Dobro došli

«Molte delle nostre storie nascono anche grazie a una piccola tendina gialla, in cui dormiamo presto la sera e dove ci svegliamo di buon’ora in posti magici. Proviamo a spostarci a piedi quando i passi di montagna sono ancora chiusi e camminiamo, oltre che per il semplice andare, soprattutto per stare bene e conoscere culture. Puntiamo a spazi dove il tempo si allunga e le memorie sono diverse, le relazioni umane e i segreti si sanno ancora mantenere. In città abbiamo regole e binari ben definiti a cui dobbiamo adeguare il nostro stile di vita, ma in montagna possiamo esprimerci, rilassarci e appena si arriva in altura scatta quella originalità che contraddistingue ciascuno di noi. Abbiamo piccoli obiettivi di giornata e il solo vero scopo di raccogliere storie di minoranze scovandole nella familiarità che si prova tra le mura domestiche di qualcuno che hai appena conosciuto».

© altopiani.org

Scrivono così Giacomo Frison e Glorija Blazinšek in Dobro došli, su Skialper 136 di giugno-luglio. Nel reportage che pubblichiamo scrivono di incontri e di ospitalità tra Carpazi, Balcani e Caucaso. Spesso in case semplici ma dignitose, dove sono le donne le vere padrone. «Di solito è l’uomo che rompe il ghiaccio, cerca di filtrare lo sconosciuto da quella che è la sua casa. Non è sempre facile entrare in una proprietà privata, alle volte gli interrogatori durano decine di minuti sotto la pioggia o sotto il sole rovente, si viene ispezionati alla luce di una torcia, ti chiedono da dove arrivi e per dove hai intenzione di proseguire; in altre occasioni ci sono dei cani da guardia particolarmente aggressivi. Ma poi, quando tutto si calma, e ti viene fatto quel cenno di approvazione per entrare, quando passi la soglia e vieni accolto, è lei, la donna, che premurosa come se ti conoscesse da sempre si prende cura di te. Lungo le linee a zig-zag di Altripiani, seguendo monti e confini, lontano dalla città, è sempre andata così. Le donne sono le persone che il più delle volte ti fanno sentire a casa anche se ti trovi molto distante dai tuoi cari».

Si passa dalla genuinità della contadina Mayvala, in Georgia, al polacco Jozef che ha una vecchia radio che accende solo per ascoltare le previsioni meteo, oppure a Dana e Boro che vivono ancora con Tito, padre della Jugoslavia, che li guarda severo dalle pareti della cascina. Sui monti dell’Albania i giovani Pavlin e Zef accolgono i turisti nella loro guesthouse e nel ristoro tra i boschi, mentre non lontano sorgono villaggi turistici un po’ kitsch ad uso di facoltosi turisti arabi. Solo andando a piedi si possono scoprire i luoghi e le persone. E magari anche la natura selvaggia del parco del Durmitor, in Montenegro. 

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«Abbiamo piantato la tendina in ottima posizione, poco distante da un lago glaciale e alcune lingue di neve che si alternano a una vegetazione ancora in lenta ripresa dopo la stagione più fredda. Stiamo godendo di una speciale luce del tramonto, dopo una giornata di vento forte e nuvole minacciose durante la quale spesso abbiamo calpestato neve sprofondando fino alle ginocchia. Sopra una certa quota è difficile andare a esplorare, infatti non c’è un’anima viva in giro, solo un camoscio solitario che nell’indifferenza più totale ha continuato a mangiare ramoscelli di graminacee e foglie di arbusti. In questo paesaggio sconfinato la luce si fa più debole e si avvicina per noi l’ora più difficile, quella tra le sette e le otto di sera. Vorresti dormire, appisolarti, ma al tempo stesso guardare fuori curioso». 

