«Seguire le orme di uomini che più di vent’anni fa immaginavano il futuro dell’alpinismo è una sfida in sé: ciò che queste persone hanno fatto è semplicemente difficile da credere. Ma il nostro obiettivo non è solo un tributo, una sorta di seconda edizione: vogliamo spingere oltre i nostri limiti. Vogliamo costruire un dialogo alla pari con i nostri precursori e stabilire un nuovo punto di riferimento per l’alpinismo ibrido del futuro». 

Simon Gietl e Vittorio Messini

Arriviamo nel tardo pomeriggio a Solda, sotto all’Ortles. Il tempo è buono. Iniziamo a preparare il materiale mentre Simon e Vittorio stanno ancora riposando, preparandosi all’impresa che li aspetta. Quando si alzano, alle 17, iniziamo con calma misurata a ripassare la logistica della loro impresa. È una sensazione strana: tutto è tranquillo, ma non rilassato, anzi. A guardare i ragazzi sembra di vedere due gatti acquattati in un prato che stanno per saltare come molle. Il tempo inizia a incupirsi poco dopo le 18, ma ancora non piove. Saliamo verso la partenza del sentiero che li porterà alla base della parete, a Solda di Fuori. La cima si vede e non si vede, mangiata da nuvole veloci e scure. Alle 19 Simon e Vittorio hanno gli zaini in spalla, il materiale pronto, lo sguardo concentrato e le gambe che vanno da sole. Un paio di foto e partono. È difficile stargli dietro: non corrono, non possono sprecare energie, ma sono davvero leggeri e veloci. Spariscono nel bosco, ricompaiono, spariscono di nuovo. Tornante dopo tornante macinano metri di dislivello. Il tempo si fa più cupo. In quota si alza un vento teso: la parete, carica di seracchi imponenti e maestosi continua, ad apparire e sparire. Sono arrivati alle pietraie che conducono al canale nevoso. Si sente un rimbombo sordo: una nuvola di neve e di ghiaccio scende veloce, appena a sinistra della linea da cui saliranno i due. La massa non è enorme, ma sembra non finire mai. Scende, scende, come un torrente bianco impetuoso e delicato. Fa impressione.

Simon e Vittorio continuano a salire, mentre iniziano a cadere le prime gocce di pioggia.  Inizia a diventare più buio. A valle la pioggia si fa più intensa, in parete nevica tantissimo. Stando al tracking del GPS Simon e Vittorio dovrebbero essere appena oltre il canale, sotto al primo muro di ghiaccio verticale. Il puntino luminoso continua a salire, lento ma inesorabile. Alle 22 sono fermi sotto a un grosso strapiombo. In parete la visibilità è praticamente zero, la neve arriva da tutte le direzioni, il vento urla. Il puntino sale un po’, qualche decina di metri, poi scende. A valle col fiato sospeso ci chiediamo cosa stia succedendo. Il puntino riprende a salire come prima, lento ma inesorabile.  È passata da poco la mezzanotte quando i ragazzi mandano una foto dalla vetta. Inizia la discesa, lungo la via normale. Il tempo sta migliorando: da Trafoi, in fondo alla valle sul lato ovest della montagna, iniziano a vedersi, ogni tanto, delle piccole luci. Simon e Vitto scendono veloci sugli sci, godendosi la stessa polvere fresca che ha funestato così tanto la salita. La luna è appena tramontata e qualche stella inizia ad occhieggiare, mentre il vento si ferma del tutto. Certo, la salita non è stata una passeggiata, ma in fondovalle siamo tutti un po’ invidiosi. C’è un prezzo da pagare per una discesa così, però una sciata del genere alla fine di maggio è una cosa da gran signori.

© Storyteller-Labs

Le luci scompaiono quando i due entrano nel bosco. Dopo circa un’ora si sentono delle voci, appena dietro alla curva. I led improvvisamente vedono i vapori della notte e sbucano Simon e Vitto, allegri, che chiacchierano tra di loro. Gli scarponi rimbombano sul ponte di legno, mentre tutti i presenti applaudono i due ragazzi. C’è una colazione veloce e frugale, giusto il necessario per rimettersi un po’ in forze. Ci sono i massaggi del fisioterapista, per levare un po’ di fatica dai muscoli. Tempo quaranta minuti e i due sono in sella alle bici: pedalano nel buio fino a Prato allo Stelvio, poi a Spondigna, poi giù per la Val Passiria, nel silenzio rotto solo dal rumore degli irrigatori che annaffiano i frutteti.

