Incidente sul Gasherbrum VII: seconda notte in quota per Francesco Cassardo, questa mattina è stato evacuato in elicottero

AGGIORNAMENTO 22 LUGLIO ORE 8.20: un elicottero partito alle 5.30 di questa mattina, ora locale, da Islamabad ha raggiunto ed evacuato verso l'ospedale Francesco Cassardo che, contrariamente a quanto inizialmente deciso, era stato trasportato con la slitta al C1 nella notte.

«Sembra di vivere dentro un incubo e non trovare la strada per uscire». Scriveva così ieri Marco Confortola dal Pakistan a riassumere in modo molto diretto e sconfortante lo stato dell’arte delle operazioni di soccorso a Francesco Cassardo, caduta durante la discesa dal Gasherbrum VII, dove si trovava insieme a Cala Cimenti. L’incidente è avvenuto sabato e Cassardo, precipitato per 500 metri e gravemente ferito, ha trascorso una prima notte in quota, assistito da Cala Cimenti, rientrato al C1 per recuperare tutto il necessario per passare la notte a quota 6.300 metri. Più in basso Marco Confortola è stato tutto il giorno in attesa di un elicottero mai arrivato per problemi burocratici e assicurativi, così una squadra di soccorso di cui fanno parte anche Denis Urubko e Don Bowie si è messa in marcia e ha raggiunto i due italiani. Cassardo. «I ragazzi hanno immobilizzato Francesco, costruito una sorta di slitta e delicatamente lo hanno trasportato fino al posto in cui Cala aveva lasciato la tenda prima di scalare il GVII. Trasportare Francesco al buio è pericoloso, hanno deciso così di passare la notte lì e attendere quel tanto desiderato elicottero che possa trasportare Francesco nell'ospedale più vicino» scrive la moglie di Cala, Erika Siffredi, sulla pagina Facebook Cala Cimenti Cmenexperience. Si spera che domani l’elicottero possa partire, ma l’amarezza per un giorno sprecato, con le condizioni giuste per volare a quella quota, traspare in tutta la sua drammaticità dallo sfogo di Marco Confortola: «Dopo aver passato tutta la notte sveglio in contatto con il mio staff, Agostino da Polenza, la parte politica italiana in Pakistan mi sono trovato di fronte a muri invalicabili - burocrazia - problemi assicurativi - organizzazione dei voli - altri problemi di soccorsi al k2 al Broad Peak e tutt’ora ancora di trovare la soluzione per far andare in volo questo benedetto elicottero. Nel frattempo Denis, Don, Jarek e Januscius sono saliti verso il campo... in questi casi velocemente ognuno dà il massimo per le sue competenze-conoscenze per portare a casa il risultato ma oggi sono tremendamente deluso della macchina del soccorso qui Pakistan. Adesso nuovamente con Agostino Da Polenza stiamo cercando una nuova soluzione affinché domani mattina l’elicottero vada in volo e mi porti ad imbarcare il nostro amico per portarlo al più presto in ospedale. In 20 anni di elisoccorso non mi sono mai sentito così, avere un intervento da fare urgente, meteo ok, vento ok, visibilità perfetta aspettare in piazzola un elicottero che oggi non è mai arrivato e il mio pensiero è e rimane solo uno ‘dobbiamo salvarlo’».


