Maratona del Cielo a Daniel Antonioli e Denisa Dragomir

A Santicolo, in Alta Valle Camonica, è andata in scena la 24ª edizione della Maratona del Cielo. 330 iscritti, di cui 223 sulla prova regina da 42 km (2700 m D+) valevole come prova unica di campionato italiano skymarathon 2019. Pronti via e si è subito capito che la sfida per il successo sarebbe stato un discorso a due tra il lecchese campione di winter triathlon Daniel Antonioli e lo scialpinista bergamasco William Boffelli. In lizza per un posto sul podio anche il ruandese Jean Baptiste Simukeka e il trentino Daniele Cappelletti. Dietro tutti gli altri.
Sempre al comando, Antonioli ha dimostrato sul campo che il secondo posto conquistato poche settimane fa alla tappa di world series di Livigno non era casuale. A lunghi tratti sotto lo storico record della gara di Mario Poletti, nel fiale il soldatino del Team La Sportiva ha un poco pagato dazio stoppando però il cronometro su uno stratosferico 4h11’38” che è il secondo migliore crono di sempre alla maratona del cielo. Per lui un successo che gli è valso anche il titolo italiano Fisky di Skymarathon. Seconda piazza per un sorprendente Boffelli (4h17’07”), mentre terzo si è piazzato un sempre convincente Daniele Cappelletti (4h26’27”). Completano la top ten di giornata Jean Baptiste Simukeka, Andrea De Biasi, Jesus Gaviria, Fausto Lizzoli, Francesco Lorenzi, Clemente Berlingheri e Giuseppe Pedretti.
Ancora Denisa Dragomir nella gara in rosa. La rumena del team Serim ha seminato le avversarie e fatto gara su gli uomini. Il gran caldo le ha impedito di attaccare il primato della mitica Emanuela Brizio, ma non di firmare il suo 4° successo alla super classica camuna. Per lei finish time di 5h25’15”. Seconda assoluta e campionessa italiana 2019 di skymarathon la bergamasca Daniela Rota (5h38’44”) che con questo tricolore impreziosisce ulteriormente quella che sino ad ora è la sua magic season. Completa il podio della 24ª edizione la colombiana Catalina Beltràn (6h07’13”) che dopo avere sofferto la cresta aerea del Sellero è riuscita a rientrare sulla veneta Cristiana Follador 4ª assoluta. Nella top five di giornata anche l’orobica Beatrice Meloni.
Performance da record sulla mezza maratona valevole come tappa di Lombardia Running. Qui il nuovo tempo da battere sarà quello di Robert Panin Surum che in 1h56’06” ha messo dietro il lecchese Mattia Gianola (2h01’04”) e Francis Maina Njoroge (2h02’22”). Bene pure Francesco leoni 4° e Mattia Bertoncini 5°.
Nuovo primato anche al femminile con la colombiana Emily Schmitz che dopo il successo alla Doppia W Ultra 60 ha primeggiato in 2h33’39”. Secondo posto per Elisa Compagnoni in 2h37’47”, mentre terza si è piazzata Lorenza Combi in 2h43’16”.


