Foto di Gianmaria Strinati e Andrea Pasquali

Anche questa l’abbiamo portata a casa. Siamo in Alto Adige, a Maso Corto, in Val Senales. Ho appena tolto gli sci. Sembra strano muoversi senza sentire a ogni passo il tintinnio di moschettoni, discensore e chiodi da ghiaccio. Mi sento leggero senza il fardello dello zaino che tentava di schiacciare il sogno che stavo vivendo. Mi sento leggero, è finita, dopo 80 chilometri di sviluppo, circa siemila metri di dislivello positivo, 27 ore di attività, 13.850 calorie consumate, per quanto mi riguarda. 

La Corona di Ötzi ce la siamo messa in testa e niente ce la può più togliere. Abbiamo circumnavigato il luogo dove negli anni ’90 trovarono la celebre mummia del Similaun. In tre giorni, con tappe da educazione siberiana causa la chiusura per ristrutturazione di diversi rifugi, coincidenza che non ci consentiva di diluire maggiormente il tracciato se non a prezzo di portarci sulle spalle anche viveri e sacco da bivacco. Un prezzo che non abbiamo voluto pagare perché – quasi tutti con un passato agonistico – apprezziamo il passo dinamico, i dislivelli importanti e poi vogliamo gustarci la discesa, cosa quasi impossibile quando ci si deve trasformare in lumache dai grandi gusci. 

Ghiacciai fin dove l’occhio può vedere, pendi da attraversare aggrappandosi alle lamine; canali da rimontare a colpi di piccozza e ramponi, vette famose e cime meno note, farina intonsa su cui disegnare curve su lenzuoli bianchi appesi a 45 gradi, crostaccia immonda dove l’imperativo categorico è salvare le ginocchia, prati verdi su cui arrancare fino al tramonto storditi dalla fatica e dalle emozioni; spindrift senza sosta per ricordare che è tutto vero, che non si sta sognando in questo lembo di Alpi che sembra creato apposta per lo skialp. Diverse le cime salite – i denti della Corona di Ötzi, appunto – tra cui la seconda d’Austria (Wildspitze, 3.770 m.) e la terza (la Palla Bianca, Weiskugel in lingua germanica, 3.739 m, che gli austriaci persistono, nonostante l’esito della Prima Guerra Mondiale, nel voler ritenere come loro, pure se si trova entro il confine italiano).

Dopo aver lo scorso anno tracciato una nuova alta via circolare intorno al Cervino denominata Skyline around the Matterhorn, divenuta anche soggetto di un apprezzato docufilm di Andrea Pasquali presente sulla piattaforma Youtube, anche la Corona di Ötzi figura ora ben visibile nel saldo del contocorrente delle nostre emozioni. Un vero e proprio viaggio portato a termine a cavallo tra marzo e aprile 2025, una settimana dopo del previsto, causa pericolo valanghe, dall’altoatesino naturalizzato parmigiano Alex Keim e dai piacentini Fabrizio Cappa, Giammaria Strinati, Andrea Pasquali e da me. Dalla Val Senales allo Stubai, alla Pitztal, alla Rofental, per ritornate a Maso Corto dopo aver risalito il massiccio del Similaun. Tracciando il percorso nel bianco più assoluto, coordinata gps per coordinata, rifuggendo nel primo tratto (quello che da Maso Corto consente di accedere al bacino glaciale) gli impianti per la volontà di compiere integralmente l’anello senza sconti, by fear means. In un ambiente d’alta montagna che, abbandonati gli impianti della Val Senales, è apparso ad antropizzazione zero e, nel periodo che ci ha interessato, pochissimo frequentato dagli skialper causa la già accennata chiusura di alcuni rifugi che negli anni passati consentivano di spezzare il giro in 4-5 giorni. Isolamento e wilderness da trasferta extraeuropea, dunque, a pochi chilometri dal confine nazionale e per molti tratti proprio sul confine.

Da Maso Corto, circa a quota 2.000, siamo saliti, mantenendoci fuori dalle piste con qualche difficoltà, allo splendido Rifugio Bellavista, con sauna e idromassaggio. Svalicato in Stubai abbiamo affrontato, ramponi ai piedi e sci sullo zaino, la parete Est della Palla Bianca (Wisskugel, 3.799 m., la cima più alta delle Alpi Venoste) per poi scendere la medesima parete con gli sci (circa 45 gradi di pendenza nel tratto iniziale) e raggiungere uno spettacolare ghiacciaio che poteva fungere da set per il film Frozen, con fauci bianconere spalancate e vele di ghiaccio ben tese, fino al Rifugio Hochjoch Hospitz (2.430 m), in Stubai, dove abbiamo pernottato. Il secondo giorno, una cammellata di circa trenta chilometri e 2.300 metri di dislivello positivo, sferzati da raffiche di vento anche a 50 km/h continue: 12 ore tra salita e discesa, senza alcuna sosta, toccando la panoramicissima vetta Mittlere Guslarspitze (3.128 m.), la Wildspitze, 3.770 m. con una crestina finale per nulla banale, per raggiungere infine Vent, uno spettacolare e tipico paesino austriaco situato a circa 1.900 metri di quota, alle 19 circa, quando il serbatoio delle energie era ormai in riserva. Pernottato a Vent in un grazioso hotel, il terzo giorno, per chiudere la corona, abbiamo puntato al Similaun, risalendone per oltre 15 chilometri le pendici fino al Giogo di Tisa (3.100 m), dove si trova il cippo che ricorda il ritrovamento della celeberrima mummia. Da lì, aggirando una pinna di squalo che fuoriesce dal bianco perenne, la Finalspitze (3.514 m), una lunga discesa su farina intonsa, districandoci tra qualche seracco per riapprodare a Maso Corto.

Ancora una volta ci siamo resi conto che gli sci, prima di essere ridotti a mero strumento di divertimento di massa, sono stati e restano uno straordinario mezzo per spostarsi da un luogo all’altro, anche abbastanza velocemente e senza alcun impatto ambientale. Ancora una volta ci siamo resi conto che la montagna inizia dove incomincia la fatica, dove non arrivano gli impianti e le auto, perché senza fatica la montagna muore, si banalizza relegandola a mero palcoscenico per selfie di massa.

Tolti gli scarponi, riposti sci e zaini in auto, entriamo in un bar per mangiare un boccone. C’è uno specchio: i nostri visi appaiono in bianco e nero, come nelle foto di un tempo. Abbrustoliti dal sole, le rughe ancor più evidenti, le labbra cotte dagli spindrift che ci hanno schiaffeggiato per tre giorni, gli occhi trasudano emozioni. Brillano ricordando i colori dell’infinito, ma sono tristi perché devono ora ritornare a farne a meno.  Ci siamo tolti gli sci dai piedi, ma non dall’anima.