Licony a Giuliano Cavallo ed Emanuela Scilla Tonetti

Giuliano Cavallo e Emanuela Scilla Tonetti hanno vinto il Licony Trail (penultima tappa del Tour Trail Valle d’Aosta) disputato per tre ore abbondanti con le luci frontali accese. Settanta chilometri sui sentieri di Morgex e La Salle, una prima parte di gara con aria pungente, una seconda parte di giornata di grande caldo. Condizioni che nel complesso hanno premiato il coraggio degli organizzatori, decisi a mantenere il programma previsto nonostante giornate sempre più corte. Al via delle tre prove, 300 trailers.
Cavallo nella prima parte di gara ha lottato a lungo con Ioan Maxim. I due leader sono transitati a Morgex (metà gara) appaiati e con passo davvero sostenuto. Il valdostano del team Salomon ha poi accelerato, proseguendo tutto solo. Sul finale il colpo di scena: nella discesa verso il traguardo Cavallo non ha preso rischi, Maxim si è tuffato a tutta, recuperando quasi tutto il distacco. Sulla linea d’arrivo l’ha spuntata il valdostano che ha vinto dopo 9 ore 02’00” di gara, davanti a Ioan Maxim (9 ore 02’17”) e Nadir Vuillermoz (9 ore 10’48”).
La gara femminile è stata vinta dalla lombarda Scilla Tonetti che ha così bissato il successo dello scorso anno, ma con un tempo più alto. Ha vinto in 11 ore 45’12”, dopo una gara corsa quasi sempre in prima posizione. Seconda Francesca Monica D’Urso, leader nei primi chilometri, all’arrivo in 13 ore 05’07”. Terzo posto pari merito per Federica Fazari e Nilda Blanc in 13 ore 52’45”.

Scilla Tonetti e Mimmo Domenighini ©ACmediapress

La 25 chilometri maschile è andata a Federico Mattia De Guio che ai meno tre chilometri dall’arrivo ha superato François Cazzanelli, scollinato con quattro minuti di vantaggio. De Guio ha vinto in 2 ore 21’16”, davanti a Cazzanelli (2 ore 22’28”) e al genovese Filippo Tirone (2 ore 23’25”).
Gloriana Pellissier ha tagliato il traguardo in trionfo, mano nella mano con il marito Massimo Junod. L’alpina si è aggiudicata la 25 chilometri femminile in 2 ore 45’41”, a precedere Laura Barale (2 ore 49’08”) e Marcella Pont (3 ore 01’04”).
Per la prima volta è stata inserita anche una gara a staffetta. Due frazioni da 35 chilometri sul percorso della 70, con cambio in centro a Morgex. Ha vinto il team Guidetti, formato da Xavier ed Emile Guidetti, giunti al traguardo in 9 ore 04’25”, pochi minuti dopo l’arrivo di Cavallo. Karine Monsagrati e Loris Vuillen sono i migliori della staffetta mista: quinti assoluti in 11 ore 12’27”; le prime donne sono invece Claudia Titolo e Luana Bellagamba, seste assolute in 11 ore 27’29”.


Cazzanelli-Steindl, è record sulle creste del Cervino

Sedici ore e 4 minuti. Per fare su e giù dalle creste Hornli, Furggen, Zmutt e Leone, sul Cervino. È questo il nuovo record fatto segnare ieri da François Cazzanelli, vecchia conoscenza degli appassionati di scialpinismo e dei lettori di Skialper, e Andreas Steindl. Entrambi Guide alpine, uno valdostano e l’altro svizzero, Cazzanelli e Steindl sono partiti alle 2.20 dal rifugio dell’Hornli dove hanno poi fatto rientro dopo essere salita quattro volte sul Cervino da diverse vie. Un concatenamento che portava la forma di Kammerlander-Wellig nel 1992 in 23 ore e che ha comportato più di 20 km di percorso e oltre 4.000 metri di dislivello.

STAGIONE DI RECORD - Quello del duo di Guide alpine è solo l’ultimo di una lunghissima serie di record dell’estate 2018. Proprio Steindl, solo a fine agosto, il 27, aveva fatto segnare un altro crono veloce sulla Gran Becca: da Zermatt alla vetta e ritorno, via Hornli, in 3 ore 59 minuti e 52 secondi. Steindl è uno specialista del Cervino, visto che ci è salito quasi 90 volte, ma mai lo aveva fatto così velocemente. E poi il record di salita e discesa di De Gasperi sul Monte Rosa, il crono di Emelie Forsberg in coppia con Kilian, sempre sul Monte Rosa, preceduto dal miglioramento del record già suo al Monte Bianco, l’altro record di Kilian al Bob Graham Round, quello di Emelie sul sentiero Kungsleden in Svezia. E che dire di Nico Valseisa da Genova al Monte Rosa in bici? E sicuramente ne dimentichiamo qualcuno. Record diversi, non solo alpini, ma anche di pura velocità su sentiero, però spesso duravano da anni. Non c’è dubbio però che il mondo dei record è esploso e forse il termine utilizzato non è sempre quello corretto, anche se il più mediatico. Sono confrontabili imprese come quella di Steindl con quella di Kilian da Cervinia. E la prestazione di Emelie Forsberg in coppia con Kilian sul Monte Rosa, migliore di quella di Gisella Bendotti, che durava da anni?

