«Dare un senso alla vita può condurre alla follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio. È una barca che anela al mare eppure lo teme».
Quanti di noi sono quella barca dipinta dai versi del poeta e avvocato americano Edgar Lee Masters. Quante volte vorremmo seguire una nostra passione fino in fondo e invece siamo trattenuti dal farlo da quel senso di sicurezza che in realtà ci imprigiona e lega alla routine che ci siamo costruiti. A volte invece capita d’incontrare persone che amano talmente quello che fanno da mollare gli ormeggi dal porto delle loro abitudini per seguire semplicemente questa passione. Qualcuno le giudicherà egoiste, fuori dagli schemi, certamente fortunate: io so solo che quando le incontro il mio livello di energia interiore cresce in maniera naturale. Persone così sono una sorta di power bank del buon umore. Ecco Carole Chambert, Tiphaine Duperier e Boris Langenstein! In loro brucia una passione fortissima per lo sci, per lo stare in montagna il più tempo possibile. Forse lo davo per scontato, anzi non ci avevo neanche pensato: sarebbe stato ovvio iniziare questa intervista parlando del Laila. Sono questi tre ragazzi francesi quelli che hanno spaccato il Laila per primi!
Le montagne con i nomi di donna sono affascinanti. Le sciatrici poi! Quando a queste cose aggiungi una neve perfetta, il fatto di essere in Himalaya su uno dei pendii più iconici e in voga degli ultimi anni, il gioco parrebbe fatto. Eppure… Eppure dopo cinque minuti che eravamo con loro in un tavolo all’aperto della Val Ferret davanti a una bella birra, era chiaro quello che già nel nostro inconscio sospettavamo. Va bene il Laila, ma la cosa bella era che ci trovavamo di fronte a tre veri appassionati di montagna. Due donne e un uomo col coraggio di vivere al 100 per cento la loro passione per lo sci, per i viaggi in quota e per la neve. Energia genuina, pura e semplice! L’anno trascorso a girare il mondo con gli sci, seguendo l’eterna primavera per avere la neve più bella dalle Alpi all’Himalaya, passando per il Perù e l’Alaska, è solo una piccola parte della loro attività. Il Laila è la ciliegina sulla torta e sinceramente pienamente meritata. Sinceramente questo incontro è stato una scoperta, nel pieno della filosofia che guida la scelta dei personaggi delle nostre interviste. Non ci importa che abbiano un sito, che postino 5.000 foto da quando si lavano i denti a quando sono in cima. Ci piace parlare di sci con persone che si sentono vere senza doverlo dimostrare. Carole, Tiph e Boris sono stati davvero il prototipo dello skier che ci piace. Energia, pochi fronzoli. Come dice Fabri Fibra (mi sto violentando a fare questa citazione, ndr) nelle canzoni per i giovani «…se non usi i social nessuno si fida». Quando invece capisci che ci sono ancora quelli che preferiscono investire ogni minuto libero per stare all’aria aperta su qualche pendio invece di trascorrere tempo a postare, un senso inconscio di speranza ti pervade. Forse non è ancora tutto perduto. Non vivono fuori dal mondo e dai suoi canali di comunicazione, sia chiaro. Ma abbiamo dovuto indagare un po’ per capire chi sono questi tre ragazzi francesi. La pagina Facebook correlata al loro progetto 12 mois d’hiverrecita Ski de pente raide autour du monde. Il sito omonimo non funziona e allora partiamo da qui per conoscerli.
La prima domanda è sempre importante, ed è un po’ che ci frulla in testa: due ragazze e un uomo in giro per il mondo a sciare, chi è che dormiva in mezzo?
Ridono tutti un po’ imbarazzati. Carole alza la mano e prende la parola: Ero io!