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Marco De Gasperi 2.0

«Ho avuto l’onore di sfidare i due più grandi runner della natura degli ultimi decenni, Kilian Jornet e Jonathan Wyatt e, se guardo indietro, i due episodi chiave della nostra rivalità sportiva sono stati entrambi al monte Kinabalu, in Malesia, a pochi chilometri di distanza uno dall’altro. C’è una legge del contrappasso: nel 1999, ai Mondiali di corsa in montagna, abbiamo duellato tutta la gara con Jonathan, poi lui, su una salita, è partito e non sono riuscito a tenere il ritmo. Dopo un po’ l’ho visto accasciato a terra, a pagare quello sforzo, e mi sono trovato al collo una medaglia d’oro insperata. Nel 2011 ho patito una delle sconfitte più brucianti: avevo tre minuti di vantaggio su Kilian e davanti a me una discesa per gestire il vantaggio; ancora oggi non riesco a capacitarmi di come abbia potuto raggiungermi e superarmi prima del traguardo».

A parlare è Marco De Gasperi, intervistato dal direttore responsabile di Skialper, Claudio Primavesi, sul numero 136 della rivista, in edicola ora. Un anno ricco di novità quello della leggenda della corsa in montagna. Da carabiniere, con il tanto agognato posto fisso, a manager di uno dei marchi più famosi del mondo outdoor, SCARPA. E in dodici mesi difficili ha corso tanto, ma in un modo diverso da prima. Dal suo arrivo ad Asolo, ad aprile 2020, nel pieno di una pandemia, a maggio 2021, sono arrivate nei negozi ben quattro scarpe nuove. Così quella con Marco è stata una chiacchierata a 360 gradi, dalle scarpe da trail all’ultra-running. Ecco un paio di anticipazioni.

Come sarà la scarpa del futuro? 

«Conta il cushioning, conta il rebound, ma credo che nel mondo del trail non si possa prescindere dalla precisione, non tanto o solo in punta, ma all’altezza del collo del piede, indipendentemente dalla filosofia che si utilizza per raggiungere il risultato».

Cosa cambia tra corto e veloce e lunghe distanze, dal punto di vista di chi arriva dalla corsa in montagna e dalle skyrace?

«Ho grande rispetto per i più forti atleti ultra anche se a volte si è portati a credere che le prestazioni non siano così eccezionali e che allungando le distanze si possano mescolare le carte. Non è così: prendi l’UTMB, ci sono una ventina di atleti top eppure ne arrivano al traguardo sempre pochi, non perché non siano preparati, ma perché le variabili che rendono difficile la lettura della gara sono tantissime e gli outsider che si mettono in mostra non lo fanno per demerito dei big. Cambia l’approccio all’allenamento, la crisi non la puoi eliminare, ma devi allenarti a resistere, a superarla nel più breve tempo possibile. Quello che rende tutto più difficile è che è ancora una disciplina in fase di studio, a livello di conoscenze siamo come negli anni Ottanta per la maratona».

© Federico Ravassard

PrimAscesa, prove generali di alpinismo post apocalittico

«Per una civiltà fortemente urbanizzata la natura è, nel migliore dei casi, una gita nel weekend. Una cosa da Linea Verde, da guardare nei documentari. Qualcosa che non ci riguarda da vicino, così come non ci riguardano (apparentemente) da vicino gli effetti devastanti che hanno su di essa anni di abitudini globali di consumo non sostenibile. Ok, è triste che molte specie vegetali e animali si stiano estinguendo, ma in fondo chi le aveva mai viste?».

Comincia così l’articolo PrimAscesa, prove generali di alpinismo post apocalittico di Elisa Bessega su Skialper 136 di giugno-luglio. È proprio attraverso un documentario che Simon e Juan, alpinisti trentini da sempre alla ricerca di avventure fuori dal comune, si propongono di farci sentire abitanti, e dunque responsabili, del pianeta che dovremmo chiamare casa. E non lo fanno esaltando la bellezza idilliaca di qualche vallata incontaminata lontana centinaia di chilometri da qui, né denunciando gli effetti irreversibili dello scioglimento delle calotte polari. Al contrario, ci obbligano brutalmente a fare i conti con qualcosa di molto più familiare, ovvero tutto ciò che, una volta buttato nel cestino, pensavamo fosse scomparso. Benvenuti in PrimAscesa: la prima ascesa invernale e discesa su sci di una discarica cittadina.

