Kamchatka, la penisola di fuoco
«Io l’avevo già visitata, circa dieci anni fa, feci una vacanza di heliski. Si dormiva in città, a Petropavlovsk, si passavano ore in un hangar ad aspettare il bel tempo e, se poi eravamo fortunati, ci trovavamo su qualche pendio senza sapere esattamente dove. Elicotteri enormi, oblò piccoli, 25 persone: una funivia con le pale. Non mi era piaciuta l’esperienza nel suo insieme, ma la Kamchatka sì. La natura è meravigliosa e meritava un’altra chance» scrive così Paolo Tassi, insieme a Martino Colonna autore dell’articolo sulla Kamchatka che pubblichiamo su Skialper 127 di dicembre-gennaio.
E dopo quella esperienza Tassi in Kamchatka ci è tornato, scoprendo che sciare su un vulcano è un’esperienza particolare: «L’esposizione costante del pendio fa sì che le sciate siano infinite, non esistono punti intermedi dove fermarsi, si parte e si va...». E poi ci sono i geyser, spazi infiniti, granchi, gamberi e salmoni tra i migliori al mondo. Ecco perché vale la pena di leggere il reportage di 11 pagine che pubblichiamo su Skialper in edicola. E naturalmente la neve. Scrive Martino Colonna: «I vulcani della Kamchatka sono molto più grandi e attivi di quelli del Giappone e possono superare i 4.500 metri. L’altra sensibile differenza la fa il clima. La Kamchatka è più a Nord e quindi se uno pensa che gli inverni in Hokkaido siano particolarmente freddi e ventosi è solo perché non ha mai avuto a che fare con il clima della Kamchatka. Nella parte meridionale della penisola le temperature medie invernali sono inferiori ai meno 10 e le precipitazioni annuali superano i 2.000 mm di acqua l’anno, molta della quale cade sotto forma di neve. A fine aprile, quando siamo stati nella zona Sud della penisola, c’erano ancora due metri di neve al livello del mare». Sono quattro i vulcani sciati dal duo Tassi-Colonna: Avachinsky, Viluchinsky, Mutnovsky e Gorely, con dislivelli fino a 2.700 metri, raggiungibili con lunghi avvicinamenti in motoslitta, fuoristrada o gatto delle nevi. Welcome in Kamchatka!
Natural born skiers
«Parlare con persone che vivono per lo sci non è così scontato come sembra. Lo scivolare in montagna occupa un posto tanto intimo in ciascuno di loro, che doverlo raccontare non è stato sempre facile. Anche trovarle queste persone non è stato banale: come per i tifosi nel calcio, il rischio di incappare in infervorati occasionali è concreto. Difficile distinguere tra chi lo sci lo vive per se stesso e chi per la story e il post del weekend. Per molti, la ricerca diventa far credere al proprio pubblico di star vivendo un sogno: Yeah! Seguiteci! Balle! È spesso vero che di solito, quando la gente è libera di fare ciò che vuole, si imita a vicenda». Scrive così Andrea Bormida nell’articolo Natural Born Skiers, su Skialper 127 di dicembre-gennaio. Un articolo nel quale invece noi volevamo persone che vivono lo sci come elemento naturale, non perché fa stile. Volevamo degli sciatori, persone che vivono da tempo la loro passione indipendentemente dalla latitudine.
«Lo schema di partenza è però stato sempre lo stesso: Dimmi chi sei? Per poi farselo raccontare attraverso il proprio modo di vivere lo sci e la sensazione di libertà che ne deriva. Quindici storie diverse, tutte di passione. Un girone di dannati e di romantici. Un collage variopinto di piccoli ritratti, corti o lunghi, intensi o meno… non sta a noi dirlo. Non vogliamo briglie, tutto molto free. Alcuni li conoscevamo, altri sono stati una scoperta. Tutti hanno una storia che li ha portati a sciare da soli o in gruppo, magari a lavorare con gli sci per cercare di trasmettere qualcosa o per valorizzare il proprio territorio, o più semplicemente per arrivare a star bene con se stessi». Tutti veri freetourer. Chi sono? Paolo Tassi, Enrico Dellarole, Andrea Cismondi, Ettore Personnettaz, Roberto Parisse, Silvia Moser, Fabio Beozzi, Simone Barberi, Pietro Marzorati, Marco Maffesi, Elisa Vottero, Alfio Scigliano, Mauro Soregaroli, Francesco Tremolada ed Enrico Mosetti. Se volete conoscerli meglio… non vi resta che comprare Skialper 127 di dicembre-gennaio.
Svelato il calendario delle Golden Trail National Series
Quando si dice buona la prima. È il caso della Golden Trail National Series (declinazione nazionale di Golden Trail World Series), evento locale che nel 2019 ha subito attratto l'attenzione di alcuni tra i più forti atleti a livello nazionale. GTNS ha come obiettivo quello di convogliare in un unico super circuito nazionale tutti i runner della corsa off-road. Attraverso la sua originale formula, infatti, la Golden Trail National Series dà la possibilità ai partecipanti di confrontarsi a livello locale con molti degli interpreti nazionali e internazionali del trail-running e dello skyrunnning e ai più forti di ottenere il pass per la finale GTNS Italia per inseguire, successivamente, il sogno di partecipare al Gran Finale (Isole Azzorre) delle GTNS Europee. I Paesi che fanno parte di GTNS in vista della stagione 2020 sono Francia, Spagna, Repubblica Ceca, Slovacchia e naturalmente Italia, come sappiamo una delle realtà più effervescenti del panorama europeo per quanto riguarda il trail running.