Cala Cimenti, discesa quasi integrale dal Nanga Parbat

Arriva qualche informazione in più dal Nanga Parbat sulla discesa con gli sci di Cala Cimenti e del russo Vitaly Lazo. A qualche ora di distanza ecco i primi dettagli dopo le informazioni di ieri, quando a un certo punto si era temuto anche il peggio vedendo la traccia del Garmin inReach ferma per quasi un’ora. L’altro russo Anton Pugovkin, sceso a piedi, non riuscendo a scorgere più i due aveva dato l’allarme. «Cala aveva un ampio zoccolo di ghiaccio sotto gli sci e si è fermato a lungo per scalfirlo» dice la moglie Erika Siffredi, raggiunta al telefono dalla redazione di Skialper. Erika è stata in grado di fornirci altri dettagli interessanti. La discesa è iniziata circa 50 metri sotto la cima perché in vetta ci sono delle rocce non sciabili. La partenza è avvenuta all’imbrunire, verso le 17,30 ora locale e quindi in parte sono state necessarie le frontali. Cala ha sciato fino al C4, dove è arrivato dopo la mezzanotte, dopo essersi fermato a riposare e dopo che Vitaly aveva deciso di proseguire a piedi nell’ultimo tratto. Ha poi proseguito con gli sci il giorno seguente anche verso il C3 e il C2, ma in un tratto ghiacciato è stato necessario l’utilizzo delle corde. Ora, dopo i festeggiamenti in tenda, sta rientrando verso Skardu. Il primo ad arrivare in vetta in questa stagione è stato il francese Boris Langenstein che, dopo un tentativo di salita fallito a quota 8.030 metri a causa della tanta neve e della fatica a battere traccia, è arrivato in vetta il primo luglio e ha sciato fino al C4, per poi proseguire il 2 luglio fino al campo base, tranne 100 metri di corda fissa sotto il campo 3 per affrontare un tratto ghiacciato. Con lui c’era la compagna Tiphaine Duperier, che però si era fermata prima della vetta, probabilmente stanca per le notti passate in quota. Anche Langenstein è però partito poco sotto la vetta, probabilmente a 8.070 o 8.080 metri secondo quanto dichiarato a Montagnes Magazine. Langenstein-Duperier sono una vecchia conoscenza di Cala Cimenti e l’anno scorso hanno sciato qualche giorno prima del piemontese l’estetica linea del Laila Peak. Al duo francese si deve inoltre la probabile prima discesa del Peak Spantik, un 7.000 del Karakoram, realizzata a giugno.


Cala Cimenti, vetta e discesa con gli sci del Nanga Parbat

Dunque Cala Cimenti ce l’ha fatta. Non senza qualche momento di paura. Il piemontese, partito alle 3 di mattina ora locale del 3 luglio, è arrivato in vetta al Nanga Parbat (8.126 m) lungo la via Kinshofer con i russi Vitaly Lazo e Anton Pugovkin ed è sceso con gli sci. «Sono sdraiato in cima al mondo e piango, rido e ti amo» il post pubblicato ieri sulla pagina Facebook Cala Cimenti Cmexperience dedicato alla moglie Erika Siffredi. Poi la discesa, durante la quale la traccia gps si è fermata a lungo e a un certo punto si è temuto il peggio. Invece sia Cala che i due russi sono arrivati al C4 verso le 18, non è però ancora chiaro se tutti siano scesi con gli sci e quali tratti abbiano percorso con i legni ai piedi, anche se sembra che solo Vitaly sia partito dalla vetta insieme a Cala sciando. L’ultimo aggiornamento poche ore fa: «Noi a C2 sopra al muro Kinshofer. Che bello pensare di non farlo mai più. Abbiamo sciato fin qui, la neve è una merda ma procediamo».

Ecco il racconto di quelle ore concitate pubblicato dalla moglie in un post Facebook:

«Ad un certo punto la traccia si ferma per più di un'ora. È fermo. Non si muove. Mio fratello Nicolò capisce immediatamente che sta succedendo qualcosa e mi allerta. Nello stesso momento arriva un sms dello staff russo:Erika, è successo qualcosa. Anton dice che si sono divisi, lui sta scendendo a piedi, Cala e Vitaly con gli sci ma non li vede più, non ripondono. Contatta immediatamente Cala, se non risponde avvertiamo i soccorsi e chiamiamo le assicurazioni’.Cala non risponde. Contatto i ragazzi di Intermatica che mi offrono immediatamente il loro supporto. Nel panico riesco a chiamare qualche amico, Kuba mi raggiunge immediatamente a casa e prende in mano la situazione. Marco cerca di farmi ragionare e tenta di tenermi tranquilla. Arriva anche Gianluca a casa della mia famiglia che grazie ai suoi contatti mette in allerta chi dall'Italia potrebbe darci una mano nel caso di difficoltà gravi. Alessandro, il fratello di Cala tenta di contattare lo staff russo ma nessuno parla inglese e non riusciamo ad avere informazioni utili. Ad un certo punto la traccia si muove, pare che Cala stia tornando a scendere ma nessun messaggio di rassicurazioni. I miei fratelli Carlo e Nicolò iniziano ad aggiornare un file in cui segnano tutte le coordinante inviate dal Garmin con i relativi orari, continuano a dirmi ‘Erika, sta scendendo, è lento ma scende’. Dopo ore un sms di Cala ‘abbiamo avuto dei ritardi. Poi ti racconto. Non ho il satellitare’».