L’alba arriva a Castelbello, proprio mentre le biciclette sfrecciano sotto al castello arroccato sulla strada. Il cielo è rosa e terso nel momento in cui i primi raggi di sole lo sfiorano. Poco prima delle otto Simon e Vittorio entrano a Bolzano. La città ha appena iniziato a muoversi, c’è ancora poco traffico e poca gente. Fin qui hanno avuto un sacco di discesa: un ottimo modo per riposare un po’ e recuperare un po’ di energie, in vista dei chilometri e delle pareti che ancora li attendono. Si fermano per un momento in un panificio, in centro: una brioche, un caffè, una spremuta mangiati al volo, una spazzolata al tavolo per levare le briciole e via, di nuovo in sella, prima seguendo il corso dell’Isarco e poi su verso la val Pusteria. Ora la strada è in salita ed il sole batte forte: non è decisamente una pedalata di tutto riposo. Ci vogliono parecchie ore di fatica e sudore prima di raggiungere le Tre Cime. Quando raggiungono Dobbiaco il cielo si rannuvola di nuovo, dando un po’ di respiro a Simon e Vittorio. Una goccia, un’altra, poi le cataratte si aprono. Succede spesso in Dolomiti durante l’estate: un acquazzone potente, di quelli che ti inzuppano fino alle ossa, quelli talmente forti che ti pare di essere preso a schiaffi dall’acqua. Simon e Vittorio, stoici, continuano a pedalare, anche se la fatica inizia a farsi sentire. La prossima sosta è al lago di Ledro, prima di attaccare la ripida salita che porta verso Misurina e poi verso il rifugio Auronzo, sotto alle Tre Cime. C’è poco tempo: uno spuntino veloce, un altro incontro ravvicinato con il fisioterapista e poi via, di nuovo in sella sotto l’acqua battente. Arrivare a Misurina non è una passeggiata, ma la vera e propria sfida è appena dopo, all’imboccatura della strada che sale al rifugio. Sono quasi cinque chilometri, 473 metri di dislivello, con una pendenza media del 10%: una salita breve e spietata che da sola fa una storia. Figurarsi con nelle gambe già centinaia di chilometri, più l’Ortles. La pioggia si calma. Il cielo rimane coperto, ma per lo meno Simon e Vittorio riescono a salire senza cuocersi né inzupparsi. La fatica inizia a essere davvero tanta: Simon sale lento, ma ancora dritto; Vitto invece ha già iniziato a fare curvette per ridurre l’impatto della pendenza.

Il rifugio è ancora chiuso. I ragazzi si ristorano velocemente con quello che hanno, cambiano le scarpe e partono a piedi. Sarà la breve pausa, sarà il cambio di mezzo di locomozione, ma pare che abbiano ripreso le forze, almeno un po’. Vanno veloci e decisi fino alla chiesetta alla base della Cima Piccola, poi su fino alla spalla da cui il lato nord delle Tre Cime si svela in tutta la sua maestosa potenza. Le vette non si vedono, sono avvolte in una densa nuvola. A terra la neve è bagnata e pesante, e rallenta il passo. C’è da farsi mancare il fiato. Simon e Vitto si fermano un momento per godersi il paesaggio e per guardare le condizioni della parete. Confabulano un po’ tra di loro, poi ripartono. Camminano alla base delle pareti, dove la roccia spunta dalla neve come un dente da una gengiva. Nel mentre ricomincia a gocciolare.

GIORNO DUE

Sotto alla Grande la situazione è complicata. La via Comici-Dimai è completamente fradicia; piccoli rivoli continuano a scendere, infilandosi giù per i polsi e per le maniche di Simon e Vitto, che hanno attaccato il primo tiro. Salgono ancora, ma con meno decisione. Ogni cosa è scivolosa e non è chiaro per nulla quali siano le intenzioni del tempo. Al terzo tiro si decidono: la via non è scalabile. Non in maniera sicura, perlomeno. Ci vuole coraggio a compiere quella scelta: North3, tre pareti nord, l’impresa di Kammerlander ed Eisendle, l’hype mediatico, le dirette in radio… Ma sia Simon che Vittorio hanno bene in mente cosa vuol dire l’alpinismo per loro: è un bel gioco, un gioco che include anche la sfida, un gioco che a volte ti pone di fronte condizioni difficili come la tormenta sull’Ortles. Ma è comunque un gioco, non una crociata. Le condizioni non sono adatte, quindi si torna indietro. Anche se un po’ fa male.