«Nessuno sa cosa incontreranno durante la salita, non sono stati fatti sopralluoghi prima delle riprese né è stato concordato alcun copione. Nessuna relazione a cui fare riferimento, nessun video online che anticipi le condizioni del pendio: in un momento storico in cui mappe, GPS, forum e social ci permettono di attingere a un vastissimo bacino di informazioni prima di ogni gita, la sensazione paradossale è quella di ritrovarci per la prima volta ad esplorare sul serio un territorio vergine». PrimAscesa è un mediometraggio diretto da Leonardo Panizza e prodotto da Linnea Marzagora recentemente proiettato nel corso della sessantanovesima edizione del Trento Film Festival e premiato come miglior film della sezione Orizzonti Vicini.


Anche la montagna protagonista in un libro per la ricerca contro la fibrosi cistica

Anche la montagna è protagonista negli episodi raccontati da Roberto Bombassei in Respiriamo insieme, viaggio nel mondo della fibrosi cistica (in vendita qui) libro appena pubblicato la cui vendita andrà interamente a finanziare un nuovo progetto di ricerca avanzato di Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica. «La montagna e la quota aiutano a curare la fibrosi cistica come le altre malattie che interessano l’apparato respiratorio ed è anche per questo che è presente nel mio libro» dice Bombassei, padre di Francesca, nove anni. «È un libro che non avrei mai voluto scrivere perché mai avrei voluto mia figlia malata di fibrosi cistica, lo abbiamo scritto per sensibilizzare, attraverso la nostra esperienza personale, il mondo esterno su questa malattia invisibile e parte dalla nostra esperienza personale, con aneddoti che non abbiamo mai rivelato». A firmarlo anche Annalisa Lancellotti, co-fondatrice di Fibrosi Cistica Altomilanese. All’interno anche due interviste a Matteo Marzotto, presidente di Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica, e alla professoressa Carla Colombo, dirigente della Clinica De Marchi di Milano. Bombassei non è nuovo a iniziative per la raccolta fondi a sostegno della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica ed è stato sostenuto anche da Montura e dagli store del marchio. Per finanziare il progetto di ricerca l'obiettivo è di vendere 6.000 copie del libro. 


Il paradiso è per pochi

«L’inizio di luglio è uno dei periodi più tranquilli e bui dell’anno a El Chaltén. Gli affollati mesi estivi sono un lontano ricordo e gli inverni freddi e tempestosi della Patagonia meridionale, anno dopo anno, hanno fatto da humus per un’improbabile cultura dello sci tra le guglie di granito e l’arida steppa. Una cultura forgiata dal clima spietato della regione e dalla topografia, sfidando gli standard dell’industria dello sci e plasmando gli sciatori a partire da un improvvisato gruppo di semplici local con diverse storie di montagna alle spalle. In effetti si tratta di una community così poco conosciuta che molti dei non sciatori di El Chaltén sanno a malapena che esiste».