10 motivi per innamorarsi dell’Alta Via

Settembre 2018. Un piccolo gruppo di giornalisti e influencer si ritrova alla chiesetta di San Cipriano, vicino a Tires, in Alto Adige. Nella testa di Egon Resch, Guida alpina altoatesina, il percorso è molto chiaro. Un passaggio da Ovest a Est, da San Cipriano, non lontano da Bolzano e dalla Valle dell’Adige, al cuore delle Dolomiti, nella stupenda Val Fiscalina, sul confine orientale della regione. Un nuovo itinerario, chiamato Alta Via, alternativo alle alte vie dolomitiche così belle ma altrettanto affollate. Una linea da occidente a oriente che tocca le valli e lambisce le vette simbolo delle Dolomiti, dallo Sciliar al Catinaccio, passando per le Tofane e le Tre Cime, che sfiora o incrocia luoghi e riti del turismo di massa alpino per immergersi nel silenzio e nel profumo dei prati. Alla fine saranno 150 chilometri e oltre 50 ore percorse in otto giorni, con l’aiuto anche di una e-bike nel tratto pratoso tra il passo di Campolongo e la Capanna Alpina, che avrebbe richiesto molto più tempo a piedi. E un fortunato estratto a sorte ha provato anche un servizio taxi da brivido in parapendio per scendere più velocemente dal rifugio Franz Kostner a Passo Campolongo. Quello che conta, però, è che Egon a settembre è pronto a ripartire a fine estate, perché la voce si è sparsa e l’Alta Via inizia a essere conosciuta. Se volete fargli compagnia potete dare uno sguardo al suo sito www.egonresch.com. Acqua in bocca però, l’Alta Via è un segreto che va conservato ancora per un po’.

L’articolo completo è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.

© Brey Photography
© Brey Photography
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Alp Tracks 94, leggero e versatile. Parola di Denis

Quale miglior parco giochi del terreno d’alta quota del Monte Bianco per provare Alp Tracks 94, il gioiello del più puro stile Movement? E quale miglior testatore di Denis Trento, che utilizza spesso il modello centrale di questa particolare gamma della casa della mela, ma conosce bene anche i fratelli 85, 89 e 100? Detto fatto. Non ci abbiamo pensato su troppo, e a fine febbraio siamo saliti a Punta Helbronner per mettere alla prova questo modello che inseriamo nella categoria ski touring per geometrie e peso, ma che si propone come soluzione sofisticata per sciatori free con tendenza performance atletica. Insomma uno ski touring coi fiocchi, per esigenti, ma adattabile ad una cerchia più ampia di utilizzatori. Perché quello che emerge dal test, sia quello della nostra Buyer’s Guide che quello con Denis, è che si tratta comunque di un attrezzo affidabile e soprattutto versatile per utilizzatori evoluti. Non per tutti, ma per tutti quelli che sciano bene. Forse sarebbe sottoutilizzato impiegandolo solo nelle uscite ordinarie, perché l’estrema leggerezza della tecnologia e la larghezza al centro sono perfette per escursioni lunghe e con forte dislivello su ogni terreno. Ma la costruzione permette anche un’altissima trasmissione della forza in ottica freeride. Ne risulta un attrezzo che, per buoni sciatori, può essere anche lo sci unico. Per la montagna aperta, per il ripido alpinistico, e anche per l’approccio freetouring.