Gli appuntamenti in Italia nel 2020 saranno quattro: TCE Traversata Colli Euganei - 03 maggio (222 km, 1.200 m D+) -Finestre di Pietra - 16 maggio (44 km, 2.200 m D+) - BUT Bettelmatt Sky Race - 11 luglio (35 km, 1.940 m D+) - Transpelmo - 6 settembre (19 km, 1.300 m D+). La Finale GTNS Italia sarà il 13 settembre 2020, La Veia Sky Race (31 km, 2.600 m D+). Gli atleti che ambiscono alla finale, ovvero i primi 3 M&F potranno entrare in classifica gareggiando in almeno due dei quattro appuntamenti. Il campione o la campionessa della Golden Trail National Series Italia 2020 sarà colui/colei che avrà raggiunto il punteggio più alto con i suoi migliori due risultati, più la finale. La novità del 2020 riguarda il fatto che i primi tre uomini e donne della classifica generale delle GTNS Italia riceveranno il biglietto per il Gran Finale delle GTNS: Azores Trail Run, il sentiero dei vulcani, il primo novembre 2020. www.goldentrailseries.com
Fair Wear Foundation conferma il titolo di Leader a Orotovox
Per la seconda volta consecutiva Ortovox, l’azienda specializzata nella produzione di attrezzatura per l’alpinismo, è stata insignita del titolo di Leader dalla Fair Wear Foundation (FWF). L’organizzazione indipendente no profit punta a migliorare gli standard sociali e le condizioni di lavoro dell’industria tessile. Nonostante la continua crescita e l’apertura di nuovi stabilimenti di produzione, l’impresa bavarese è riuscita a monitorare il 98% della produzione come previsto dalle direttive FWF.
Secondo Stefanie Rieder-Haas, CSR manager di Ortovox «Il raggiungimento annuale del titolo di Leader assegnato dalla Fair Wear Foundation è parte integrante della nostra strategia di sostenibilità. Questo riconoscimento è la dimostrazione della trasparenza a lungo termine di e dei continui sforzi in qualità di azienda socialmente responsabile. Il fatto di aver ottenuto ancora una volta il titolo di Leader, con un risultato pari a 76 punti, ci gratifica e conferma che stiamo percorrendo la strada giusta».
Da alcuni anni Ortovox ha adottato una serie di misure per aumentare la sostenibilità dell’azienda, rendendo questo approccio più tangibile e misurabile su più livelli. Tra i vari passi citiamo le adesioni all’associazione per i tessuti sostenibili (Bündnis für nachhaltige Textilien) e alla Fair Wear Foundation, avvenute nel 2015. Nel 2016 inoltre ha aderito all’European Outdoor Conservation Association (EOCA). Nel 2017 è stato pubblicato l’Ortovox Wool Promise (OWP), ovvero un protocollo interno che fissa standard per la produzione e la lavorazione della lana conforme al Responsible Wool Standard (RWS). In qualità di membro della FWF, Ortovox si impegna ad applicare le rigide direttive dell’organizzazione negli stabilimenti di produzione. A tal fine l’azienda garantisce, tra i molti altri aspetti, una retribuzione adeguata, condizioni di lavoro sicure e salubri e orari di lavoro ragionevoli. Molti membri del team visitano regolarmente le fabbriche dove avviene la produzione. L’obiettivo, oltre al controllo del rispetto delle direttive, è quello di contribuire a un ulteriore sviluppo attraverso incontri e scambi di opinioni e l’analisi di esempi di best practice.
In arrivo Skialper 127 di dicembre-gennaio
Duecentoventiquattro. Nel dubbio lo scriviamo anche in cifre, 224. Sono le pagine del prossimo numero di Skialper, in edicola a partire dal 10 dicembre e ordinabile anche online, un fascicolo da record per celebrare l’inverno che è già arrivato, portando tanta neve sulle Alpi. Un numero tutto speciale, con la copertina rinnovata nello stile, dedicato alla new era dello scialpinismo. Volevamo chiamarlo freetouring, oppure scialpinismo moderno. Ma in effetti le categorie ci stanno strette e non volevamo alzare steccati. Lo spirito di Skialper 127 di dicembre 2019/gennaio 2020 è quello descritto dal nostro direttore editoriale Davide Marta nella Buyer’s Guide: «Montagna, godere, community, ricerca estetica, linea, ambiente, condivisione, neve intatta, obiettivi, eleganza, esperienza, unicità, passione. Il freetouring è una terra di mezzo, è qualcosa che ancora non è definito al 100% ma che si sta sempre di più connotando. Unisce l’esperienza sciistica, il piacere edonistico della linea intatta e ben sciata. Esperienza sciistica che però non può essere separata dalla ricerca di spazi intatti, lontani dalle solite tracce, il che richiama automaticamente la necessità di muoversi in distanza, dislivello ed ingaggio. E c’è anche un altro aspetto, quello del fare le cose in compagnia, con amici, lasciare da parte la competizione, la sfida, la performance a tutti i costi. Dallo scialpinismo classico si prende la voglia di esplorare, di andare a vedere lassù, di là. Ma si lascia indietro l’ossessione per la vetta, per la conquista, per la lotta con l’Alpe. Del freeride si prende la voglia di tracciare pendii vergini, di farlo con stile, con eleganza, con rispetto dell’ambiente». Ecco, nel disegnare Skialper 127 siamo partiti dalla forza di questa idea più che da un termine preciso.
MONSIEUR BRUNO - Trend setter: colui che avvia nuove mode e stili. Qualcuno lo vorrebbe essere, qualcun altro fa finta di esserlo e poi c’è chi lo è davvero, quasi inconsapevolmente: Bruno Compagnet appartiene a quest’ultima categoria. «Fino a pochi anni fa lo scialpinismo era considerato un’attività da vecchi, di quelli che andavano in giro con pantaloni di Cordura attillati, sci stretti e tendenzialmente sciavano male. I giovani cool, invece, volevano essere freerider, abbigliamento colorato e sbragalone, adesivi ovunque - per poco anche sulla lente della maschera - e sci fat che facevano voltare i turisti in coda alla seggiovia. (…) Poco alla volta, quattro o cinque anni fa, le cose sono cominciate a cambiare, grazie sia alla comparsa di attrezzatura specifica, ma anche a causa di alcune figure che importavano la cultura buona del freeride nel mondo delle pelli di foca: set-up più discesistici, un’estetica curata tanto nel materiale quanto nell’abbigliamento, un rispetto reverenziale verso la discesa che si tramutava nella ricerca dei pendii e nevi ideali per divertirsi e un generale abbandono dell’epicità dell’alpinismo a favore dell’edonismo da inseguire attraverso lo sci. Insomma, di colpo lo scialpinismo non era più un passatempo da sfigati, ma il nuovo trend degli sport invernali, grazie anche a brand disruptive come Black Crows. I freerider montavano attacchini sui loro sci e gli scialpinisti cercavano di capire cosa significasse il termine rocker. Entrambi ignoravano che in realtà per alcuni quella pratica altro non era che la naturale evoluzione dello sci che avevano praticato negli ultimi venti o trent’anni. Bruno è uno di questi». Quindici pagine a tu per tu con Compagnet.