© Matthew Tufts

E di quella community così piccola (si dice una trentina di sciatori, in buona parte avvicinatisi alla montagna invernale senza avere mai preso una funivia o una seggiovia) ora fa parte anche il giornalista statunitense Matthew Tufts, che ha passato un intero inverno (che naturalmente corrisponde alla nostra estate) tra i venti burrascosi della Patagonia. Su Skialper 136 di giugno-luglio pubblichiamo in esclusiva per l’Italia un reportage di 20 pagine sull’inverno patagonico. Venti pagine per parlare di sci e pelli ai piedi di alcune delle montagne più fotografate al mondo, dal Cerro Torre al Fitz Roy. Venti pagine per spiegare un inverno fatto di avvicinamenti interminabili in foreste fittissime e di lunghe attese della finestra meteo giusta. «Il tempo gioca a uno strano gioco in Patagonia. Passano giorni e poi settimane all’insegna della tempesta. Questo, tuttavia, dà alla cultura montana argentina la possibilità di fiorire, celebrando la vita all’ombra di un anfiteatro alpino, banchettando con asados e sognando obiettivi futuri. Entrambi sono cotti a fuoco lento e marinati con la pazienza che solo la Patagonia può infondere. L’esperienza è innaffiata da un buon Malbec e dal fischio del vento, guarnita con un’alzata di spalle verso le opportunità mancate, deluse da tempeste furiose».

© Matthew Tufts

Poi però quando arriva l’occasione giusta, dimentichi le lunghe attese (che sono la migliore scusa per conoscere i local). «’In Patagonia devi essere paziente’ mi aveva detto Lipshitz diverse settimane prima. «È difficile aspettare, non è per tutti. Ma una volta che provi a sciare qui, quando trovi le condizioni giuste, non c’è niente di paragonabile». È l’incertezza che ti fa desistere, ma se hai il fegato di scommettere e di stare al gioco… A El Chaltén la questione non è ‘com’è’ o ‘come sarà probabilmente’, ma ‘come può essere bello’ dicono i local. Ed è un ottimo motivo per mettere il proprio destino in balia dei venti del Sud». Come ha fatto Matthew Tufts. 

© Matthew Tufts

La formula del divertimento di tipo 2

«Non l’avrei mai fatto se non qui, a casa mia, pandemia o meno». Ha detto così Martina Valmassoi parlando del record del mondo di dislivello in 24 ore con gli sci che ha fatto registrare a fine marzo in Cadore. 17.645 metri contro i 16.777 di Rea Kolbl, un record registrato solo qualche giorno prima. Eppure il primato di Martina è spontaneo come lei. Ha organizzato tutto da sola, messo insieme e gestito la sua crew, sentito il comune per capire se in zona rossa fosse possibile tutto questo. È nato all’ultimo minuto. «Poche strategie, l’obiettivo che si pone è di fare un giro all’ora e completarne 24 - scrive Smaranda Chifu su Skialper 136 di giugno-luglio - L’unica cosa che ha subito chiara, perché così le ha consigliato la trail runner brasiliana Fernanda Maciel, è di iniziare subito con la notte di modo da togliersela all’inizio». 

Martina non avevo praticamente sciato in pista quest’anno e nessun allenamento specifico, ha preso una decisione a febbraio e soltanto allora ho messo in cantiere due settimane di carico con circa 30.000 metri di dislivello in pista. Alla fine ne sono uscite 24 ore di divertimento due. «Ci sono tre tipi di divertimento. Il divertimento di tipo uno è quello che ti diverti mentre lo fai; il tipo due mentre lo fai non ti diverti affatto ma a posteriori assume un altro sapore e ti viene voglia di farlo ancora; e poi c’è il divertimento di tipo tre, che non ti diverti mai, nemmeno a posteriori. ‘Sicuramente questo è di tipo due’ risponde Martina ‘sai a un certo punto, mentre risalivo il muro, pensavo di aver sbagliato strada, mica me lo ricordavo così lungo, però alla fine ci sono arrivata col sorriso, ero proprio felice’»


Il 9 luglio al via le qualificazioni per il Campionato Mondiale di Plogging

Partiranno venerdì 9 luglio le qualificazioni per il primo Campionato Mondiale di Plogging, la corsa abbinata alla raccolta dei rifiuti abbandonati, che si terrà a ottobre in Piemonte. Saranno 17 le corse qualificanti per accedere alla selezione, oppure sarа possibile ottenere il pass attraverso una specifica ploggingchallenge, un’esclusiva classifica virtuale che permetterà agli amatori di accumulare punti competere tra loro. Durante la regular season (ovvero la fase di qualificazione), saranno 13 i trail che consentiranno di concorrere per la qualificazione al Campionato, all’interno di numerosi appuntamenti: Gran Trail Courmayeur (9-11 luglio), 100 miglia del Monviso (23-25 luglio), Trail EDF Cenis Tour (31 luglio-1° agosto), Alpe Adria Trail (13-15 agosto), a cui si aggiungono, per una sorta di play off, le 4 distanze del TorX (12–18 settembre) per un totale di 17 distanze.