DIETRO AI TEMPI - «Parlare di record in alta montagna nei vari assetti offre molte discussioni e infatti esistono prestazioni in gara, record ufficiali e fastest known time - dice Marino Giacometti, padre dello skyrunning e precursore dell’andare veloci e in salita -. Ha senso parlare della miglior prestazione conosciuta in quel momento. Ora si dovrebbe distinguere… solo o in coppia, come nel caso di Kilian ed Emelie al Monte Rosa? Certo è che Emelie non si è fatta tirare un metro da Kilian, anzi. Certamente dal punto di vista psicologico e tecnico sono situazioni diverse». Per riportare un po’ di ordine può essere utile dare uno sguardo alla tabella riportata sul sito della International Skyrunning Federation http://www.skyrunning.com/wp-content/uploads/2018/04/Best-wk-Performance-record-10-4-2018.pdf


Michael Wohlleben, velocità verticale

Michael Wohlleben, tedesco, classe 1990, è diventato Guida alpina a soli 21 anni.  Qualche progetto realizzato? Il concatenamento invernale delle Tre Cime di Lavaredo del marzo 2017 con Simon Gietl in 9h15’, oppure la trilogia invernale (Cassin, Comici, Innerkofler) sempre alle Tre Cime, con Ueli Steck, oppure ancora la Nord dell’Eiger con Julien Irilli in 5h05 nel 2015. Ad agosto ha divagato tra la Val di Mello e le Isole Lofoten, in Norvegia. Abbiamo avuto l’occasione di scambiare qualche opinione con Michael.

Sei una delle Guide alpine più giovani, è difficile ottenere la fiducia di persone più anziane, che vanno in montagna da tanti anni?

«Difficile domanda, ora sono Guida da 7 anni e quindi, anche se ancora giovane, direi che ho abbastanza esperienza. Certo, forse quando avevo 21 anni non ero così esperto, però non ho deciso io, ma gli istruttori che mi hanno rilasciato il patentino, che hanno ritenuto che avessi la giusta competenza per portare le persone in montagna. Insomma, per farla breve… penso di essere stato una buona Guida, ma sicuramente ora sono migliore».

Che cosa vuol dire andare in montagna, qual è la tua filosofia?

«Niente di particolare, voglio divertirmi, voglio sentire i muscoli che lavorano e spingere i miei limiti, ma voglio anche tornare a casa».

Che cosa significa arrampicare? E sciare? Ti piace lo scialpinismo?

«L’arrampicata è centrale. Quello che mi piace di più è l’alpinismo veloce, che richiede molto allenamento di endurance. A volte quando arrampico mi sento come quando avevo sette anni e volevo solo scalare. Mi piace il freeride e lo skialp, soprattutto come base per l’allenamento di endurance».

Parlaci dei tuoi progetti, cosa dobbiamo aspettarci?

«Ho appena finito un progetto di cui probabilmente sentirete parlare presto e  voglio scalare in autunno per prepararmi ad andare in Patagonia in gennaio».

La trilogia delle Tre Cime è stata la tua impresa più importante?

«No, forse la più grande per i media e per me, ma è stata anche molto di più. Mi ha fatto capire come si realizzano i grandi progetti, mi sono preparato a lungo, la pianificazione è stata perfetta. Poi la scalata con Ueli è stata la punta dell’iceberg».

Ti alleni nelle palestre indoor?

«Sì, talvolta, ma non mi piace».

Parlaci della Nord dell’Eiger?

«È un’impresa molto più spontanea. Con Julien volevamo provarla, però ci sono stati dei problemini: all’inizio abbiamo sbagliato via, ho perso i ramponi, Julien non stava bene negli ultimi 200-300 metri, così abbiamo fatto 5h05’, c’è ancora tanto margine».

Cosa pensi del rischio in montagna?