KAMCHATKA, LA PENISOLA DI FUOCO - Scrive Paolo Tassi: «La penisola della Kamchatka è costellata da un’infinita catena montuosa dalla quale si ergono vulcani di tutte le dimensioni. Non sono tutti uguali: i crateri a volte si slanciano verso il cielo, quelli a cono, e non sono facilissimi da risalire. Anzi, più ci si avvicina al cratere, più è ripido e ghiacciato. Ci sono vulcani che implodono, creando caldere enormi. In altre occasioni geyser e fumarole compaiono qua e là, rendendo la montagna più viva che mai e facendo capire che lì sotto c’è un cuore pulsante, ribelle e pronto a eruttare come un bambino dopo un sorso di Coca Cola. Vale veramente la pena sciare un vulcano: l’esposizione costante del pendio fa sì che le sciate siano infinite, non esistono punti intermedi dove fermarsi, si parte e si va...». Ed è proprio quello che abbiamo fatto noi pubblicando l’ampio reportage di Paolo e Martino Colonna.
ARGENTERA RELOADED - Mai decollata veramente come stazione sciistica, la località piemontese è uno dei migliori segreti delle Alpi per discese nella polvere profonda, un segreto custodito anche da celebrità come Candide Thovex e Kaj Zackrisson. Ma ora la probabile chiusura degli impianti obbliga a riavvolgere il nastro e disegnare un nuovo futuro. Scrive Federico Ravassard: «Argentera è sempre stato il posto di cui non bisognava parlare. Troppo bella, troppo poco affollata per essere data in pasto agli affamati di polvere, specialmente quando lì se ne trovava mediamente più che nel resto dell’arco alpino. Protetta dalla massa anche grazie al suo isolamento: dalla pianura del cuneese bisogna sciropparsi cinquanta chilometri di curve, spesso intasati dai tir diretti verso la Francia attraverso il Colle della Maddalena. Da Milano ci vogliono quattro ore, da Torino poco più di due: forse troppi per una stazione che ha da offrire una seggiovia e uno ski-lift. Ciononostante il mito di Arge è cresciuto negli anni, senza tuttavia riuscire mai a diventare un fenomeno mainstream come è successo ad altre località simili, per rimanere in Piemonte, Prali, forse anche a causa del fatto che i suoi frequentatori hanno preferito mantenerla per sé, per fare in modo che nei giorni di polvere in coda agli impianti ci si potesse contare nell’ordine di un paio di decine di sciatori». Un reportage di 17 pagine: siamo andati a trovare i local e a visitare Arge per capire quale futuro potrà avere.
CANALI A MANETTA - Sci dai 105 millimetri in su, sbananati e con montaggio centrale. Pellate e ingaggio alpinistico seguiti da curvoni in stile big mountain nelle forcelle più strette del versante opposto. È questa la new era del freetouring dolomitico, che raggiunge la completezza nel progetto Linea: sciare discese estreme (ripetizioni, prime ripetizioni e forse anche prime assolute) dall’inizio alla fine, senza averle risalite, alla massima velocità e nel caso anche fissando ancoraggi per calate, avvalendosi di un normale pianta spit. Ne scrive Alberto Casaro.
TRANSALP, IL THINK TANK DELLO SKIALP ITINERANTE - La traversata delle Alpi organizzata da Fischer, che nel 2020 festeggia i dieci anni, è diventata negli anni il simbolo di un modo di affrontare la montagna. E incubatore di idee per realizzare gli sci per lo scialpinismo moderno.
ELECTRIC GREG - Greg Hill, 43 anni, scialpinista canadese, ha messo la creatività al centro della sua idea di esplorazione, arrivando a sciare fino a 600.000 metri di dislivello in un anno e 100.000 in un mese. Ma sempre con almeno 106 millimetri sotto il piede. E ora si è lanciato in una nuova sfida. Lo abbiamo incontrato in Canada. La sua filosofia? «Mi piace salire, ma per trovare una nuova linea, sciare un couloir, esplorare la montagna. Quando unisci un buon livello di fitness e di esperienza hai possibilità infinite, puoi andare su quella cima, esplorare quella valle, sciare quel pendio. È una sensazione di infinito che non dipende dal livello, perché accomuna tutti quelli che vivono lo sci di montagna con questo spirito, certo se sei forte gli obiettivi e la soddisfazione per quello che hai fatto aumentano. Le montagne più belle? Quelle che non hai ancora sciato».
NATURAL BORN SKIERS - Lo schema di partenza è stato sempre lo stesso: Dimmi chi sei? Per poi farselo raccontare attraverso il proprio modo di vivere lo sci e la sensazione di libertà che ne deriva. Quindici storie diverse, tutte di passione. «Un girone di dannati e di romantici – scrive Andrea Bormida - Un collage variopinto di piccoli ritratti, corti o lunghi, intensi o meno… non sta a noi dirlo. Non vogliamo briglie, tutto molto free. Alcuni li conoscevamo, altri sono stati una scoperta. Tutti hanno una storia che li ha portati a sciare da soli o in gruppo, magari a lavorare con gli sci per cercare di trasmettere qualcosa o per valorizzare il proprio territorio, o più semplicemente per arrivare a star bene con se stessi. Parlando con loro abbiamo avuto l’occasione di scoprire un’infinità di declinazioni del termine sciare: non è facile descrivere una sensazione, dopotutto. E non vogliamo nemmeno farlo, ma semplicemente parlarne. Abbiamo iniziato da qui: freetouring è sensazione. Anzi, sciare è sensazione. Perché non abbiamo inventato niente di nuovo!».
MUST HAVE - 26 pagine tutte da guardare con i migliori ‘oggetti’ per il freetouring ma anche tante altre idee regalo, dal casco, all’abbigliamento.
LINEE GUIDA - In regalo 16 pagine con pratiche illustrazioni con le linee guida per la ricerca e il recupero delle vittime da valanga tramite apparecchi A.R.T.Va. a cura di Maurizio Lutzenberger, uno dei massimi esperti in materia. Un inserto da conservare e leggere con attenzione.