Carole Chambaret, 32 anni, bionda savoiarda di Albertville, si avvicina allo sci col padre, quindi agonismo e un po’ di gobbe, maestra di sci in Val d’Isère; conosce il suo coetaneo e poi compagno di vita Boris Langenstein a 18 anni, anche lui trasferitosi lì per fare l’istruttore di sci e preparare gli esami per diventare Guida alpina. Boris e Tiphaine invece andavano nella stessa scuola per discipline alpine di Annecy e da allora vanno in montagna insieme. Dei veri compagni di cordata. Boris non esita a definire Tiph la sua best partner per sci e salite. Tiphaine è originaria della zona montuosa dei Bauges, poi migrata in Tarentaise. Essendo un moniteur de ski lo sci occupa molto suo tempo. D’estate ha anche lavorato come operaio forestale. Dopo essere stata membro del gruppo Excellence National Mountaineering, ha inseguito i sogni d’infanzia diventando Guida Alpina. Viaggiare in montagna è definitivamente una delle loro attività preferite. Prima d’intraprendere il progetto 12 mois d’hiver avevano già alle spalle numerosi viaggi per sciare in Turchia, Perù e Nuova Zelanda, solo per citare alcuni dei posti visitati. Poi arriva il 2016, inverno particolarmente capriccioso qui sulle Alpi, almeno all’inizio: Carole e Boris tagliano il cordone ombelicale che li lega alle loro abitudini e decidono di seguire il sogno. Un anno, 365 giorni di sci intorno al mondo, senza pressioni, solo seguire la propria voglia di sci. Il sogno di generazioni di sciatori. Come tutti anche per loro nella vita c’erano un sacco di progetti, ma era sempre difficile realizzarli tutti. Magari organizzavi un viaggio, andavi in un posto per sciare una determinata montagna. Poi uno si doveva scontrare con le condizioni, con il meteo, con il conto alla rovescia del tempo che era sempre poco.
Basta! Dopo averci pensato quasi tre anni, Carole e Boris hanno deciso di vivere a fondo quello che volevano fare: prendersi una finestra temporale sufficientemente lunga per potersi muovere in libertà, seguendo letteralmente la neve e le stagioni, fermandosi nei posti quanto bastava per fare quello che volevano. Un vero e proprio flow sciatorio intrapreso a gennaio 2016, inizialmente in due in furgone sulle Alpi francesi, partendo senza un vero e proprio piano per le prime settimane, se non per seguire il proprio istinto e adattarsi alle condizioni per scoprire le montagne. E poi gli amici che via via li raggiungevano e si univano a loro per piccoli periodi.Quindi Italia, in Valle d’Aosta, intorno a Rhêmes-Notre-Dame a respirare la prima polvere. Poi via accompagnati dal sottofondo del diesel del loro van verso Est, l’Austria, di nuovo l’Italia, i periodi di maltempo. Quindi Slovenia, Bosnia, Montenegro nel massiccio del Durmitor, nelle Alpi Dinariche dove a detta loro ci sono spettacolari montagne dai caratteri alpini. A seguire Albania, poi su verso la Polonia e i Tatra, quindi nel Sud-Ovest della Bulgaria, nei gruppi del Pirin e del Rila. E siamo solo nei primi due mesi. Arriva marzo: ovvio che ci si sposta in Turchia, nella zona dell’Ala Daglar, dove ad attenderli c’era una moltitudine di canali perfetti per sciare, come sul Demirkazik. Spesso capitava che i due sciavano al mattino e magari arrampicavano al pomeriggio. Senza un piano preciso, in fondo in montagna se la cavano abbastanza bene e la cosa compensava abbastanza la mancanza di un’organizzazione minuziosa. E poi in Turchia il kebab era troppo buono!Aprile in Georgia, il Mount Kazbek fino ad arrivare nella regione Svaneti a Mestia: questo periodo Carole e Boris lo hanno condiviso con i rispettivi padri che li hanno raggiunti e sono rientrati Francia con il furgone dei figli, visto che la coppia si stava per spostare in Alaska: rock’n roll insomma!E in Nord America i fortunelli, raggiunti da altri amici, trovano condizioni epiche nel Denali Range: 17 giorni su 18 nei quali hanno sciato in continuità una linea dietro l’altra, molte delle quali aspettavano qualcuno che le sciasse per la prima volta. Chiedere i nomi di tutte? Non se le ricordano. Insomma, occhi illuminati a palla e sciare. Punto. Poi arriva il turno del Perù, dove trovano condizioni meno buone e più secche. Ciò comunque non impedisce loro di sciare il mitico Artesonraju (6.025 m) con una doppia di 40 metri, il Tocllaraju e di provare per due volte ma senza successo l’Huascaran. Una chicca: il secondo tentativo su questo gigante, visto il buon acclimatamento (dopo quello che avevano già sciato ci mancherebbe…) e la partenza per un’altra destinazione imminente, lo hanno effettuato one push, direttamente da Huaraz, fallendo per il cattivo tempo nella parte alta che ha aiutato a sbagliare percorso. Dopo l’avventura peruviana arriva il tempo del Tagikistan, un po’ in anticipo rispetto all’apertura dei campi del Peak Communism, quindi perché non spostarsi in Kirghizistan dove sono stati solo due giorni ma hanno provato lo stesso il Peak Lenin arrestandosi a 6.400 metri? Tornati in Tagikistan, hanno poi sceso una linea splendida sul Korzhenevskaya Peak (7.105 m).Con l’arrivo di settembre e ottobre vengono raggiunti da Tiphaine Duperier in Tibet per tentare lo Shisha Pangma, la quattordicesima montagna più alta della Terra con i suoi 8.027 metri. Tiph è alla sua prima grande spedizione. Purtroppo però le condizioni sulla montagna sono pericolose, nevica continuamente e una valanga uccide uno degli sherpa. Carole non si è ben acclimatata, Boris e Tiphaine stanno bene, ma c’è troppa neve fresca, o semplicemente troppo per noi, come ci dicono. L’incidente, poi, ha contribuito a creare una strana atmosfera.A novembre si torna a casa, in Francia: due mesi ancora nel 2016 per sciare!
