Da undici anni a questa parte, nelle Piccole Dolomiti Vicentine si svolge la Trans d’Havet, gara di trail running che si sviluppa su tre distanze: Ultra 80 km con 5500 d+, Marathon 40 km con 2700 d+ e Half Marathon 24 km con1500 d+. 

«Abbiamo superato due stagioni difficili, tra pandemia e problemi di gestione – dichiara Enrico Pollini, organizzatore e mente della manifestazione – ma quest’anno siamo pronti a ripartire, proponendo tutte e tre le gare al completo. Come per tanti altri del settore organizzare un evento del genere è stato una grande scommessa, la risposta dei partecipanti è stata positiva: abbiamo dovuto addirittura chiudere le iscrizioni anticipatamente per esaurimento dei pettorali. Noi siamo carichi, ora non resta che partire». 

La reintroduzione della gara Ultra comporta anche il passaggio nei punti più emblematici del luogo: il tracciato delle 52 gallerie del Pasubio, costruite durante la prima guerra mondiale, e il Rifugio Papa che proprio in quel giorno festeggiava il centenario dall’apertura. Per l’occasione è stato riservato alla stampa un trattamento particolare: quello di poter vivere la gara dall’interno, in modo da assaporare appieno tutte le emozioni e gli stati d’animo durante l’evento, conoscere da vicino chi lavora dietro le quinte, in silenzio, ma con un ruolo fondamentale per la riuscita della manifestazione.

Il rifugio Gen. A. Papa, punto di passaggio della Trans D'Havet

Passo la notte precedente alla partenza della prima distanza in compagnia del Soccorso Alpino sezione di Schio al bivacco sopra il rifugio Papa. Luca, Riccardo e Matteo avevano da coprire la postazione alla fine delle gallerie. E’ un compito che spetta loro ogni anno e hanno sempre lo stesso entusiasmo nell’aspettare e incitare ogni singolo concorrente che passa da li, magari ricordando di accendere la frontale anche alle prime luci dell’alba, perché all’interno delle gallerie è sempre buio e c’è rischio di cadere. 

Ho condiviso con loro diversi momenti entusiasmanti: una deliziosa cena, offerta da Renato, il gestore del rifugio Papa, tra risate e la programmazione della giornata seguente, la sveglia alle 2.30 del giorno successivo, la preparazione di tutto il necessario per il primo soccorso e la sfacchinata nel portare il materiale al punto stabilito. Ho condiviso con loro la prima tazza di tè – chissá perché lo immaginavo caldo, invece al primo sorso mi si è gelato lo stomaco.. ma non importava, erano cosí gentili che non mi sarei mai osata dire nulla se non grazie. Per alcune ore mi sono sentita parte del loro gruppo, ed è stato emozionante. 

Mi sposto al punto in cui devo fare i primi report per la gara. Si attende la testa del gruppo verso le 4.30 e con essa arrivano anche le prime luci dell’alba. Rimango li fino alle 6 circa, poi saluto i miei primi compagni di viaggio per correre a prendere un caffé ed una fetta di torta al rifugio, prima di recarmi al punto d’incontro prestabilito con Denis, il supervisore del tracciato. Arrivo con un ritardo di cinque minuti, ma era impossibile non fermarsi ad ogni curva per fare alcuni scatti e due chiacchiere con i concorrenti. 

Mi accoglie con un immenso sorriso e non faccio in tempo a salutarlo che mi offre la colazione. Con un imbarazzante rifiuto – la crostata aveva già fatto il suo lavoro – partiamo alla volta di Pian delle Fugasse, primo ristoro in cui i concorrenti potevano avere un pasto caldo, sedersi e rigenerarsi per alcuni minuti. 

La gestione del luogo è affidata agli alpini, che non mancano un’edizione e sono il cuore della manifestazione. Soddisfano le richieste di ogni corridore sempre con il sorriso, a qualunque ora e qualunque sia l’umore del concorrente.

Il tempo di due scatti ed ora di ripartire, direzione Campogrosso, dove la gara da 42 km si interseca con quella da 80 km. Da qui in avanti i tracciati saranno gli stessi e il gruppo sarà ancora piú consistente, perfetto per assaporare ancora più dall’interno le sensazioni dei partecipanti. Aspetto i passaggi dei primi concorrenti della Marathon per poi muovermi, ma stavolta a piedi, assieme a tutti i corridori, per godermi ancora di piú questo evento e i suoi meravigliosi scorci.  

La salita dal Rifugio Campogrosso porta verso la cima Carega ed il Rifugio Fraccaroli. La strada si sviluppa nel bosco, per poi inerpicarsi su un ripida pietraia dove si può vedere la serpentina di persone salire con passo lento ma costante. Mi perdo nel fotografare volti stanchi, accaldati ma fieri di ciò che stavano facendo. Mi immergo in chiacchiere con i partecipanti, che non vedono l’ora di scambiare due parole con qualcuno. 

Arrivo in cima alla forcella, breve discesa e poi una dolce salita verso il Fraccaroli, rifugio simbolo della manifestazione. Il ristoro è stato creato in memoria di Cristina Castagna, giovanissima alpinista che perse la vita nel 2009 mentre scendeva dal Broad Peak, la dodicesima montagna più alta della terra. E’ stata la più giovane alpinista italiana ad aver scalato un ottomila ed in zona è ricordata come ‘’el grio’’ ossia il grillo, per la sua vivacità estrema.