Tutti i runner iscritti a questi trail potranno accedere gratuitamente alle selezioni per il World Plogging Championship, una volta iscritti riceveranno l’attrezzatura necessaria (guanti e sacchetto) direttamente con il pacco gara. Le gare fanno dunque parte a tutti gli effetti del Campionato, del quale rappresentano le fasi di selezione e di qualificazione alla fase finale di ottobre.

Per gli amatori che vogliono prendere parte alla competizione ecco invece una selezione particolare e coinvolgente: la ploggingchallenge. Non sarà necessario partecipare a un trail per ottenere la qualificazione, ma un particolare sistema di selezione verrà svelato nella conferenza stampa di presentazione in programma nella prima metà di luglio. Sarà possibile iscriversi sul portale worldploggingchampionship.com e partecipare così alla sfida per aggiudicarsi i pettorali in palio.


Chiedimi se sono felice

«L’idea è nata praticamente insieme: Matteo vedeva, dalla finestra della suo nuova casa in affitto, a San Vito di Cadore, il Pelmo a destra e l’Antelao a sinistra, entrambi gli facevano l’occhiolino; io stavo cullando il sogno di un’avventura lunga con gli sci. Per un inverno intero ci siamo confrontati, abbiamo perfezionato il percorso, la strategia. Ognuno preso dai suoi impegni, ci siamo allenati meglio che potevamo. Ci siamo visti poco negli ultimi mesi, non abbiamo mai sciato insieme la neve di questa stagione. Eppure ci sentivamo tutti i giorni per motivarci e stare focalizzati sul progetto, per condividere i dubbi e la carica che avevamo dentro».

Quale idea? Concatenare quattro vette simbolo delle Dolomiti come Civetta, Pelmo, Antelao e Tofana di Rozes partendo da casa e spostandosi solo con gli sci o a piedi. Quello che hanno fatto Giovanni Zaccaria e Matteo Furlan. 56 ore, circa 9.000 metri di dislivello e 85 chilometri di sviluppo di cui parliamo su Skialper 136 di giugno-luglio. Ma il cronometro è stata solo l’ultima preoccupazione.

«Non abbiamo fatto le corse, il cronometro non è uno strumento che ci appartiene. Ci siamo messi in gioco, sì, dal primo all’ultimo momento. Abbiamo tracciato una curva a modo nostro, unito dei punti che per noi significavano qualcosa, prevedendo non solo neve brutta, ma anche fango e polvere. Ora, da ogni punto delle Dolomiti, guarderemo queste quattro cime e l’aria che le separa con occhi diversi. È stato strano salire le montagne senza dare importanza all’apice della vetta. Perché il nostro giro, come tutto ciò che scorre, andava avanti lo stesso. Non c’era tempo per sedersi sugli allori, sentirsi arrivati. Esisteva solo il presente, da assorbire con gli occhi e col cuore, lì in piedi di fianco a questa o quella croce. Fermi per un istante privo di gratificazione, come adesso che è tutto finito». 

Una fatica per scoprire la differenza tra contentezza e felicità. «È bello sentirsi soddisfatti e contenti, ma l’appagamento dura poco, il tempo di una storia su Instagram, e già bisogna pensare al giorno seguente. La felicità è un’altra cosa, dice il mio tumulto interiore mentre apro gli scarponi e cerco le chiavi dell’auto. Ha a che fare con il sogno, con l’ideazione, la sperimentazione e la condivisione vera. La felicità costa fatica ed ha bisogno dei suoi tempi».


