Ho sempre amato la montagna e, in qualche modo, mi sono sempre illusa che la montagna amasse me. Una storia di amore romantico e condiviso, fatta di lunghi trekking in solitaria, di nottate in tenda con gli amici, di pensieri all’alba sussurrati dal caldo dei nostri sacchi a pelo. Il rapporto tra amanti dell’outdoor e natura vuole essere stretto, noi amanti del sentiero pensiamo di essere nel nostro habitat naturale quando attraversiamo le montagne, ma negli ultimi mesi ho iniziato a pensare che forse non è del tutto così.

Qual è l’impatto del turismo outdoor sull’ambiente?

Da questa domanda, alla quale non so dare una risposta esauriente, è nata l’idea del Cammino Sostenibile: è possibile fare un trekking di più giorni mantenendo un impatto ambientale molto basso? Per questo esperimento ho scelto un itinerario battuto, sulle Dolomiti: l’Altavia 4. Abbastanza frequentato per essere un buon test, abbastanza turistico per poter apprezzare in pieno la bellezza del trekking. Prima di partire ho pensato a tre punti chiave per lasciare meno tracce possibili: abbigliamento e attrezzatura, alimentazione e pernottamento, sostenibilità turistica. Noi trekker ci fregiamo di attrezzature molto tecnologiche, in materiali super performanti, ma mi sono chiesta quali potessero essere le buone norme per scegliere abbigliamento e attrezzatura con il minor impatto ambientale. Ho fissato tre regole, che mi sono parse di grande buon senso: innanzitutto usare ciò che si ha. Guardare nell’armadio e riutilizzare l’abbigliamento che già possediamo è la prima regola, fondamentale per diminuire l’impatto ambientale. E se ne trascina dietro una seconda: acquistare prodotti resistenti e di grande qualità, che possano essere utilizzati per molti anni. Questo significa evitare l’effetto usa e getta dato dalla grande disponibilità di abbigliamento low cost di oggi. Meglio pochi capi, ma flessibili, durevoli e validi. In terzo luogo scegliere marchi che lavorano nella ricerca per materiali sostenibili, ecologici, riciclati o comunque a basso impatto. Ci sono marchi, per esempio, che certificano la produzione e l’eco footprint del prodotto finito, spingendosi fino alla valutazione dell’intero ciclo di vita. Il secondo punto cardine riguarda alimentazione e sostentamento durante il trekking.

© Giuseppe Ghedina

Quali prodotti scegliere?

Il leitmotiv è uno: meno imballaggi. Oggi il packaging è il primo vero nemico dell’ambiente. Acqua in bottiglia, ma anche alimenti precotti, gel e integratori, stoviglie monouso, bibite finiscono spesso nello zaino. Da anni per i prodotti alimentari e di igiene della persona ho una predilezione per una catena di negozi pack-free. Il Negozio Leggero, infatti, fornisce moltissime referenze o sfuse o con imballaggio riutilizzabile. Nello zaino ho messo quindi couscous integrale, riso, sale, uvetta, frutta secca, shampoo solido, saponetta, olio di mandorle, protezione solare, il tutto acquistato a peso e contenuto nei miei soliti contenitori da cucina o, come per i cosmetici liquidi, in confezioni con vuoto a rendere. La seconda regola che mi sono imposta per l’alimentazione era di acquistare pasti e dormire utilizzando i rifugi sul percorso, dove ho presupposto che la regola fosse quella del chilometro zero. Acquistare prodotti freschi lungo il percorso di un trekking è un buon modo per introdurre il terzo punto, quello della sostenibilità turistica. Per progettare una vacanza responsabilmente dal punto di vista eco, sarebbe bene selezionare i luoghi di ricettività anche in base alla proposta offerta. Spesso diamo per scontato che durante una vacanza sportiva e a contatto con la natura anche le nostre attività siano più ecologiche. Invece scegliere un rifugio invece di un altro in base alla proposta che offre è un buon metodo per rendere migliore e più green la vacanza. Il nostro trekking è durato quattro giorni, con partenza da San Candido e arrivo a Cortina. Abbiamo camminato per circa 22 ore totali e pernottato in tre rifugi: il Tre Scarperi, l’Auronzo e il Vandelli. Abbiamo acquistato solo le scarpe e due pile a bassa dispersione di microfibre. In totale abbiamo prodotto i seguenti rifiuti: due vassoi di cartone e due tovaglioli di carta durante il pranzo on the road del primo giorno; due bottiglie di acqua di plastica al rifugio Auronzo, dove l’acqua non era potabile e veniva venduta solo in bottiglie in PET; altrettante bottiglie di plastica al Vandelli per lo stesso motivo; una lattina di tonno e una di bibita trovate al Colle del Diavolo. A questo andranno aggiunti i rifiuti che non abbiamo potuto raccogliere al rifugio Auronzo, dove abbiamo cenato con pietanze visibilmente conservate (e quindi imballate).

In conclusione? Ho voluto tentare questo esperimento perché volevo proporre un modo diverso di vedere il turismo outdoor. Il trekking era un trekking di facile livello, praticabile da tutti e quindi molto frequentato. Forse dovremmo renderci consapevoli di come il nostro amore per l’outdoor può anche non essere del tutto a impatto zero. Amare l’ambiente significa soprattutto mantenerlo più intatto possibile, senza necessariamente fare delle rinunce, ma operando delle scelte consapevoli. La nostra montagna così ci amerà.

QUESTO ARTICOLO È USCITO SU SKIALPER 126

© Giuseppe Ghedina