Poche chiacchiere e tanto sci. Di solito chi realizza progetti come questo cerca più supporto mediatico e da aziende di settore. Che scelta è stata la vostra?
«Guarda, siamo un po’ pigri. Pigri nel cercare sponsor e quel genere di supporto. Ci sono state delle ditte come Outdoor Research o Völk che ci hanno aiutato con materiale e piccoli contributi, ma tutti e tre abbiamo un lavoro e i nostri soldi li spendiamo per fare le cose in montagna!» O per Carole – aggiunge Boris – anche se lei non pare convintissima e arrossisce.
Il vostro progetto 12 mois d’hiver lo avete portato a termine nel 2016. Poi subito Laila?
«No, no anzi! Ci piace troppo viaggiare con gli sci! Nel maggio 2017, io (Boris, ndr) e Tiph siamo stati in Kashmir e Ladak. Una spedizione bellissima, forse la più bella che abbiamo fatto. Non c’era nessuno, solo la gente dei villaggi di alta montagna. Abbiamo sciato montagne tra 5.000 e 7.000 metri tra cui il Nun. Sempre nel 2017, abbiamo tentato il Pumori (7.161 m) sul confine tra Nepal e Tibet, la stessa linea che aveva tentato Paul Bonhomme. È stata una bella spedizione, ma anche per noi niente cima: troppo ghiaccio, abbiamo tentato anche senza sci, come salita alpinistica, ma ci siamo dovuti fermare a 100 metri dal punto più alto. Pazienza, magari torneremo».
Poi basta e via per il Laila? Siamo qui per farcelo raccontare. Una montagna che è diventata un’icona per lo ski de pente.
«Sì, la spedizione dopo è stata quella del maggio 2018 del Laila. Tutti e tre insieme. Forse la spedizione più facile che abbiamo portato a termine, per condizioni e logistica. Quando siamo arrivati, il nostro contatto dell’agenzia locale ci ha detto che a breve sarebbe arrivato anche un team italo-svizzero per provare il Laila (quello di Cala Cimenti, Matthias Koenig e compagni). Quasi non ci credevamo e nemmeno eravamo sicuri di aver ben capito. Di Laila in Pakistan ce ne sono ben tre dopotutto».
Sentivate un po’ di pressione?
«No, però confessiamo che alla prima finestra di bel tempo, anche se non eravamo perfettamente acclimatati essendo appena arrivati, abbiamo provato! Bam! (ridono, ndr).
Siamo stati molto fortunati, eravamo saliti un paio di volte oltre i 5.000 metri, ma poi abbiamo deciso di provare direttamente dal campo base. Partenza poco dopo mezzanotte, 2.000 metri di dislivello, un percorso vario e con diverse esposizioni sulla montagna, con sezioni più o meno tecniche. Il traverso per entrare in parete ci sembrava carico, forse abbiamo osato, c’era una neve stupenda, ma era tanta. Dopo quasi dodici ore eravamo in cima. In salita per la neve e per la quota è stato faticoso, ma una volta fatti scattare gli attacchi è stato incredibile, neanche difficile se vogliamo. Ovvio, la prima parte era davvero dritta, ma con quella neve sciare è stata la cosa più facile! Volevamo venire a sciare questa montagna già durante il nostro anno passato a sciare, ma non siamo riusciti a organizzare bene il periodo per avere buone condizioni. Quest’anno è stato davvero perfetto. Forse la migliore neve che abbiamo mai sciato in quota!».
Siete stati molto fortunati, Cala ci ha riferito di condizioni diverse durante la sua discesa.
«Sì, sì, è vero, ce lo ha detto, le condizioni sono cambiate, la neve si è compattata. Non sappiamo se sarebbe stata così facile».
Una discesa che ha avuto un bel ritorno mediatico.
«Guarda, la cosa incredibile è che quando abbiamo chiamato i nostri amici in Francia, già la cosa si sapeva, e noi non avevamo ancora detto niente, quasi dubitavamo che i nostri genitori avessero cantato. Potere del web».
Visto che siete veramente degli esperti del connubio sci-viaggio, che posti sentite di consigliare per un’esperienza di questo tipo?