MATERIALI - Gli zaini airbag elettrici di Black Diamond e Ferrino ai raggi X, il nuovo Gore-Tex Pro in arrivo dall’autunno 2020, tutti i segreti dello sviluppo degli attacchi Ski Trab, le differenze tra gli scarponi Dynafit Hoji Pro Tour e Hoji Free, l’abbigliamento freetouring secondo Crazy e gli artistici caschi DMD.
PORTFOLIO - Otto pagine di foto emblematiche, dallo sci notturno nei canali dolomitici, a quello, sempre notturno, con la Nebulosa di Orione sullo sfondo, al progetto di Cody Townsend di sciare le linee più cool del Nord America in tre anni, finoi alla traversata con gli sci da Est a Ovest della Nuova Zelanda.
Nasce Siamo Sport, il podcast di Scott Sports
Si chiama Siamo Sport, andrà in onda periodicamente, racconterà il dietro le quinte della corse e dello skialp e darà suggerimenti su come vivere al meglio la passione sportiva. L’obiettivo è quello di offrire un servizio e un contenuto sempre più vicino alle aspettative del consumatore finale. È il podcast firmato Scott Sports Italia, marchio in grado di coprire ‘head to toe’ le esigenze degli sport outdoor, della bici allo sci e alla corsa.
Nella terza puntata, dedicata alla Winter Sport Division di Scott, semplici consigli per vivere al meglio la prima sciata della stagione. Si parla di check up dei materiali e degli accorgimenti da prendere in considerazione. L’episodio, disponibile gratuitamente sulla piattaforma Spreaker, dura circa sette minuti ed è, naturalmente, ascoltabile gratuitamente qui.
The Collective disponibile online
Ventisei diversi atleti di nove Paesi, sciatori e sciatrici di lingue e stili diversi, dal rail al pillow, passando per il ripido sciato in velocità, con meno curve possibili. Dai piatti parchi innevati di Helsinki ai boschi carichi di neve del Giappone, con una sosta sui quattromila della Svizzera. Star del calibro di Sam Anthamatten, Duncan Adams, Sarah Hoefflin, Alex Hall, Kelly Sildaru, Antti Ollila. Lo ski colossal The Collective, prodotto da Faction in collaborazione con Red Bull Media House, potrebbe essere uno degli altri, uno dei tanti movie tutti salti e sciate impossibili. E in parte lo è perché il livello è decisamente alto e le riprese che non lesinano nell’utilizzo di droni, Gopro & co sono spettacolari. Ma se The Collective ha fatto il tutto esaurito nelle 400 proiezioni del world tour, ha mandato in tilt il mini sito dedicato ieri a partire dalle 17, ora del lancio online, e collezionato duemila visualizzazioni sul canale Red Bull Snow di Youtube in una sola ora è perché dietro a tanti salti, kicker, pillow e ski star c’è di più, c’è un’idea. Quella che lo sci, nelle sue diverse anime, dalle pelli ai twin tip, è un’avventura incredibile, un caleidoscopio di emozioni da vivere insieme. «Non importa chi sei e da dove vieni, è bello essere parte di qualcosa di speciale». Ed è proprio il lato esperienziale, a partire dalla bella colonna sonora firmata tra gli altri da Peggy Gou, Chaka Khan e George Clanton, disponibile gratuitamente a partire da ieri e dal format scelto da Etienne Mérel per comunicare la sua idea di sci come melting pot di emozioni e sensazioni che abbattono i muri - tema decisamente attuale - a coinvolgere e a fare volare via i 49 minuti del film. In più c'è anche tanta visibilità per le donne - Kelly Sildaru, Sarah Hoefflin, Mathilde Gremaud, Giulia Tanno, Caroline Claire et Margaux Hackett insieme formano un capitale di medaglie olimpiche, mondiali e agli X Games - altro tema attuale e spesso poco in luce negli ski movie. Alla fine quello che rimane dopo tutti quei wow a guardare Anthamatten che si mangia i ripidi 4.000 della Svizzera in quattro curve e Alex Hall passare con disinvoltura dai rail di Helsinki ai pillow della British Columbia o ai kickers di La Clusaz è la forza dell’idea, ben sfruttata dal regista.
The Collective è un film a episodi, collegati tra di loro dall’appartenenza degli atleti al team Faction e dalla colonna sonora che ti tira da un luogo all’altro e da un salto su kicker a un atterraggio nella neve soffice del Giappone con toni sempre simili ma allo stesso tempo coinvolgenti. Le location sono il ghiacciaio di Folgefonna in Norvegia, Laterbrunnen, Leysin e Saas Fee in Svizzera, Hakuba in Giappone, Helsinki, la British Columbia e La Clusaz. Con un intelligente editing Mérel ci fa fare il giro del mondo e del calendario, iniziando con il sole che non tramonta mai e gli impianti chiusi dell’estate nordica, immergendoci nel freddo inverno per poi chiudere a fine stagione sulle Alpi francesi, con le piste ancora innevate ma gli impianti chiusi, come a dire che un anno è passato ma la ciclicità della vita saprà proporre altre emozioni, perché le più belle sono quelle che devono ancora essere vissute. La convivialità dello sci, la condivisione di passioni che vanno oltre la mera curva nella powder è rappresentata con ricorrenti inquadrature che chiudono sulle crew sorridenti dopo le session, ma anche con l’audio delle risate degli amici durante le sciate. Però è il doppio piano scelto per dividere l’azione pura dal doposci o dai momenti di convivialità sulla neve l’idea più potente. Mérel ha scelto di riprodurre l’effetto dei vecchi filmini super8, con sensazioni molto reali per chi quei filmini li ha visti proiettare e scritte fedeli allo stile dell’epoca, ma soprattutto utilizzando in questi frangenti immagini con formato quattro terzi per rappresentare giochi di società, tavolate e bevute. Così si ha quell’effetto libro dei ricordi che ognuno collega prepotentemente al proprio vissuto. Quello senza gli sci, naturalmente, almeno per la maggior parte di noi. E poi a rendere più umani i protagonisti c’è una lunga serie di blooper (gli errori) sugli sci nei titoli di coda. Ecco perché vale la pena di vedere The Collective. E di ascoltarsi la colonna sonora, anche dopo averlo visto.