Maguet-Boffelli da sogno alla Monte Rosa SkyMarathon

Erano in 558 da 36 Paesi ieri alla Monte Rosa SkyMarathon, la gara più alta d’Europa, 35 chilometri di lunghezza e 7.000 metri di dislivello complessivi da Alagna Valsesia a Capanna Margherita, 4.554 metri di quota, andata e ritorno. In contemporanea su metà del percorso della gara principale si è corso l’AMA VK2, un doppio Vertical Kilometer.

La vittoria è andata alla coppia William Boffelli-Nadir Maguet in 4h43’58’’ su
Franco Collé-Tadei Pivk (5h01’28’’) e Henri Gorsjacques-Daniel Thedy (5h13’07’’). Tra le donne vittoria delle gemelle svedesi Lina e Sanna El Kott Helander, alle prese per la prima volta con una gara a così alta quota. Hanno trovato dura concorrenza nella coppia valdostana-valtellinese formata da Giuditta Turini e Laura Besseghini, che hanno riscattato il ritiro del 2019, avvenuto a pochissimo dalla vittoria. Le gemelle El Kott hanno chiuso in 6h22’12”. Il team italiano Turini-Besseghini ha tagliato il traguardo raggiante per il secondo posto in 6h31’30” a poco distacco da Marina Cugnetto e Roberta Jacquinterze in 6h32’35”.

Le gemelle El Kott Helander ©Damiano Benedetto

La seconda edizione dell’AMA VK2 ha visto l’americana Hillary Gerardi rubare la scena. Nel 2018 ha vinto la Monte Rosa SkyMarathon con la britannica Holly Page e quest’anno ha voluto tornare ad Alagna per respirare un po’ di aria di alta montagna.
Nove chilometri di sola salita con 2.086 m di dislivello positivo, questo perfetto doppio Vertical Kilometer finisce a 3.260 m di altitudine. Gerardi ha tagliato il ripido e innevato traguardo in 1h58’57” – nuovo record del percorso. Corinna Ghirardi ha chiuso per la seconda volta in un eccellente secondo posto in 2h02’33”, mentre la francese
Iris Pessey, vincitrice nel 2019, si è accontentata del gradino più basso del podio con un crono di 2h09’17”. Con Maguet, vincitore 2019, impegnato nella SkyMarathon, il primo gradino del podio maschile AMA VK2 è andato a Damiano Lenzi in 1h32’13”, 9’48” meno del precedente record di Maguet. Lo svizzero Pascal Egli ha chiuso al secondo posto in 1h38’15” con Giovanni Zamboni terzo in 1h42’43”.

Franco Collé e Tadei Pivk ©iancorless.com

Pionieri dietro casa

«L’Altavia numero 1 tocca quasi tutti i luoghi più simbolici delle Dolomiti, dal Lago di Braies alla città di Belluno. Forse, più che un concatenamento di sentieri, è un simbolo. Una metafora di libertà, un modo per le persone di riuscire a toccare l’indipendenza con uno zaino in spalla, tanto pesante quanto lo sarà la fame e la propria necessità di agio». 

Comincia così l’articolo di Andrea Galliano che pubblichiamo su Skialper 136 di giugno-luglio, in edicola a partire da questi giorni. Un articolo che mostra un’altavia in una veste completamente diversa, invernale. E con tutti i rifugi chiusi. «Quest’inverno tra i miei pensieri è riaffiorato un vecchio sogno: percorrerla nella stagione meno confortevole dell’anno. L’idea è molto semplice quanto per me elettrizzante: coprire tutte le tappe sci ai piedi, dormendo in bivacchi di fortuna, malghe o altri ricoveri che potrei trovare per strada».