Il progetto non è finito, però: ci sono ancora ore ed ore di fronte, e le energie non sono ancora terminate: perché fermarsi? Simon e Vittorio si spostano sotto alla Cima Piccola, dove corre la via dello Spigolo Giallo. Su quello sperone aereo e affilato corre un’altra via di Comici, una via incredibilmente estetica e ambita. Simon e Vittorio si legano, si guardano in viso, partono. Seguirli da sotto dà soddisfazione: sono poco più che puntini, ma non è difficile immaginarli impegnati e contenti, immersi nel loro elemento. Soprattutto fa sorridere e scalda il cuore la loro resilienza, la loro capacità di tenere in mente quali siano le cose importanti per davvero: fare qualcosa di grande, certo, ma tornare comunque a casa, avere la possibilità di riabbracciare le loro famiglie e di ripartire per altre montagne.

© Storyteller-Labs

Alle ventuno, dopo oltre ventisei ore dalla partenza a Solda, raggiungono la cima. Il record del 1991 rimane, per ora. Ma la vita è lunga abbastanza per riprovarci.  Simon e Vitto scendono lentamente, prima in doppia, poi per ghiaie. Alla base li aspettano complimenti, incoraggiamenti, pacche sulle spalle e le loro biciclette. Sì, perché è ora di ripartire: una cena frugale, poi via, veloci, con il vento che quasi taglia la faccia. Giù fino a Dobbiaco, poi San Candido, Prato alla Drava, l’Austria. Attraversano la frontiera come in un sogno, da soli, accompagnati solamente dal rumore dei pedali e del respiro. È a Lienz che si ricomincia a salire. La strada si infila in una valle stretta, ripida e curva. Poco prima della grandiosa cascata di Heiligenblut si fermano per riposare una decina di minuti, pronti ad affrontare l’ultima rampa. All’alba raggiungono la piccola frazione di Winkl, quattro case abbarbicate su ripidi prati al confine tra Carinzia e Tirolo. Il rituale è lo stesso del mattino precedente: una veloce (e vorace) colazione, un incontro con il fisioterapista (specie per Vittorio, che ha qualche problema a un ginocchio) e poi si riparte. Il tempo è bello; il Grossglockner si staglia in cima alla valle maestoso e innevato, completamente visibile. La stanchezza inizia a vedersi, sono quasi trentasei ore che i due non fanno altro che fatica. Ciononostante vanno avanti. Riusciamo a seguirli fino al ghiacciaio sotto alla parete nord, sul quale si allontanano, apparendo e scomparendo tra le morene laterali. Attaccano la parete, poi scompaiono.

Ci spostiamo in auto a Kals, dall’altro lato della montagna. Seguiamo i loro progressi con il tracking gps, metro dopo metro e passo dopo passo. Certo, è solo un punto su uno schermo, ma riusciamo a intuire la fatica e la difficoltà. Come se non bastasse, inizia a piovere. Saranno di nuovo in mezzo alla neve. Alle 15 il tracking rimane fermo a lungo. Non c’è visibilità, la montagna è nascosta, non sappiamo cosa succede. A Kals è come stare in una sala controllo della Nasa, solo che non seguiamo una missione lunare: seguiamo tutti quanti i movimenti dei ragazzi sugli schermi dei nostri laptop. Raggiungono la cima, si fermano, iniziano a scendere. Stimare i tempi è difficile, per due ragioni: sono bravissimi, e sono stanchissimi. Saranno più o meno di 48 ore?

Iniziamo a salire, ad andar loro incontro. Non riusciamo a stare fermi, ad aspettare e basta. Non abbiamo più i computer e i cellulari non hanno abbastanza segnale per collegarsi al tracking. Abbiamo solo i nostri occhi per capire dove siano.  Poi appaiono. Un tornante dopo l’altro, stanno scendendo. Arriveranno in tempo, ormai è chiaro. C’è un traguardo ufficiale, sì, ma chissenefrega. Li accogliamo festosi, li accompagniamo, scendendo assieme, al termine di questi due giorni di fatica. Ci fermiamo prima del ‘traguardo’: attraversarlo da soli deve essere un momento loro e basta. Simon salta, batte i talloni tra di loro, si mette a ridere e abbraccia Vittorio. Piove di nuovo, ma non importa. C’è dello spumante, ci sono gli amici e le famiglie. Certo, non è stato North3. Ma è stato bellissimo, ed ora è questo che conta.

I NUMERI

Distanza bici + hiking + sci: 391 km

Start: 27 maggio 2018 -19 / 0h00’

Ortles 00:30 / 5h30’

Cima Piccola 21:00 / 26h30’

Grossglockner 16:30 / 45h

Arrivo: 29 maggio 2018 – 18:16  / 47h16’

Dislivello positivo: 9.628 m

Dislivello negativo: 9.535 m

Questo articolo è stato pubblicato su Skialper 119, info qui

© Storyteller-Labs