I 26 protagonisti degli episodi, ma rigorosamente tutti episodi ‘collettivi’, mai un solista, sono: Alex Hall, Alexis Ghisleni, Andrew Pollard, Antti Ollila, Ben Buratti, Benjamin Forthun, Caroline Claire, Cody Cirillo, Corey Jackson, Daniel Hanka, Duncan Adams, Eirik Sateroy, Giulia Tanno, Kelly Sildaru, Mac Forehand, Margaux Hackett, Markus Fohr, Mathilde Gremaud, Pablo Schweizer, Sam Anthamatten, Sarah Hoefflin, Shingo Sasaki, Taisuke Kusunoki, Tim McChesney, Timothé Sivignon, Will Berman.
The Collective, oltre che nel player video di questo articolo, può essere visto online sul sito www.thecollective.film e sul canale Youtube di Red Bull Snow in 4k. Buona visione!
Rossignol trasforma il Black Friday in White Friday
Un acquisto scontato per dare un contributo alla lotta contro il cambiamento climatico. È questa la proposta di Rossignol che ha deciso di trasformare il Black Friday in White Friday. Ecco così che fino al 2 dicembre il 10% di ogni acquisto online su www.rossignol.com verrà destinato all’associazione Protect Our Winters che combatte contro il cambiamento climatico a difesa degli sport invernali e delle comunità montane.
«I cambiamenti climatici hanno ovviamente un effetto diretto su tutti noi – ha dichiarato Bruno Cercley, CEO del Gruppo Rossignol -. Sebbene siamo ancora lontani dall’essere perfetti, il nostro Gruppo ha silenziosamente fatto passi avanti verso la sostenibilità per anni attraverso la riduzione dei consumi energetici, l’ottimizzazione della logistica, considerazioni sul ciclo di vita dei prodotti e altro ancora. Stiamo lavorando per progredire in tutte queste aree e continueremo a diventare una voce più attiva nella conversazione sul clima. A questo proposito siamo abbastanza orgogliosi di continuare e aumentare la nostra collaborazione con POW».
Fondata nel 2007 da Jeremy Jones, Protect Our Winters Protect Our Winters (protectourwinters.org) è cresciuta fino a diventare la voce principale del settore degli invernali nella lotta ai cambiamenti climatici, sensibilizzando l’opinione pubblica e promuovendo una legislazione efficace in grado di contrastare gli impatti dei cambiamenti climatici su scala globale. Rossignol è stato uno dei donatori fondatori di Protect Our Winters quando Jones era un atleta del marchio.
Nasce il Team Ripstick Italia
Una nuova squadra per vivere avventure ancora più estreme in neve fresca, grazie alla nuova linea di sci Elan Ripstick: Cala Cimenti, Shanty Cipolli, Simon Hitthaler e Klaus Gruber. Sono loro i campioni scelti dal marchio sloveno per esprimersi al massimo in performance senza compromessi, grazie a sci leggeri, che offrono galleggiamento e stabilità su terreni non battuti e garantiscono il massimo delle prestazioni anche nei tour alpini. Il nuovo team Ripstick Italia rappresenta la conferma dell’impegno dell’azienda nel perseguire obiettivi sportivi di alto livello.
La collezione Ripstick è all'altezza di questa sfida: un ottimo sci da freeride All Mountain, versatile, ben strutturato e performante su ogni neve, che offre il massimo in velocità e sul ripido, garantendo una sciata fluida in tutte le condizioni.
Cala Cimenti
44 anni, pratica sport a livello agonistico da sempre: prima il ciclismo su strada, poi la mountain bike, per passare in seguito alla corsa in montagna e ai trail. Inizia a sciare a cinque anni, praticando scialpinismo classico e agonistico, il freeride, lo snowboard e il telemark. Inizia molto giovane a scalare le montagne di casa: il Monte Bianco, il Monte Rosa e il Gran Paradiso e poi, fuori dall’Europa, l’Ojos del Salado, in Cile (6.891 m), il Toubkal, in Marocco (4.165 m,) il Kilimanjaro e alcune vette sopra i 6.000 metri in Nepal. Raggiunge il suo primo 8.000, il Cho Oyu, sul confine tra Cina e Nepal, nel 2005. Nel 2011 la cima del Manaslu, 8.163 m, nella catena dell'Himalaya, che scende, non integralmente, con gli sci. Scala l’Ama Dablam, in Nepal, in solitaria. Nel 2015, dopo aver scalato l’Korzhenevskaya Peak, 7.105 m, il Lenin Peak 7.134 m e il Khan Tengri Peak 7.010 m e il Pobeda 7.439 m, raggiunge la cima del Communism Peak, 7495 m, in Tagikistan, e realizza la discesa integrale con gli sci conseguendo l’onorificenza Snowleopard. Nel 2016 sale il Peak Lenin e scende con gli sci dalla parete nord. Nel 2017 raggiunge la cima del Dhaulagiri (8.156 m) sciandola parzialmente. Il 2018 è impegnato sul Laila peak, 6.096 m, in Pakistan, dove realizza la seconda discesa in sci. A luglio del 2019 sale in cima al Nanga Parbat (8.126 m, Karakorum, Pakistan) dal versante Diamir e scende con gli sci da poco sotto la cima. Realizza la prima salita del Gasherbrum VII (6.955 m) per disegnare la prima discesa integrale con gli sci.
Shanty Cipolli
Nasce nel 1992 in Valle d’Aosta: da sempre adora scivolare sulla neve con qualsiasi attrezzo. Inizia a dedicarsi fin da piccolo allo sci. Ex atleta della nazionale di skicross, ha conquistato diversi titoli nazionali junior. Tre anni fa partecipa alla prima gara di freeride. Più volte nella top 10 del Freeride World Qualifer. Nel 2012 consegue il diploma di Maestro di Sci. Di recente passa le selezioni per il corso aspiranti Guide Alpine.
Simon Hitthaler
Nasce il 6 marzo del 1996. Inizia a sciare a due anni. I genitori e i fratelli maggiori sono appassionati sciatori e la famiglia condivide molte giornate sulle piste. A cinque anni inizia a gareggiare. Successivamente consegue titoli del campionato italiano e diversi successi nazionali. All'età di 18 anni smette di gareggiare, ma circa un anno e mezzo dopo, durante una giornata sugli sci con il fratello immersi nella neve fresca, torna l’entusiasmo per lo sci. Ma rigorosamente freeride. Ha uno stile sfacciato, veloce e irriverente. Gestisce un'agenzia pubblicitaria che ha dieci dipendenti. Ha molti obbiettivi per il futuro, come atleta, persona e imprenditore.