Ecco così che un progetto a lungo nel cassetto diventa realtà, con tutte le sue difficoltà. «Se la giornata è andata bene, la notte al contrario: una delle più lunghe della nostra vita. Abbiamo scavato una truna con la stessa meticolosità di quando si fa un favore a una persona che sta antipatica». Un progetto che sa di libertà, nel cuore di uno dei momenti più difficili della nostra esistenza. «Siamo in un bar con una birra sul tavolo aspettando qualcuno che ci riporti a casa, la mascherina è tornata sul viso. I giorni trascorsi ci hanno fatto dimenticare il Coronavirus. Probabilmente abbiamo sbagliato, anzi sicuramente: non è dimenticandosi che si risolvono i problemi, ma siamo riusciti a sentirci realmente liberi».

© Andrea Galliano

Mondiali long distanze e tre tappe di Coppa del Mondo di scialpinismo in Italia nel 2021/22

Si inizia in Italia e si chiude in Francia. La stagione agonistica internazionale dello scialpinismo prevede il via con la prima tappa di Coppa del Mondo a Pontedilegno-Tonale (sprint, vertical, individual) il 16 dicembre e la chiusura a Flaine (sprint, vertical, individual) il 6 aprile. In mezzo le trasferte del 15 gennaio ad Andorra per vertical e individual, a Morgins, in Svizzera, del 28 gennaio per sprint e individual. Poi il ritorno in Italia per la Valtellina Orobie del 4 febbraio (individual, sprint - tra Albosaggia e Caspoggio) e per l'International Ski Alp Race Dolomiti di Brenta il 17 marzo a Madonna di Campiglio (vertical, individual), con prima la tappa turca di Erciyes (24 febbraio, sprint, vertical, individual). A partire dal 9 febbraio, in Vall de Poi, Spagna, sarà la volta dei Campionati Europei, mentre i Mondiali in calendario sono due: Long Distance, al Tour du Rutor Extreme, il 31 marzo, e Master, a Piancavallo il 4 marzo.


TX2 Evo, TX Hike e Akasha 2 saranno gli highlight dell’estate 2022 firmata La Sportiva

La Sportiva a tutto hiking e approach nel 2022, all’insegna della sostenibilità ambientale. La nuova linea da hiking TX HIKE ad esempio, impiega per il 65% materiali riciclati mentre i lacci utilizzati sulla linea climbing ed approach sono realizzati in materiale riciclato. I lacci e i sottopiedi della linea running sono inoltre realizzati con componenti derivati dal riutilizzo della materia prima all’interno del ciclo di produzione. Non solo, attraverso la pratica della risuolatura che i climber conoscono bene, La Sportiva invita da sempre a rigenerare e dare una seconda vita a scarponi e scarpette d’arrampicata. La vera novità però è che dall’estate 2022 anche le calzature da approach potranno essere risuolate grazie all'innovativa costruzione RESOLE PLATFORM presente sulla nuova TX2 EVO. La risuolatura sarà possibile rivolgendosi a una rete di professionisti, laboratori artigiani altamente qualificati, autorizzati e formati dai tecnici dell’azienda trentina. Risuolare, riutilizzare e rinnovare è sempre di più il mantra aziendale.

Vediamo quali sono le principali novità nel footwear.

TX2 Evo è la calzatura più leggera della serie approach Traverse X: soddisfa le esigenze di grip, protezione, minimo ingombro e leggerezza richieste in avvicinamento tecnico e durante le vie multi-pitch. Adotta un pacchetto suola con battistrada 100% risuolabile che ne raddoppia il ciclo di vita ed impiega materiali riciclati per un minor impatto ambientale. Il pacchetto suola è concepito per una facile e rapida risuolatura attraverso la sostituzione del battistrada esclusivamente presso i risuolatori autorizzati La Sportiva. La tomaia è priva di cuciture e molto avvolgente grazie alla linguella integrata che elimina gli spazi vuoti e fascia il piede per massimo comfort e protezione. Il tessuto utilizzato per la tomaia, i lacci, il plantare Ortholite Hybrid Approach e parte dell'EVA dell'intersuola sono inoltre realizzati con materiali riciclati e vegan friendly. Suola Vibram IdroGrip con climbing zone  concepita per il massimo grip su terreni tecnici.