«È una parte della medaglia che non mi piace, sono fidanzato con una bella ragazza e a casa mi aspetta un bambino di cinque anni, ecco perché non amo prendermi dei rischi. Però non sarei felice vivendo un’altra vita. È un bel conflitto».

Cosa pensi di occhiali e lenti per l’utilizzo in montagna, perché sono importanti?

«È impossibile non usarli, sono una parte importante dell’attrezzatura. Se esco di casa li ho sempre con me. Le lenti sono fondamentali, a seconda dell’attività devi scegliere quella giusta, o chiara o scura. Io, per gli sport sotto i 4.000 metri, preferisco le lenti Zebra».

Che modello di occhiali Julbo usi?

«Shield. Perché? Perché sono i miei bambini, li ho sviluppati insieme a Clement, il progettista di Julbo, e non sono solo molto funzionali, ma anche molto modaioli».

Julbo Shield

JULBO SHIELD - Protegge gli occhi in montagna come uno scudo

Novità Julbo per la primavera/estate 2018: il modello Shield unisce un design moderno e attuale alla protezione e sicurezza necessarie durante le avventure in montagna.Occhiale idoneo per qualsiasi terreno, anche in presenza di neve in alta quota,Shield offre un campo visivo molto ampio e massima protezione grazie all’alta qualità delle lenti fotocromatiche e polarizzate e alle protezioni laterali.

Le protezioni laterali sono realizzate in morbido tessuto che risulta delicato sulla pelle della zona intorno agli occhi e sono amovibili, per poter indossare l’occhiale anche dopo una giornata in montagna. Shield è inoltre dotato di aste sagomate antiscivolo e grip nose che permettono all’occhiale di rimanere in posizione con qualsiasi movimento e di piccoli fori sulla montatura, esattamente sopra e sotto l’area della lente, per una perfetta ventilazione, evitando così la formazione della condensa. La forma rettangolare lo rende un modello dallo stile elegante ma anche audace.

Shield è disponibile con lenti Zebra (fotocromatiche, di categoria 2-4) e con lenti Cameleon (fotocromatiche e polarizzate, di categoria 2- 4) reattive alle variazioni di luce.

Prezzo consigliato al pubblico – lenti Cameleon: 190 euro

Prezzo consigliato al pubblico – lenti Zebra: 150 euro


A Maurer la Salewa IronFly, ma a vincere è stato il pubblico

Con gli ultimi arrivi si è conclusa sabato la prima edizione della Salewa IronFly, la seconda gara di hike & fly più lunga al mondo con 458 chilometri in linea d’aria da percorrere e partenza e arrivo nei pressi di Lecco. Un evento solo alla prima edizione ma che ha avuto una grande eco mediatica ed è stato seguito da tanti appassionati lungo il percorso. Alle 08:57 di sabato mattina è arrivato al traguardo anche Giovanni Gallizia, il primo e unico italiano ad aver completato il percorso, sesto in classifica. La vittoria è andata all’austriaco Christian Maurer, dominatore incontrastato di questa disciplina negli ultimi dieci anni.

L'arrivo di Christian Maurer

GARA PER DURI - La durezza della gara è dimostrata dal limitato numero di atleti che sono riusciti ad arrivare al goal finale di Suello. Alle 10:56 è infatti arrivato in volo l’ultimo finisher, il polacco Michal Gierlach. Quella che nel pronostico di molti atleti avrebbe dovuto essere una competizione da tre giorni è stata resa complicatissima dal meteo, caratterizzato da pioggia, vento e nuvole basse, con previsioni spesso smentite dalla realtà atmosferica. In questa situazione gli atleti hanno dovuto camminare molto più del previsto, e una volta in quota spesso sono stati costretti ad aspettare una finestra favorevole per volare. Dura per tutti, dalla prima posizione fino all’ultima, quella occupata da Carlo Maria Maggia: «Da due giorni il riconoscimento facciale del mio smartphone non mi riconosce più».

il podio

LA CAVALCATA DI MAURER - Alle 15:05 del 16 maggio, 4 giorni, 4 ore e 50 minuti dopo il via, Chrigel Maurer ha concluso da vincitore il percorso. Il campione svizzero ha comandato dal primo all’ultimo giorno di gara. Partito da Lecco la mattina di sabato 15 maggio, Maurer ha passato le boe di Macugnaga - Monte Rosa, Bormio, Presolana prima di atterrare vittorioso a Suello, sede del Club Scurbatt, organizzatore della competizione. La sua è stata una leadership senza incertezze, riuscendo a mantenere a distanza gli attacchi di Von Kanel e Anders, che fino all’ultimo si erano portati a pochi chilometri dal primo posto.