© Stefano Jeantet

Cuore segreto

Il processo costruttivo è il cuore delle doti di Alp Tracks 94 e della sua versatilità. La linea Alp Tracks integra lo stato dell’arte di ricerca e sviluppo Movement sui compositi sottili. L’assemblaggio ad altissima pressione, con l’utilizzo di meno collante possibile, unisce gli strati in composito con la parte in legno di Carrubo ultraleggero rendendoli di fatto un solo elemento. Sottile, deformabile, meccanicamente forte, e reattivo. Si tratta di una costruzione in buona parte top secret, nella quale la manualità riveste il ruolo principe.

Sulla neve con Denis

Nei test della nostra Buyer’s Guide avevamo rilevato che Alp Track 94 è sensibile e rapido, non subisce la velocità, richiede il polso e la tecnica di uno sciatore sicuro. Ci aveva inoltre sorpreso sul duro in rapporto a dimensioni ed estrema leggerezza, conseguenza di un assetto ben aderente al fondo e preciso sullo spigolo, esente dalle reazioni nervose tipiche del composito. Denis ha confermato le nostre sensazioni. «Io lo uso anche per dislivelli importanti, sopra i 1.500 metri, perché è davvero leggero. Ma la leggerezza non deve trarre in inganno: risponde bene anche in velocità e in condizioni impegnative come le superfici segnate o rigelate» dice Denis. «Va abbastanza bene anche sul duro, in rapporto a struttura e geometrie, ma risponde al meglio nella neve polverosa, fino a 30-40 centimetri di fresca». Quali le differenze dunque con gli Alp Tracks più stretti e più larghi? «Fondamentalmente la maggior portanza che lo fa galleggiare bene sulla neve soffice. Per questo ha un utilizzo più versatile, oltre i 40 centimetri soffici è chiaro che Alp Tracks 100 è più indicato». In conclusione? «Mi piace perché è uno sci di carattere ma da montare leggero, poi puoi decidere di usare scarponi più duri con neve più dura visto che lo sci risponde bene, mentre con la polvere puoi fare scelte più soft». Davvero versatile: dimensioni, leggerezza e forza in un solo Alp Tracks.

© Stefano Jeantet

Alp Tracks 94

Lunghezze: 169, 177, 183 cm
Sciancratura: 130/94/119 mm (177 cm)
Peso: 1.120 gr (+/- 30 gr, misura 177 cm)
Raggio: 19 m (177 cm)
Prezzo: 949 €

www.movementskis.com

© Stefano Jeantet

 


Suffer Fest Ice & Palms

Il Baden-Württemberg è uno dei principali land della Germania. La sua capitale è Stoccarda, conosciuta nel resto del mondo come la patria dell’automobile (Mercedes-Benz, Porsche, Bosch hanno sede qui, ad esempio), e l’economia dell’intera regione si basa largamente sull’industria. Confina con la Francia a Est e con la Svizzera a Sud, mentre i principali rilievi sono rappresentati dalla Foresta Nera, la catena dello Giura e le Prealpi del Lago di Costanza. Il Baden-Württemberg sembra un buon posto dove vivere, se non fosse per un piccolo dettaglio: il mare, specialmente quello caldo, è lontano, parecchio lontano. E di conseguenza, se un paio di amici si dovessero inventare di voler andare al mare in bicicletta, le cose si complicherebbero parecchio, specialmente se lungo l’itinerario ci si volesse portare dietro anche degli sci e decidere di utilizzarli nel miglior modo possibile.
I due amici sono Jochen Mesle e Max Kroneck che, oltre alla passione per lo sci scoprono di condividere anche quella per le pedalate, specialmente quelle lunghe e faticose, e per la fotografia, in particolar modo quella che ti impone di utilizzare apparecchi pesanti e scomodi. L’idea che partoriscono insieme ha le caratteristiche comuni di ogni suffer fest che si rispetti: dev’essere lunga, fisicamente estenuante, particolarmente ricca di incognite e problematiche di varia natura, originare vesciche in vari punti del corpo e apparire insensata agli occhi delle persone normali. Et voilà, ecco il progetto Ice & Palms: Jochen e Max vogliono partire da casa loro a Dürbheim, nel Baden-Württemberg, raggiungere l’Austria e da lì attraverso i principali valichi alpini arrivare fino al lungomare di Nizza, senza mai utilizzare mezzi a motore e sciando il più possibile, filmando allo stesso tempo la loro avventura. Di tanto in tanto, poi, verranno raggiunti da amici che daranno una mano nella ripresa delle immagini. I loro destrieri saranno due bici gravel, equipaggiate con portapacchi anteriori e posteriori sui quali sistemare l’attrezzatura. Sci e scarponi dietro, insieme a uno zaino con il materiale per la notte. Sacca anteriore sinistra per il pentolame e macchine foto. Sacca anteriore destra: accessori e abbigliamento da pioggia, pronti per essere tirati fuori in poco tempo. Peso totale, cinquanta chili, grossomodo.

