di San Giovanni, Malga Conseria.
Tappe 7-9: dal 23 al 25 febbraio 2018, da Malga Sorgazza a San Martino di Castrozzavia forcella Magna, Malga Val Cion Alta, passo Copolà, rifugio Refavaie, cima Paradisi, cima Fossernica, Malga Miesnotta di sopra, forcella Valzanchetta.
Tappe 10-12: dal 9 all’11 marzo 2018, da Passo Rolle a Colfosco in Badia via Monte Mulaz, Falcade, Passo San Pellegrino, Forca Rossa, Malga Ciapela, Marmolada, Porta Vescovo, Passo Pordoi, rifugio Boè, Val Mezdì.
Tappe 13-15: dal 23 al 25 marzo 2018, da passo Falzarego alla Val Fiscalina via Lagazuoi, forcella del Lago, rifugio Fanes, forcella Ciamin, Fodera Vedla, rifugio Sennes, Ra Stua, forcella Colfiedo, passo Cima Banche, Lago d’Antorno, rifugio Auronzo, rifugio Locatelli, valle di Sasso Vecchio.
Tappe 16-18: dal 6 all’8 aprile 2018, da Santa Maddalena in Val Casies a Riva di Tures, via Hoher Mann, forcella Hexenscharte, Passo Stalle, lago di Anterselva, Schwarze Scharte (respinti!), trasferimento con mezzi pubblici a Riva di Tures, salita al triangolo di Riva e discesa per la Valle dei Dossi.
Tappe 19-21: dal 20 al 22 aprile 2018, da Predoi a Matrei, via Picco dei Tre Signori, Reggentörlscharte, Essener und Rostocker Hütte, Großer Geiger, Kürsinger Hütte, Venediger Scharte, GroßVenediger, Gschlosstal, Tauer.
Mezzi di trasporto utilizzati: Barca a vela, funivie e seggiovie, E-bike, furgone Fiat Ducato, treni, autobus.
Lunghezza tappe: tra i 900 e i 2.300 metri di dislivello, gradualmente in crescendo.
Dislivello medio giornaliero: 1.300 metri.
Sviluppo medio giornaliero (solo sci, senza i trasferimenti): 22 chilometri.
Sponsor: Scarpa, Millet, Völkl, Marker, Julbo, APT Valsugana, Guide Alpine Mountime-Outdoor Adventures
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