ORGANIZZAZIONE OK - «Ero molto motivato per la Salewa IronFly, perché è una gara nuova che attraversa dei posti molto belli - ha detto Maurer al traguardo -. All’inizio è stata difficile, poi molto facile e poi di nuovo difficile, con molti cambiamenti di paesaggio e diverse opzioni tattiche. La gara è stata gestita molto bene dal team organizzatore che ci ha reso le cose facili per gareggiare e anche lo sponsor Salewa vestendo tutti gli atleti ha dato una bella mano. Sulla strada ho trovato tanti fan che sono venuti a salutarmi e fare il tifo, sembrava di stare alla Red Bull X-Alps. Quindi si vede che molti hanno seguito il live tracking e che alla sua prima edizione la Salewa IronFly è già una gara famosa». Soddisfatti anche gli uomini del club Scurbatt, la società organizzatrice. «Siamo molto felici di aver organizzato questa gara e di tutti gli atleti italiani e stranieri che hanno aderito con entusiasmo - ha detto Martina Troni, presidente -. Soprattutto siamo orgogliosi del successo di pubblico che abbiamo avuto alla nostra prima edizione. Tantissime persone hanno seguito e si sono entusiasmate a questa nuova disciplina che sta prendendo rapidamente piede anche in Italia».

LE REGOLE - Gli atleti potevano gareggiare solo dalle 07:00 alle 20:00, dovendo ripartire la mattina successiva a una distanza non superiore ai 200 metri dalla posizione registrata alla conclusione della giornata precedente. Unica eccezione, la possibilità di utilizzare il night pass, una sorta di jolly disponibile una sola volta per atleta, per continuare a camminare fino alla mezzanotte. Chi volava oltre le ore 20:00 subiva una penalizzazione, così come chi non rispettava le no fly zone, cioè le aree interdette al volo, che erano particolarmente complesse almeno fino alla boa del Monte Rosa.

 

Classifica finale Salewa IronFly
1. Christian Maurer
2. Patrick Von Kanel (+ 06h 15m)
3. Markus Anders (+07h 48m)
4. Simon Oberrauner (+1d 23h 57m)
5. Thomas Friedrich (+2d 01h 44m)
5. Thomas Friedrich (+2d 01h 44m)
6. Giovanni Gallizia (+2d 22h 42m)
7. Michal Gierlach (+3d 00h 41m)
8. Garin Stephane
9. Dario Frigerio
9. Roberto Alberti
11. Nicola Donini
12. Roberto Marchetti
13. Alfio Ghezzi
14. Tiziano Di Pietro
15. Dominika Kasieczko
16. Marc Delongie
17. Bernardo Zeni
18. Peter Kobler
19. Matteo Gerosa
20. Carlo Maria Maggia

Filippo Gallizia - ritirato
Moreno Parmesan – ritirato
Fabio Zappa – ritirato

 


Alla Fiera dell’Est

«Vattene all’Est da Mosetti e guarda un po’ cosa ci trovi». L’ordine, dalla redazione, era più o meno questo. L’anno scorso ce n’eravamo andati al Sud, quest’anno tocca dirigersi all’Est, quindi, verso le Alpi Giulie. Io, per inciso, abito all’Ovest, a Torino. Vado a sciare su cime alte più di tremila metri, a volte quattromila, molto spesso poi finisco in Francia dove bene o male mi ci ritrovo; al massimo il caffè fa un po’ schifo, ma le montagne hanno sempre la stessa forma. All’Est, invece, non mi ci ero mai fermato d’inverno e come tanti avevo la convinzione che l’Italia finisse a Venezia. Le montagne lì sono basse, squadrate e cattive, come i pugili che se le danno nel retro dei bar di periferia. La maggior parte di esse non arriva neanche a 2.000 metri, per dare un’idea». Inizia così l’ampio reportage di Federico Ravassard sullo sci selvaggio nelle Alpi Giulie che pubblichiamo su Skialper 116 di febbraio-marzo, disponibile nell’edicola digitale e ordinabile sul nostro sito nella versione cartacea.