L’articolo completo è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.

, senza mai utilizzare mezzi a motore e sciando il più possibile, filmando allo stesso tempo la loro avventura. Di tanto in tanto, poi, verranno raggiunti da amici che daranno una mano nella ripresa delle immagini.
I loro destrieri saranno due bici gravel, equipaggiate con portapacchi anteriori e posteriori sui quali sistemare l’attrezzatura. Sci e scarponi dietro, insieme a uno zaino con il materiale per la notte. Sacca anteriore sinistra per il pentolame e macchine foto. Sacca anteriore destra: accessori e abbigliamento da pioggia, pronti per essere tirati fuori in poco tempo. Peso totale, cinquanta chili, grossomodo.

L’articolo completo sull'avventura di Ice & Palms è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.

© Ice & Palms

The godmother of all couloirs

«Prima ancora di sapere se quella linea ci fosse sul libro, se fosse conosciuta e soprattutto, fattibile, dal momento in cui Albi l’ha adocchiata, è stato amore a prima vista. Il nome poi, una volta scoperto, parlava da sé. Non si poteva non pianificarci una gita».

Scrive così Alberto Casaro a proposito di The Godmother of all Coulouirs: 0  – 1.318 m, di cui 900 di canale con tratti che raggiungono i 50°. L’ambiente è pazzesco. Una discesa estetica e apparentemente inaccessibile, un canale enorme che poggia i piedi sulle rive dei fiordi norvegesi, sulle Lyngen Alps, fino a erigersi, nascondendosi a tratti tra le pieghe della roccia, in cima a una grossa formazione rocciosa. Arrivare in fondo significa arrivare in spiaggia. Ma come tutte le cose belle della vita The Godmother of all Coulouirs non si lascia conquistare facilmente e l’avvicinamento è particolarmente lungo e rognoso. «L’ora e mezza di fatto è volata via solo per rivelare un articolato cammino tra rocce e detriti di volume sempre maggiore, a volte coperti da uno strato di neve che sfondava. Dopo molti zig-zag e saliscendi, uno strato di neve più continuo ci ha permesso di calzare gli sci, ma non per questo di essere più rapidi, perché la via era un labirinto di piccole alture e alberi e di nuovo rocce; arrivare alla base del conoide ha richiesto già molto tempo ed energie, e al momento di calzare i ramponi più di tre ore erano già passate» scrive Alice Russolo. 

L’articolo completo sull’estetico canale The Godmother of all Coulouirs è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.

© Alice Russolo

Michele Graglia, oltre le ultra

«Visto che il corpo può portarti solo fino a un certo punto, secondo me, se esiste una ricetta per il successo per arrivare in fondo, la si trova in qualità non fisiche. Bisogna allenare la pazienza, il rispetto e la gratitudine: la corsa ultra richiede tempo e perseveranza. Dobbiamo sviluppare un senso di gioia verso l'idea di passare un'intera mattinata o addirittura un giorno a correre nella natura, spesso soli con i nostri pensieri, e naturalmente anche con i calzini sporchi. Non dovremmo mai avere fretta, ma goderci semplicemente il viaggio». Scrive così l’ultra-runner Michele Graglia su Skialper di giugno-luglio in un articolo nel quale dispensa ai lettori i suoi consigli per correre sulle lunghe distanze, dall’alimentazione alla testa.