Un aneddoto raccontato post gara ma strettamente legato ad essa, è il giro della Trans d’Havet al contrario con gli sci d’alpinismo. Nel gruppo erano presenti la giovane alpinista, Paolo Dani – mancato recentemente nella tragedia della Marmolada – Mauro Pretto e Chiara Ambros, amici legati da una passione sfrenata per la montagna. Da Marana a Posina per godere di ogni metro di neve nelle montagne di casa.  Oggi viene ricordata con un libro, Acchiappasogni, e il ristoro al Fraccaroli dove si trova la cima del suo cuore, il Carega. 

Da qui al mio rendez-vous con il medico della gara sono circa 30 minuti di discesa. Inizio a scendere godendomi ogni passo, con gli occhi ancora lucidi per i racconti. Aspetto qualche concorrente che cerco di incitare al mio meglio per portarlo alla base vita del rifugio Scarolbi. 

Arrivo in una conca verde e anche qui, come una costante che caratterizza tutta la manifestazione, i sorrisi non tardano ad arrivare. Conosco Florio e Gigi, i medici. Con loro farò l’ultima ora di cammino e il rientro a Valdagno, paese di arrivo delle gare. Dobbiamo aspettare le scope e gli ultimi concorrenti prima di partire e questo mi da modo di scambiare due parole con gli alpini del posto. 

«Non ho piú le forze per fare queste cose – mi racconta Dario, veterano della gara – ma non so come mai ogni anno mi ritrovo alle 5 del mattino ad allestire e preparare nel migliore dei modi l’accoglienza per i circa 400 corridori che passeranno».

Arriva la prima scopa, iniziamo a prepararci. Il sole è caldo, la temperatura si è alzata ma nulla può rovinare quelle ultime ore di luce e bellezza. Nonostante la stanchezza della giornata si ride e ci si racconta, i chilometri passano velocemente e arriviamo alla macchina. Ultimo giro e via all’arrivo di Valdagno. Arrivo trafelata alle premiazioni: foto di rito, saluti e poi, finalmente, riprendo fiato. Vedo Enrico, ideatore di questa giornata incredibile, che voleva vivessi da dentro la manifestazione, per capire cosa fosse davvero la Trans d’Havet. 

A due giorni dall’evento, seduta alla mia scrivania in legno, con una leggera brezza che fa sopportare il caldo a stento, ricordo i volti, gli sguardi di ogni singola persona che ho incontrato durante il mio viaggio. Sorrido, perché se ci penso bene, non ho mai visto in nessuna manifestazione un’accoglienza del genere da parte degli organizzatori. E soprattutto nessuno ha mai pensato ad un viaggio ‘’inside the race’’. 

Forse si dovrebbe fare piú spesso, forse bisognerebbe pensare oltre ai classici schemi e immaginare qualcosa che vada al di là del classico giornalismo. 

Bisogna avere quel pizzico di follia per creare quanto ho vissuto, perché, ad onor della cronaca, se qualcosa fosse andato storto, avrei dovuto scriverlo e raccontarlo. Un bel rischio per gli organizzatori, soprattutto a due anni dalla versione integrale della gara. 

«Siamo una macchina ben rodata. – mi racconta Enrico – Ero certo che se ci fossero state emergenze ogni volontario sarebbe stato in grado di gestirle e risolvere. Inserirti all’interno della gara è stato quello stimolo in più per fare ancora meglio, per esprimerci al massimo delle nostre potenzialità. Sono fiero di ogni singola persona e di come, dopo due anni difficili, ne siamo usciti ancora piú forti e caparbie.»

La Trans d’Havet dà appuntamento al prossimo anno chiudendo i sipari su un week end ricco di soddisfazioni e tanto caldo, con la promessa che il prossimo anno sarà in grado stupirci di nuovo.

CLASSIFICA 80 KM

Uomini

Alessio Zambon (Vicenza Marathon-La Sportiva)

Vittorio Marchi (ASD Team Km Sport)

Jimmy Pellegrini (Bergamo Stars Atletica-Skinfit-HokaOneOne)

Donne

Alessandra Olivi (ASD Scarpe Bianche-Scarpa/Mico)

Marialuisa Tagliapietra (United Trail&Running)

Marta Cunico (Ultrabericus Team ASD).

CLASSIFICA 40 KM

Uomini

Diego Angella (Atletica Brescia-Marathon-Scotto-Gialdini) 

Christian Modena (Lagarina Crus Team) 

Matteo Andriola (Unione Sportiva Aldo Moro).

Donne

Irene Saggin (Ultrabericus Team ASD) 

Gaia Signorini (Runners Team Zanè) 

Angela Trevisan (GP Turristi Montegrotto)

CLASSIFICA 24 KM

Uomini

Ruggero Pianegonda (Sport Race ASD)

Luca Marchioro (Skyrunners Le Vigne Vicenza) 

Michele Meridio (Runners Team Zanè-Brooks Trail Runners)

Donne

Giulia Zaltron (Marunners) 

Veronica Maran (Skyrunners Le Vigne Vicenza)

Liliana De Maria (Facerunners ASD).