Nel vento del Monte Sart ©Federico Ravassard

CON IL MOSE - Saranno montagne basse, almeno per uno che arriva dall’Ovest, però in mezzo a queste montagne è cresciuto uno degli scialpinisti italiani più cool del momento, Enrico Mosetti, detto il Mose. «Classe 1989, sponsorizzato da quel marchio molto hipster di Chamonix che ne riflette in pieno l’immagine, quattro spedizioni all’attivo e discese pazzesche su giganti di cinque o seimila metri in Perù, Georgia e Nuova Zelanda, più un tentativo al Laila Peak in Pakistan, ovvero una delle più belle montagne del mondo. Tutto questo per dire che, insomma, se uno così impara a sciare da queste parti, allora le Alpi Giulie devono avere un qualcosa dentro di selvaggio». Con lui ha sciato e girato Federico, ma non solo…

©Federico Ravassard

L’IMPORTANTE È SCIARE - Beatrice, Nicole, Andrea e Samuele hanno tra i 21 e i 22 anni e nella vita, oltre a studiare, sono maestri di sci ma amano anche uscire con le pelli, nella zona di Tarvisio. E sciano… Nei piedi avevano tutti assi e scarponi di una certa massa, si capisce che prima ancora di essere alpinisti loro sono sciatori, anche salendo verso il Montasio con le pelli. È importante sciare anche se è brutto, se la nebbia nasconde tutto. Come al Monte Sart, dove Federico ha avuto come compagno di gita Davide Dade Limongi. Non senza fare prima una tappa al Rifugio Gilberti e conoscere Tschurwi, cuoco e custode di questi monti. Dalle Alpi Giulie non nascono solo scialpinisti forti in discesa: ce ne sono altri che il vento sulla faccia lo sentono anche in salita. Uno di questi, che i lettori di Skialper conoscono bene, è Tadei Pivk, residente a Camporosso.

Sci selvaggio tra le nuvole ©Federico Ravassard

SENZA CONFINI – Il bello delle Alpi Giulie è che Austria e Slovenia sono dietro l’angolo, ed ecco allora che non ci siamo fatti mancare una sortita in Cariniza con Mose e i suoi allievi del corso di scialpinismo e a Bovec, sul versante sloveno di Sella Nevea, nella valle dell’Isonzo. «Nel fondovalle luccica l’acqua azzurra dell’Isonzo, la stessa che un secolo fa era tinta dal rosso del sangue dei ragazzi mandati a difendere il fronte dalle truppe austroungariche. La Prima Guerra Mondiale qui c’è stata per davvero: basti pensare che uno degli elementi decisivi della disfatta di Caporetto fu un tunnel poco sotto di Sella Nevea che gli austriaci utilizzarono per spostare armi e uomini senza farsi vedere dagli italiani appostati al colle».

Al Rifugio Gilberti ©Federico Ravassard

SAPORI DELL’EST – All’Alte Hütte a Campo Rosso Roberto Del Negro, proprietario e cuoco del ristorante, oltre a cucinare i deliziosi rigatoni al salto, è la memoria vivente dello scialpinismo giuliano. Gestiva una taverna che era di fatto un punto di riferimento fisso per i giovani scapestrati che si divertivano ad andare su e giù dai monti con mezzi e tecniche a dir poco rudimentali, come degli sci lunghi mezzo metro importati dall’Austria con i quali cercavano di scendere nei canali sopravvivendo in qualche modo fino al fondo. Le pareti del ristorante sono un pezzo di storia: nelle fotografie sono ritratti volti noti come Messner, Casarotto e Kukuckza. Lunga vita allo sci selvaggio.

Il Mose ©Federico Ravassard