«La Turchia, la zona dell’Ala Daglar, senza dubbio. È un buon compromesso tra uno sci selvaggio e accessibile senza troppa fatica. È un viaggio per divertirsi e godere dello sci su un terreno adatto e ricco di possibilità anche ripide. Il periodo migliore di solito è marzo, ma non è troppo difficile raccogliere informazioni. Più in primavera anche l’Alaska, se si vuole qualcosa di più lontano. Come dicevamo prima, noi siamo stati nella zona del Ruth Glacier, nel Denali Range. Siamo stati fortunati ma è un posto fantastico per linee e neve».
Qui attorno a questo tavolo siamo stati tutti in Perù ultimamente, per vacanze, per sci e soprattutto voi per un periodo più lungo, ci tornereste per sciare?
«Non so (Carole, ndr). Magari mi piacerebbe DI più vedere il Cile e la Patagonia. M’ispira molto un viaggio con gli sci nello Hielo. In Sud America comunque ci sono anche montagne più alte e discese ambiziose che ancora aspettano di essere percorse (Boris, ndr)».
Lo sci nella vostra vita di tutti i giorni che posto occupa? È quasi scontato che sia rilevante ci pare.
«Se dobbiamo essere sinceri, più che lo sci in sé, ci piace da matti stare in montagna. Meglio se a scoprire posti nuovi. (Tiphaine, ndr) Mi piace il senso di avventura che sa regalare stare in un posto che non conosco. Addirittura certe volte, quando devo affrontare una salita o una montagna che è stata già percorsa, preferisco informarmi dopo. Non raccolgo particolari informazioni o impressioni, magari in rete. Così non sono influenzata e vivo meglio quel sentimento di scoperta. Non mi importa molto essere i primis u una montagna».
Sci e viaggio: un po’ come i pionieri dell’alpinismo qualche decennio fa. Quali sono secondo voi le prossime frontiere della disciplina?
«Non so, in questa disciplina è scontato dirlo, dipende sempre tutto o quasi dalle condizioni. Sul Laila eravamo a 6.000 metri e abbiamo avuto le condizioni per il migliore sci della nostra vita, ad esempio. Spesso Boris ripete che, in realtà, se uno vuole fare qualcosa di più difficile di un altro, allora deve fare certe discese con cattive condizioni, con neve dura o crostosa. La difficoltà non sta esclusivamente nella pendenza».
Boris, quindi, non cerchi solo la bella neve?
«Beh, diciamo che a volte, non troppe ovviamente, mi piace anche fare qualcosa quando non ci sono le condizioni. M’impegna ed è più coinvolgente. Ma non esagero. Per me lo ski de pente è un’opportunità per scoprire nuovi terreni di gioco!».
Domanda classica sui materiali che utilizzate.
«Materiale Völk, della serie BMT tra i 90 e i 95 mm. Per quanto ci riguarda spesso per il grip su nevi dure è importante anche il tipo di scarpone che si utilizza, ma comunque niente di estremo o particolarmente pesante, tipo Maestrale o Tlt, ognuno usa quello che preferisce».
Ora, come da tradizione delle interviste con più persone, la stessa domanda con diverse risposte: chi è il più fanatico di sci tra voi?
Carole: «Boris!».
Tiphaine. «Boris».
Boris. «Io, senza dubbio!».
Chi è quello che osa di più in momenti difficili?
Carole: «Sempre Boris!».
Tiphaine: «Difficile dirlo, è raro che siamo in conflitto su una decisione».
Boris: «Mi conosco e capisco con Tiphaine, e Carole si fida di noi».
Il più attento?
Carole: «Strano a dirlo, di nuovo Boris».
Tiphaine: «Carole».
Boris: «Carole!».
Domanda che vi metterà in difficoltà: il migliore a sciare?
Carole: «Boris».
Tiphaine: «Carole è perfetta».
Boris: «Carole».
Il più buffo e divertente del gruppo?
«Impossibile dirlo…presi tutti insieme siamo davvero divertenti!».
Il sogno nel cassetto?
Carole: «Mmmm… troppi».
Tiphaine: «Come Carole, ho troppe cose che ritengo importanti e vorrei fare».
Boris: «Non ho ancora mai visto la mia linea perfetta».
Un aggettivo per i tuoi compagni e poi la chiudiamo.
Carole: «Boris è perfezionista all’estremo, Tiphaine umana!».
Tiphaine: «Boris è creativo! Ha un feeling con la montagna incredibile, Carole è solida!».
Boris: «Tiph è letteralmente la più forte alpinista che io conosca, Carole generosa, motivata, perseverante!».
Questo articolo è stato pubblicato su Skialper 120, info qui.