Klaus Gruber
Alpinista , nasce nel 1973. Vive in Alto Adige e ama la natura e le sue sfide. La sua prima spedizione è nel 2007 in Perù, quando sale sull'Alpamayo, (5.947 m). Conquista l’Huascaran, alto 6.768 metri. Scala il Nanga Parbat, nel 2008, senza raggiungere la vetta e il Makalu 2010 a 7.400 m, non arrivando in cima. Nel 2013 è sul Gasherbrum 2 (8.034 m): prima discesa in sci italiana direttamente dalla vetta. Nel 2014 conquista il K2 (8.611 m) e nel 2016 il Cho Oyu (8.211 m). Nel 2016 scala l’Everest (8.300 m) senza raggiungere la vetta. Nel 2017 è sul Nanga Parbat (8.126 m) e nel 2018 sui monti Altai, in Siberia, per praticare steep climbing & freeriding. I suoi hobby sono le spedizioni, il parapendio, il volontariato – è membro del Soccorso alpino – il teatro, la pesca, le escursioni sugli sci e l’arrampicata su ghiaccio.
Salewa trasforma il Black Friday in Green Friday
Il Black Friday diventa Green Friday. infatti fino al primo dicembre, sul negozio online salewa.com e presso i Salewa store, gli appassionati di montagna potranno acquistare tutti i prodotti del marchio altoatesino con uno sconto del 20% e il 3% verrà donato all'organizzazione non-profit EOCA per il progetto Plastic free: Mountain to Sea.
«Siamo un’azienda familiare che pensa a lungo termine. Pensiamo al mondo che lasceremo ai nostri nipoti e poi ai loro nipoti. Crediamo che la responsabilità ambientale non sia un obiettivo distante, ma un modo di pensare che si riflette nelle nostre azioni e scelte quotidiane - spiega Ruth Oberrauch, membro della famiglia proprietaria di Salewa e Head of Sustainability del Gruppo Oberalp - Quest’anno abbiamo deciso di sostenere EOCA - European Outdoor Conservation Association. Si tratta di un'associazione senza scopo di lucro che raccoglie fondi per una vasta gamma di progetti di conservazione, tutti volti a preservare i grandi spazi aperti. In particolare la cifra verrà donata a Plastic Free: Mountain to Sea, un progetto di pulizia collettiva di 3.000 km di habitat, sentieri e spiagge dai rifiuti e dalla plastica nei prossimi 2 anni. Condividiamo la visione di EOCA e crediamo che, quante più persone riusciremo a coinvolgere, maggiore sarà l'impatto».
La scelta di un progetto che affronta in modo pragmatico il problema dei rifiuti in plastica è la conseguenza dell’approccio critico di Salewa al problema dell’utilizzo della plastica nell’industria dell’outdoor. In particolare, Salewa ha avviato una collaborazione con altri trenta brand e rivenditori del settore a livello mondiale per cercare di ridurre l’utilizzo di sacchetti in plastica monouso nella catena di approvvigionamento. Se allo stato attuale i sacchetti sono ancora indispensabili per il trasporto dalla fabbrica fino ai magazzini di Bolzano, è stato avviato un progetto pilota per sperimentare un ciclo virtuoso di riutilizzo. Per questo i sacchetti in plastica vengono ora rimossi e raccolti prima di spedire gli articoli ordinati online, e inviati a un centro di riciclaggio che li trasformerà in materie prime per produrre altri sacchetti in plastica. Se i risultati della sperimentazione saranno positivi, il sistema potrebbe essere implementato definitivamente.
RIP Orazio Codega
Orazio Codega, classe 1939, presidente e autentica anima di C.A.M.P. dagli anni Sessanta al 2004, se ne è andato nei giorni scorsi. Lo ricordiamo con il comunicato ufficiale dell'azienda di Premana.
Ci ha salutato di notte, perché di giorno le persone come lui hanno sempre qualcosa da fare. L'operosità era il suo modo di essere, in una prospettiva di servizio che andava al di là della sua azienda. Orazio Codega era un uomo che non si accontentava, che guardava avanti mettendo a frutto il talento della lungimiranza. Sapeva cogliere con prontezza i segni dei tempi, per non farsi sorprendere dal futuro che è sempre più vicino di quanto sembri. E dentro, nel profondo dell'anima, credeva in Dio: aveva una fede radicata di cui molti, oggi, sembrano vergognarsi. Ma lui no, come il suo punto di riferimento Giovanni Paolo II. Così ci piace immaginarli, l'imprenditore e il papa, per sempre insieme lungo i sentieri del cielo: eccoli, intenti a ricordare i grandi alpinisti polacchi di cui Orazio era amico e soprattutto il giorno in cui, entrambi appassionati di montagna, si incontrarono sulla Marmolada. Era l'agosto 1979, Karol Wojtyla era salito in vetta alla regina delle Dolomiti e Orazio lo raggiunse per donargli una piccozza, frutto del suo lavoro.
Fabbricare, ecco, creare qualcosa di bello e di utile, nel miglior modo possibile. In C.A.M.P. ci crediamo perché ci credeva Orazio, entrato in azienda nel 1959 e artefice principale del cambiamento: “Perché – si è chiesto un giorno – non puntare tutto sull'alpinismo?”. Aveva capito, in quegli anni di boom economico, che andare in montagna era più di un gioco. Non c'erano soltanto Bonatti e le sue imprese ma anche tanti appassionati, sempre più numerosi, a cui la ditta di lavorazione metallica fondata da nonno Nicola e fatta crescere da papà Antonio poteva fornire l'attrezzatura necessaria: piccozze, ramponi, chiodi, moschettoni che diventano creatività, passione, servizio. Avanti così, allora, insieme ai fratelli Nicolino, Samuele e Benedetto e senza paura di allargare l'orizzonte prima in Europa e poi oltreoceano, ponendo le basi dell'attuale dimensione internazionale di C.A.M.P.: un traguardo tutt'altro che scontato per una realtà nata in un piccolo paese racchiuso tra le montagne e che oggi, grazie a scelte giuste in anticipo sui tempi, è un marchio di riferimento mondiale all'insegna dell'innovazione. E se non c'è innovazione senza ricerca e sviluppo, già decenni fa Orazio non aveva esitato a convogliare sempre maggiori risorse aziendali in questo settore, creando le solide premesse di quello che dal 2007 è l'avanzatissimo centro R&D di C.A.M.P.