La Sportiva TX2 Evo

TX2 Evo Leather è la calzatura pensata per l'avvicinamento tecnico alle pareti d'arrampicata ed utilizzo in falesia, caratterizzata da una calzata avvolgente e dal comfort impareggiabile della tomaia in pelle scamosciata. Adotta un pacchetto suola con battistrada 100% risuolabile che ne raddoppia il ciclo di vita ed impiega materiali riciclati per un minor impatto ambientale. Il pachetto suola è concepito per una facile e rapida risuolatura attraverso la sostituzione del battistrada esclusivamente presso i risuolatori autorizzati La Sportiva. Rispetta l'ambiente grazie alla tomaia in eco-concia metal free, al sottopiede Ortholite Hybrid in materiale riciclato, all'intersuola realizzata in parte con sfridi di lavorazione e ai lacci 100% recycled. Suola Vibram IdroGrip con climbing zone  concepita per il massimo grip su terreni tecnici.      

La Sportiva TX2 Evo Leather

                                 

TX Canyon è la calzatura che La Sportiva dedicata al canyoning/torrentismo ed alle  attività acquatiche che necessitano di calzature robuste, durevoli e dall'ottimo grip per muoversi in sicurezza nei corsi d'acqua.  EasyIN-EasyOUT: ogni componente è pensata per la massima velocità di asciugatura e l'idrorepellenza è ottenuta con materiali e trattamenti al 100% PFC Free, compatibili con l'ambiente. La tomaia è in Ariaprene, materiale certificato toxic free e composto da 4 strati che permettono all'acqua di fuoriuscire velocemente, anche grazie alle due valvole di scarico poste sull'arco plantare.

Calzatura low-cut di nuova generazione per l’escursionismo veloce, TX Hike GTX è realizzata con componenti eco-compatibili e vegan friendly quali: lacci e fettucce passanti in materiale 100% riciclato, sottopiede Ortholite Hybrid, battistrada Vibram Eco Step Evo con componenti derivanti dal ciclo di lavorazione, tomaia in tessuto riciclato. Combina soluzioni proprie del DNA Mountain La Sportiva con tecnologie di derivazione Mountain Running per un prodotto polivalente e sostenibile. I volumi molto ampi permettono un comfort di calzata molto elevato. Anche la nuova membrana Gore-Tex Extended Comfort è realizzata con materiali plastici a fine vita ed è certificata Bluesign. L'intersuola a compressione in EVA in parte riciclata aggiunge stabilità e ammortizzazione per un prodotto affidabile e comodo da indossare anche per un multi-day hiking. Esiste anche la versione mid-cut. 

La Sportiva TX Hike

Nel segmento hiking c’è anche il re-edit estetico di Ultra Raptor II GTX, disponibile anche in versione junior, mentre nella versione non GTX l’azienda la indica anche per il trail running. 

Arriva la v2 di un grande classico della collezione La Sportiva Mountain Running: Akasha. Il comfort di calzata è dato dall’ammortizzazione, grazie all’inserto plantare Cushion Platform e dai volumi interni ampi oltre che dalla tomaia morbida, traspirante ed avvolgente a costruzione Slip-on che evita punti di compressione durante la corsa. I rinforzi attivi anteriori Dynamic ProTechTion forniscono protezione e struttura seguendo il movimento del piede in modo dinamico e senza costrizioni. La suola grippante e bi-mescola FriXion Red è dotata dell’esclusiva soluzione Trail Rocker in grado di favorire il movimento naturale ‘tacco esterno – punta interna’ del piede durante la corsa. Lacci e plantare Ortholite Hybrid sono inoltre realizzati in materiali riciclato. Akasha II: il codice dell’ultra-runner si esprime attraverso protezione, comfort ed ammortizzazione.

La Sportiva Akasha 2