Ligure, classe 1983, fotomodello (si mormora fosse soprannominato ‘the abs’, con riferimento ai suoi addominali), Michele Graglia rimane folgorato dalla lettura del libro Ultramarathon Man di Dean Karnazes e abbandona i riflettori per cambiare stile di vita. Ora è insegnante di yoga a Malibu, in California, e l’ultra running è la sua filosofia di vita. Nel 2018 ha vinto la Badwater, una gara di oltre 200 km nella Valle della Morte, mentre nel 2016 ha trionfato nel gelo della Yukon Arctic Ultra 100.

Giovedì prossimo, alle 20,30 all’Alexander Hall di Cortina d’Ampezzo, nell'ambito della La Sportiva Lavaredo Ultra Trail, Graglia parlerà di ultra insieme ad Anton Krupicka e allo scrittore Folco Terzani.

L’articolo completo di Michele Graglia è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.


Essere Matteo Eydallin

Destinazione Gap, a Montmaur, il buen retiro di Matteo Eydallin. Lì, in mezzo al verde, con due cavalli, un mulo, una pecora, due cani. E la fidanzata. Che è veterinaria. La sua vacanza. Per uno che detesta la folla, difficile immaginarlo in spiaggia ad agosto. In fondo c’è tutto quello che serve: strade giuste per pedalare, con la corsia dedicata ai ciclisti, e soprattutto la falesia di Céüse. Siamo stati a trovare il veterano della nazionale azzurra e su Skialper 124 di giugno-luglio pubblichiamo un’ampia intervista a Eyda. Intanto, ecco qualche piccola anticipazione.

Il segreto della longevità agonistica

«Ho sempre cercato di fare quello che mi piaceva nella fase della preparazione. Non mi sono mai imposto troppe regole: al mattino esco in bici perché mi piace pedalare con gli amici, nel pomeriggio cammino quasi un’ora per arrivare ad arrampicare e lì poi mi concentro sui miei progetti. Non sto troppo a pensare: devo fare tot metri di dislivello, altrimenti rimango indietro, ma li metto insieme come voglio io. Forse è un auto-inganno, per farmi piacere le cose. Forse chissà, allenandomi di più avrei vinto di più, ma sarei rimasto competitivo per meno tempo. Non lo so e non mi interessa: per me ha funzionato così e continuo così, senza tanti sbattimenti. Perché cambiare? Mi alleno ancora volentieri, ma pedalando e scalando. Credo che anche il corpo e la mente ne abbiano un beneficio».

La tecnica

«Lavoro sulla tecnica che ti porta a sciare veloce in gara o comunque a risparmiare energie per affrontare la salita successiva senza avere le gambe fuse anche dalla discesa. Vado in tutte le condizioni, nebbia, crosta, polvere, marmo, sempre con gli sci da gara: solo così trovi le sensazioni e gli equilibri giusti. Credo che lo skialp non sia metri di dislivello in pista e cardio, ma sensibilità e lettura delle linee in discesa: per questo secondo me le gare in pista non sono vere gare».

L’intervista completa a Matteo Eydallin è stata pubblicata su Skialper 124 di giugno-luglio.