C'era una volta l'alpinismo, poi è arrivata l'arrampicata e infine ecco i lavori in altezza. Prima di lasciare il timone, nel 2004, il capitano aveva compreso che altri porti potevano essere raggiunti e nuovamente non si è fermato, preparando C.A.M.P. al suo attuale ruolo nel mondo della sicurezza sul lavoro: una visione lungimirante, come detto, lasciata in eredità ai figli e ai nipoti indirizzati sulla sua strada. Un passo alla volta, con la sana prudenza tipica degli uomini di montagna ma anche con tutto il coraggio necessario per arrivare in vetta: cuore e testa insieme, all'unisono, per guardare con fiducia al futuro nel ricordo di un homo faber nel senso più bello e pieno, da prendere ad esempio come tutti quegli irresistibili sognatori che, con talento e tenacia, sono stati capaci di realizzare i propri sogni.
Smart, steep & deep
Perché no?
C’è stato un tempo in cui la neve era fondamentale, qui. Era un sogno: se mancava la neve, mancava tutto. Nelle notti di novembre, sempre più lunghe, i bambini stavano raccolti nelle stalle, a godere del calore di animali e di vecchie favole. Ma i loro pensieri, i loro sogni, i loro desideri volavano fuori, lontano, verso quelle nuvole chiare: il primo fiocco era un evento. Poi si trattava solo di aspettare, e nel giro di poco sarebbe arrivata l’ora di sciare.
Sciare, beh, parola grossa. Più che altro si trattava di raccattare un paio di doghe buone da una botte rotta, inchiodargli sopra qualcosa che per quanto improbabile potesse in qualche modo contenere i piedi (delle vecchie pantofole rubate di nascosto a una zia erano perfette, ad esempio), e poi via. Non c’erano impianti di risalita, qui. Non c’erano elicotteri, e nemmeno motoslitte. C’era poco più di nulla. Quello, e queste montagne incredibili.
Si saliva a piedi su uno dei pendii appena sopra al paese. Le montagne erano più che altro una cornice: troppo ripide, troppo pericolose, troppo lontane. Poi si scivolava giù, in qualche modo, i più bravi facendo anche le curve. Giù, poi su di nuovo, col fiato che si congelava sulla sciarpa di lana e i vestiti incrostati di neve, poi ancora giù, fino a che bastava il respiro. A tanti bastava così. Tanti, ma non tutti, perché c’è sempre qualcuno che guarda dove gli altri non vedono. Così qualcuno si è chiesto come sarebbe stato sciarci, su quelle montagne così ripide, in quei canali così stretti. Che follia.
Arnaud, Aaron ed Eric salgono veloci. Il canale si sta aprendo: ancora poco, poi sarà ora di traversare a sinistra, togliendo gli sci e tirando fuori picca e ramponi. Sarà ora di seguire quella cresta sottile fino alla cima, sentendo il vuoto tutto attorno come una presenza assordante.
È mattina presto. Il sole, appena sbucato sopra all’altopiano, sta iniziando a carezzare la testa alle Pale di San Martino. Qualche raggio fende l’aria tersa; i ramponi, montati su scarponi che non arrivano al chilo e mezzo, schizzano l’azzurro con minuscoli frammenti di ghiaccio. Gli sci costruiti a sandwich, leggeri e performanti, svettano alti sopra alle teste dei tre. Le lamine perfettamente tirate catturano la luce pura del mattino, mordendo soltanto l’aria, per ora.
Una volta era diverso. Eh, averli, degli sci veri. Dovevi essere fortunato: se avevi gli amici giusti, quelli che sciavano con gli Alpini, per dire, magari ogni tanto un paio di sci rotti da sistemare saltava fuori. Magari due spaiati, diversi, e magari serviva segarne un pezzo, se erano troppo grandi. Però, eh, rispetto alle doghe delle botti non c’era paragone. Con quegli aggeggi si poteva andare sul serio, filando veloci e precisi come i campioni, come Zeno Colò che andava a centosessanta all’ora giù dal Piccolo Cervino. Bastava mettersi un maglione in più e si poteva iniziare ad andare più in alto, più lontano, in quei posti che prima erano solo una maestosa cornice. Chi lo ha mai detto che in un canale non si può sciare?
Arnaud ha 32 anni e scia da quando è capace di stare in piedi. Si usa così, nella sua famiglia. Prima in Svizzera, sulle montagne di casa. Poi, beh, il mondo è grande. In trent’anni Arnaud ha sciato un po’ dappertutto: dalle Alpi alle Rocky Mountains, dall’Alaska all’Iran. Però non passa anno, da quando ha scoperto le Pale di San Martino, senza che venga ad assaggiarne la neve in compagnia di qualche amico del posto. Non ci sono pendii aperti dove hai la sensazione di poter sciare per sempre, qui: queste sono montagne fatte di dolomia e contrasti. Ma ciononostante, anzi, forse proprio per questo vale la pena farci un giro. Canali come questi, linee così articolate e giocose, beh, non si trovano in giro. Qui bisogna saper sciare sul serio.
