1 novembre 2019 185 giorni / 3.076 km
Camminare sulla dorsale dell’Appennino Tosco-Emiliano è come surfare la cresta di una lunga onda immobile. A destra si infrangono le scoscese pareti a balze, a sinistra montano le faggete infinite. In un giorno di sole abbiamo lasciato il Passo della Cisa e ci siamo incamminati verso il Marmagna. Nel tardo pomeriggio, quando la luce esprimeva le sue sfumature più calde, siamo arrivati in cima. Davanti a noi, a Sud-Ovest, la terra precipitava a lungo, fino a essere inghiottita dal mare delle Cinque Terre. Abbiamo aspettato il tramonto e, quando gli ultimi raggi arrossavano le Alpi Apuane, abbiamo acceso la cassa portatile e ci siamo scatenati in un ballo di gruppo sotto la grande croce di vetta, sulle note funky di Lord Shorty. Purtroppo la favola dell’autunno bucolico è finita subito e dal giorno dopo abbiamo dovuto fare i conti con temperature in discesa libera e forti venti da Nord: questa settimana ci sono state due allerte meteo. I nostri volti iniziano a tradire la stanchezza accumulata nei mesi.
Stamani abbiamo deciso di unire due tappe, visto che per una volta non davano burrasca. Le cose sono andate per le lunghe e abbiamo speso le ultime ore brancolando nel buio dentro un manto di foschia vischiosa che assorbiva ogni suono, col naso attaccato al GPS per capire dove andare. Siamo praticamente andati a sbattere contro il bivacco Lago Nero, una malga di pietra. Non vedevamo l’ora di mettere in corpo il brodo liofilizzato. Quando abbiamo aperto la porta, ci siamo dovuti stropicciare gli occhi dalla sorpresa: il locale interno era spazioso e affollato da una ventina di persone, al lume di candela: chi suonava la chitarra, chi arrostiva costine e funghi nel camino scoppiettante. Il paradiso all’improvviso. Ci hanno fatto sedere e una donna aretina dai lineamenti fini (che ho scoperto avere 63 anni, non potevo crederci) ci ha servito delle pappardelle al ragù di cinghiale. Sembrava di essere in una scena di un film di Fellini, se non fossimo stati in un bivacco, in mezzo al nulla.
Dopo la cena e vari bicchieri, parlando con gli altri commensali del pane toscano senza sale, è venuto fuori che un paio di noi hanno origini siciliane e che laggiù mangiamo saporito, sapete. Toccati sul vivo, i nostri ospiti ci hanno sfidato ad assaggiare una grappa speciale. In fondo a una torbida bottiglia di liquido ocra se ne stavano due peperoncini gonfi e rotondi, sul punto di esplodere. Chiaramente non era il caso di tirarsi indietro e abbiamo raccolto il guanto della sfida col sorriso piacione di chi è avvezzo a certe cose. Dopo aver inutilmente cercato di non boccheggiare, ci siamo attaccati senza pudore a una bottiglia di latte, pronta lì accanto, manco a farlo apposta.
13 dicembre 2019 / fine primo tempo
Due settimane fa la nostra spedizione è arrivata a Visso, un piccolo borgo marchigiano incuneato ai piedi dei Sibillini. Per Va’ Sentiero era la fine del primo tempo: abbiamo scelto di dividere la spedizione in due tranche, fermandoci per l’inverno a rifiatare. Oltre che essere a metà del Sentiero Italia (3.548 chilometri), Visso è stata uno degli epicentri del terremoto del 2016: gran parte degli edifici è inagibile, specialmente nel centro storico. I cittadini rimasti vivono ancora in container temporanei. Ci sembrava bello finire lì la prima parte del viaggio, portare un po’ di festa.
L’ultimo giorno è magicamente tornato il sole, come a premiarci: un cielo pulito, senza compromessi, come alla partenza sette mesi prima. Istintivamente nutrivo una fede immotivata che sarebbe stato così. Il nostro arrivo, a modo suo, è stato un evento. C’erano tantissime persone venute apposta a camminare con noi quella tappa speciale, una vera carovana: da lontano dovevamo sembrare un lungo serpente un po’ sgangherato.
Poi siamo giunti tra le prime case semidistrutte, puntellate, come un paese bombardato. Durante la spedizione ne abbiamo visti parecchi di vecchi borghi crollati o in preda all’abbandono, ma lì era diverso: le case, vivisezionate dal sisma, sembravano abitate fino a un attimo prima. Sulla parete di una cameretta ho intravisto un poster di Bob Marley. Oltre le macerie abbiamo iniziato a sentire la banda del paese che attaccava a suonare in nostro onore, la gente in lontananza che vociava allegra; mi è sembrato grottesco o quantomeno surreale, ma è stato solo un attimo.
La sera c’è stata una gran festa. A un certo punto, mentre la band ci dava dentro sul palco, mi sono guardato intorno e ho visto tante persone diverse, perfetti sconosciuti, vecchietti e ragazzini, sales manager e pastori, fricchettoni e professori, tutti a sgomitare selvaggiamente in un grande tendone della Protezione Civile per difendersi dal freddo pungente. Che meraviglia pensare che a unirli sia stato Va’ Sentiero. Qualche giorno dopo io e Sara siamo scesi in Sicilia, in quella che un tempo era la casa dei miei nonni. Nell’ultimo periodo, nei momenti di stanchezza e marcia forzata, non facevo che pensare a essere qui. Ma una volta arrivati non è stato facile staccare la spina, abituarmi a essere fermo, a non dormire ogni notte in un posto diverso. Stamattina ci siamo tirati su e la giornata era magnifica, così abbiamo preso una granita al limone e siamo andati in spiaggia. L’acqua era una tavola e mi sono buttato. In zona Cesarini, ma ce l’ho fatta anche quest’anno: sarebbe stato il primo della mia vita senza un tuffo a mare.
4/fine
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