© Gabriele Facciotti

Spettacolo alla Monte Rosa SkyMarathon. E al nuovo AMA

È stato davvero il caso di dire less cloud, more sky per la Monte Rosa SkyMarathon, la gara più alta d’Europa che si è tenuta domenica nel paese di Alagna Valsesia sul versante piemontese del massiccio. La gara prevista per sabato, attesissima dopo il rilancio di successo dello scorso anno dopo 25 di assenza, è stata rimandata a causa delle condizioni climatiche avverse. Il vento da nord ha spazzato i cieli e 400 atleti da 25 Paesi sono partiti alle prime luci dalla piazza principale per un giro del paese prima di passare sotto l’arco della partenza, far partire il cronometro e attaccare la salita alla Capanna Margherita, il giro di boa. Il tracciato è di 35 km con 7.000 metri di dislivello complessivo su morene, nevai e ghiacciai. I corridori gareggiano legati a coppie per maggior sicurezza.
Il team vincente era guidato dal vincitore dello scorso anno, William Boffelli, quest’anno con un nuovo partner, l’austriaco Jakob Herrmann, per via di problemi di salute del suo precedente compagno di cordata Franco Collé. Il tempo dei vincitori è 4h51’58”, 27 minuti in più del record stabilito da Fabio Meraldi nel 1994 di 4h24’.
A tagliare il traguardo per secondi tra il pubblico in festa è stato il team tutto italiano Beccari-Felicetti, che hanno chiuso in 5h10’41”. Terzi sono stati Carrara-Montanari in 5h30’02”.
La gara femminile è stata guidata fin dalla partenza dalla squadra formata da Giuditta Turini e Laura Besseghini, che è caduta nell’ultima discesa, costringendo la squadra al ritiro.
È stato un giorno di vittoria per la Polonia, con uno sprint finale. Natalia Tomasiak e Katarzyna Solinska hanno chiuso in 6h38’14” seguite, a soli 16” di distanza, da Miska Witowska e Iwona Januszyk. Anche il record femminile è rimasto intatto, nelle mani dell’alagnese Gisella Bendotti fin dal 1994 di 5h34’.

AMA VK2 - Il primo doppio Vertical Kilometer sul Monte Rosa è partito tra tempeste, turbini di nuvole e pesanti nevicate notturne per salite alla quota di 3.260. Il nuovo AMA VK2 ha visto 180 atleti da 15 paesi. Il primo a raggiungere la vetta è stato Nadir Maguet, il favorito della vigilia: in testa dall’inizio alla fine, ha lasciato 15’ di distacco al secondo classificato, Giovanni Bosio, chiudendo in 1h42’01”. Ottimo terzo è stato il 55enne Davide Milesi.
Serrata la sfida rosa, con le prime tre nello spazio di appena 50”. A trionfare la francese Iris Pessey in 2h05’36”. Con solo 13” di ritardo ha tagliato il traguardo Corinna Ghirardi, mentre Ilaria Veronese ha chiuso il podio.

