Sempre impegnato, sei un atleta a 360 gradi. Attivo sui social ma non solo. Hai un blog, sei creatore e coach su Vert.run, produttore del tuo podcast Any Surface Available, co-fondatore della Pro Trail Runner Association e, per ultimo, ma non per importanza, laureato in fisica. Cosa vuol dire quindi essere un atleta nel 2023?
Che significato daresti a questa parola?
«Il trail è in costante evoluzione, soprattutto dopo la pandemia. La parte mediatica di questo sport è entrata prepotentemente nelle vite private degli atleti, che ad oggi sono chiamati ad essere non solo competitor di questa disciplina con risultati da ottenere, ma anche ad esprimersi con opinioni e prese di posizione. Questo si traduce in un lavoro a tempo pieno e richiede il dispendio di tante energie. Va da sé che un atleta, seguendo il significato della parola stessa, non è obbligato a essere socialmente attivo, ma rispetto alla mia personalità non potrei fare diversamente. Esprimendo dei concetti e delle opinioni, cerco di dare una visione a 360 gradi dell’atletica».
Vorrei fare due parole sull’ultimo progetto nato: la Pro Trail Runner Association. Quali sono i principi per cui è stata creata e gli obiettivi a breve e lungo termine?
«Il senso di community nel trail è sempre stato molto sviluppato ed è una consapevolezza che un ampio gruppo di atleti élite ha verso questo sport. Cerchiamo di preservare i valori che rendono questa disciplina interessante e diversa dalle altre. L’ecologia, ad esempio, è un principio a cui teniamo molto, visto che il trail running si pratica prettamente nei boschi o comunque in luoghi incontaminati. È la seconda volta che lanciamo questa associazione: prima durante la pandemia e poi a fine del 2022. Attualmente abbiamo una buona risposta: sicuramente la voce di Kilian, tra i fondatori della Pro Trail Runner Association, ha dato una grande spinta al progetto. Grazie a questa unione riusciamo ad avere una sola voce di fronte a istituzioni, organizzatori di gare e brand, tutelando gli atleti sotto molti punti di vista. Le quattro tematiche principali e quindi obiettivi da perseguire sono ambiente; competizioni ( per esempio lavorando con UTMB per le regole di accessibilità alle loro gare); i diritti degli atleti, con particolare attenzione alle donne; sport pulito – antidoping.
Nike, un brand che non rappresenta solo uno stile, ma cerca di trasmettere valori imprescindibili tra cui l’inclusione tra generi, accettazione di sé e rottura degli stereotipi nello sport femminile. Che significato ha per te essere parte di questo team? Come li hai conosciuti e com’è iniziata la vostra collaborazione? Avete dei progetti per il 2023 oltre al tuo calendario gare?
«Ci siamo conosciuti a fine 2019, un bel periodo perché arrivavo da un secondo posto mondiale in Patagonia. Poi si è fermato tutto a causa de Covid19. Nell’ottobre 2021, con piccole ripartenze nel mondo, sono entrato ufficialmente da atleta in Nike. La collaborazione, però, aveva già preso una bella piega durante il periodo pandemico, così da organizzare insieme a Cesare Maestri un FKT a Madonna di Campiglio, su Cima Tosa, punta più alta del gruppo del Brenta. Del lavoro con loro non posso che esserne orgoglioso. Mi sento ben rappresentato essendo il primo brand al mondo in molti sport con particolare attenzione all’atletica che seguo a tutto tondo anche se sono specializzato nel trail running. Non mi sentirei rappresentato così bene da nessun altro brand, perché la maggior parte sono specifici in una categoria precisa di questo sport, mentre Nike è presente in ogni ambito».
Scarpa preferita da quando hai iniziato a correre con Nike?
«Una risposta che potrebbe sorprendere: la Vomero, versatile e trasversale anche se non la più usata in casa Nike. Se avessi l’opportunità di scegliere solo una scarpa, non avrei dubbi. Mi permette di correre un po’ ovunque con i dovuti – pochi – compromessi».
Vorrei avere una tua opinione in merito a due scarpe in particolare, tanto attese in questa estate: le Zegama e le Pegasus Trail 4.
«La Zegama è una scarpa con inclinazione prettamente off road mentre Pegasus Trail 4 la definirei door to trail, dall’asfalto ai sentieri corribili, agli ampi stradoni bianchi. La Zegama chiama i terreni aggressivi. L’intersuola in zoomX è reattiva e leggera: il feeling che si percepisce è un senso di morbidezza con un alto grado di protezione, nonostante la sua prontezza nei cambi di ritmo.
È una scarpa da long distance, dai 30 km in avanti, coprendo anche i chilometraggi ultra. Il grip è ottimo e infonde sicurezza a ogni passo: sono le scarpe che ho usato maggiormente al rientro dall’infortunio al gomito in cui avevo bisogno di sentirmi stabile e certo dei miei passi.
Le ho anche utilizzate ai Mondiali in Thailandia, anche se credo possano performare al meglio NEGLI ambienti alpini come quelli dei Mondiali di Innsbruck, dove sarò impegnato nello short trail.
La Pegasus Trail 4 è una scarpa più leggera, ideale per terreni come quello di Pikes Peak, in cui c’è sola salita e non è necessario avere un grip importante. La utilizzo parecchio vicino a casa mia, dove è presente un ambiente di media montagna senza particolari difficoltà».
Sensibilità al terreno, cosa preferisci?
«Come in ogni situazione, anche in questo caso bisogna trovare il giusto compromesso tra sensibilità e protezione. Sicuramente una Pegasus Trail 4 rimane più sensibile al terreno, offrendo una maggiore precisione. La Zegama, nonostante visivamente possa essere una scarpa importante e spessa, risulta leggera e dà buone sensazioni con il terreno».
Consiglio all’amatore, Pegasus Trail 4 o Zegama?
«Direi Zegama, per le ottime sensazioni di sicurezza e comodità sul trail. L’appoggio del piede è sempre molto stabile, con una costante performance della scarpa. La Pegasus è una scarpa per l’amatore più esigente, che ricerca più sprint e velocità, ma sa anche come spingerla al meglio delle sue potenzialità».