Nadir Maguet ©iancorless

Rally Estivo della Valtartano a Erik Panatti e Massimo Triulzi

Il Rally Estivo della Valtartano parla valchiavennasco. Dominio al maschile di Erik Panatti e Massimo Triulzi, mentre Aal femminile si confermano regine le sorelle gemelle Sara e Fabiana Rapezzi. Dopo 17 anni consecutivi la manifestazione a coppie ed individuale organizzata dallo Sci Club Valtartano si conferma evento che piace. Nel piccolo comune orobico sono stati accolti da una bellissima giornata di sole ben 265 concorrenti. Alla partenza della gara il pronostico per la gara principe da 24 km era molto incerto.
Dopo una prima parte di studio per le 80 coppie al via, alla casera di Budria il team valchiavennasco composto da Erik Panatti e Massimo Triulzi ha provato la fuga. Allo loro spalle era bagarre per i due gradini del podio con le due coppie del Team Valtellina composte da Giovanni Tacchini e Davide Della Mina e da Marco Leoni e Stefano Sansi che provavano a non lasciar scappare i fuggitivi. Panatti e Triulzi però incrementavano metro dopo metro il proprio vantaggio, transitando al gpm in Cima Lemma per primi con il tempo di 1h31’39”. Passavano in seconda posizione con un distaccato superiore ai 3’ il duo Tacchini-Della Mina, seguiti da Leoni-Sansi, Bertolini-Bonesi e Trentin-Rossatti.
Nella lunga discesa i battistrada Erik Panatti (Kv Lagunc) e Massimo Triulzi (Gp Valchiavenna) mantenevano saldamente la testa della corsa ed andavano a presentarsi sulla finish line di Tartano in prima posizione con il tempo finale di 2h34’23”. Seconda posizione finale, dopo rimonta in discesa per i portacolori del Team Fiorelli Sport/I Jejiat Mirko Bertolini e Alessandro Bonesi con il tempo di 2h40’43”. Terza piazza finale per Giovanni Tacchini e Davide Della Mina (Team Valtellina) cin 2h41’40”. Quarta piazza finale per Walter Trentin e Stefano Rossatti (Rupe Magna), quinta posizione per Valentino Speziali e Mattia Bonesi del Team Fiorelli Sport/Jejiat (prima coppia Under50). Seguono Guido Rovedatti e Alessandro Gusmeroli (Team Valtellina), Marco Leoni e Stefano Sansi (Team Valtellina), Alessandro Gadola e Matteo Corazza (Sc Valtartano), Davide Bardea e Raffaele Nana (Sportiva Lanzada), Fabio e Sergio Bongio (Team Valtellina) a completare la top ten.
Gara senza storie quella rosa, con le sorelle gemelle Sara e Fabiana Rapezzi (Osa Valmadrera) che non hanno avuto difficoltà nel riconfermarsi nell’albo d’oro del Rally Estivo della Valtartano. Per loro, crono finale di 3h27’12”, davanti a Francesca Galli (Team
Valtellina) in coppia con Elena Peracca (Alto Lario). Terzo gradino del podio per Bruni e Van Belkom (Atletica PIdagga). Nella gara individuale di 15 km si riconferma sul gradino più alto del podio, dopo il successo 2018, il premanese Luigi Pomoni, che si è presentato sul traguardo di Tartano con il tempo 1h29’19”. Alle sue spalle Fabrizio Triulzi (Gp Valchiavenna) che ha preceduto Federico Bardea (Sportiva Lanzada),
giunto al terzo posto. Top cinque completata nell’ordine da Simone Bertini (Alta Valtellina) e Massimiliano Corti (Team Pasturo). Al femminile successo della portacolori dell’Atletica Pidaggia, Gisella Beretta che ha concluso la sua prova in 1h59’14”, staccando di 1’10” Alessia Bergamini (Cortenova). Terza posizione conquistata da Fabiana Del Grosso (KV Lagunc).


Tour de La Meije, 4 giorni au refuge

Il tour della Meije, giro classico del massiccio. Quattro giorni La Bérarde to La Bérarde: nel mezzo tutti i rifugi e i loro gestori che accolgono alpinisti e scialpinisti in queste vallate remote. Naturalmente con le pelli ai piedi. «Nei viaggi, oltre ai chilometri, al dislivello e alle discese, sono le persone che si incontrano, spesso per la prima volta, a caratterizzare la linea del percorso – scrive Andrea Bormida su Skialper -. Le impressioni che riceviamo da questi incontri diventano un tutt’uno con quelle del nostro movimento, creando l’esperienza. In questo caso abbiamo avuto l’occasione di condividere il rifugio quasi sempre con i soli rifugisti, complice la poca gente in giro e le previsioni non così definite». Il giro della Meije è soprattutto un passare da un rifugio all’altro, ma si tratta di rifugi e rifugisti che hanno ancora un’anima, come Sandrine del Refuge du Promontoire, Jeff del Refuge de l’Aigle, Sabine (da provare la sua torta ai cavoli!) del Refuge Villar d’Arène o Seb del Refuge Chamossière o ancora Fanny del refuge Adèle Planchard.

© Federico Ravassard

Il Tour de la Meije è uno dei più classici delle Hautes Alpes, in Francia, e in quattro giorni si superano circa 4.500 metri D+. Ne parliamo su Skialper 124 di giugno-luglio.

© Federico Ravassard
© Federico Ravassard