Testo di Giovanni Spitale/Storyteller Labs
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Lo aspettavano a Falcade per una serata con un noto alpinista. Ma a Falcade è arrivato a notte fonda, quando ormai era tutto buio. Cinquanta è il primo numero di questa equazione e sono gli anni del secolo scorso nei quali è ambientata. Novanta sono quelli all’anagrafe di Piero de Lazzer, il protagonista. Duemilacinquecento i metri di dislivello in salita (e 3.000 quelli in discesa) che questo insospettabile freerider d’antan percorreva con pesanti sci di legno quando ha Percorso la prima traversata della Catena Nord delle Pale di San Martino. Qualcosa come San Martino di Castrozza-Cima Vezzana-Val Strut-Cima Bureloni-Paaso delle Farangole Passo Mulaz-Falcade. Solo che a volte non tutto andava per il verso giusto. Appunto, come quel giorno in cui mancò l’appuntamento alla serata di Falcade. A causa della nebbia scesero per oltre 400 metri per la valle delle Galline per poi dover risalire. Fu uno dei primi inoltre, dopo Alfredo Paluselli, a percorrere la traversata delle Dolomiti da San Martino a Cortina. Altri numeri scorrono veloci nella contabilità delle Pale di San Martino. Duecentocinquanta sono i chilometri quadrati di questo gruppo del versante meridionale delle Dolomiti. Cinquanta quelli dell’altipiano che ne occupa la parte centrale. Ecco perché le Pale di San Martino sono rimaste un mondo a parte nel caleidoscopio del turismo di massa dolomitico. Un piccolo Nord dove ancora oggi c’è (un po’) meno gente a tracciare e a disegnare otto nei canali, la specialità locale. «Rispetto a qualche anno fa i couloir più famosi sono sicuramente più battuti, l’anno scorso è venuto anche Jérémie Heitz a provarne un paio, ma ci sono angoli ancora selvaggi e canali con poche ripetizioni, perché l’avvicinamento è più lungo: l’altopiano è ancora uno spazio dove si può fare esplorazione» dice Eric Girardini, Guida alpina e pioniere della seconda generazione di esploratori del ripido sulle Pale.
Primi sci larghi
Un gruppo di amici con tanta passione per la montagna e il ripido, l’esplorazione alpina e lo sci. Il verbo si diffondeva con il passaparola, niente social. E il fuoripista in Dolomiti era perlopiù vietato. Loro seguivano le orme di Diego Dalla Rosa, che negli anni Ottanta aveva iniziato a frequentare i primi canali ripidi del gruppo delle Pale e delle Vette Feltrine, e suonavano la musica della velocità e del vuoto sotto i piedi. Erano, oltre al Colonnello (Diego Dalla Rosa), Hermann Crepaz, Mauro Rubin, Willy Marin, Leopoldo Barbiroli ed Eric Girardini, poi si sono aggiunti tanti altri amici. Sono stati i primi, nell’era moderna, ad avventurarsi lassù con gli sci larghi, nel cuore delle Pale di San Martino, e ad aprire diverse discese nei canali. Erano anni nei quali in quota fuori dai percorsi classici non incontravi nessuno. Le Pale un paradiso per pochi, pochissimi. «Qui la funivia della Rosetta chiude troppo presto, ad aprile, quando in quota inizia il bello, nelle altre stazioni delle Dolomiti i canali sono ancora facilmente raggiungibili con le funivie, sulle Pale devi sempre ripellare - aggiunge Eric». Poi da queste parti sono arrivati anche il fotografo Mattias Fredriksson e Kaj Zackrisson, immortalato in uno dei video dell’Euro Road Trip della Salomon Freerski Tv del 2010 e il contest fotografico-freeride King of Dolomites. Nel 2015 una traversata delle Dolomiti che ha riguardato in buona parte le Pale con Bruno Compagnet, Seth Morrison, Giulia Monego e il fotografo Jeremy Bernard, ma questa è storia moderna.
Bruno e i corvi delle Pale
Sulle dita ha tatuato la scritta True Crows, corvi veri. Come quelli che volteggiano sulle forcelle dolomitiche. Chi non lo conosce Bruno Compagnet, originario dei Pirenei? Ma che cosa c’entra con le Pale di San Martino? «La storia è semplice, mi sono innamorato di una ragazza di questi paesi che faceva la stagione a Chamonix, e abbiamo anche fatto una figlia, così ho iniziato a frequentare San Martino di Castrozza e le Pale». E naturalmente continua a frequentare queste valli. «Mi si è aperto un mondo, in quota non c’era nessuno, era il paradiso, diverso da Chamonix, dove poter tracciare la tua linea solitaria, senza dovere fare la coda per la powder. Le discese nel bosco della Val Cigolera, quando nevicava, erano per pochi intimi». Ora naturalmente non è più così, o meglio, non è solo così. «Le prime guide sul freeride in Dolomiti hanno cambiato il mondo, sono arrivati in tanti» gli fa eco Eric Girardini, uno dei primi compagni di gita di Bruno sulle Pale. «Oggi la Val Cigolera durante una nevicata si riempie velocemente di scie, i canali del Bureloni, del Travignolo, della Pala sono conosciuti, però quello che mi ha sempre affascinato delle Pale è che rispetto alla Marmolada, al Pordoi, a Gressoney, c’è meno gente, sei un po’ più isolato dal mondo». Ai tempi delle prime scorribande c’erano tanti divieti. «Il fuoripista era praticamente vietato, poi è stato concesso a patto di avere l’attrezzatura di autosoccorso: ricordo ancora un paio di volte che sono stato fermato, con un finanziere ho fatto finta di non capire l’italiano e sono scappato, voleva sequestrarmi l’attrezzatura». Ma in definitiva perché venire sulle Pale? «Per l’architettura dei canali, per il paesaggio, per il silenzio, non in assoluto per la neve anche se con un po’ di fortuna può essere molto bella, ma attenzione al vento». Parola di Bruno.
Piero de Lazzer
Ottantanove anni, nato e vissuto all’ombra delle Pale di San Martino, è stato letteralmente uno dei pionieri dello sci, scoprendo e percorrendo innumerevoli linee sulle Pale e sui Lagorai. Ha iniziato da bambino, quando la neve era un sogno, l’unico vero gioco dell’inverno, e gli sci non erano altro che doghe recuperate da vecchie botti. Non ha ancora smesso di sciare (e non ne ha la minima intenzione); le sue passioni sono due. Una: linee ben disegnate. Due: la velocità che deriva dalla sicurezza sugli sci.
Aaron Durogati
Trentuno anni, nato a Merano, Alto Adige. Cresce circondato da alcune tra le cime più belle dell’intero arco alpino: dall’Ortles al Gran Zebrù, dalle Alpi Venoste alle Dolomiti. Innamorato del volo in parapendio sin da ragazzino, grazie al padre, è diventato un pilota incredibilmente talentuoso, vincendo decine di gare e partecipando a svariate spedizioni esplorative. Negli anni ha allargato l’orizzonte delle proprie passioni, dedicandosi assiduamente anche allo sci e - di recente - all’arrampicata.
Arnaud Cottet
Trentadue anni, nato in Svizzera e cresciuto sulla neve di tutto il mondo. Ci sono due parole chiave nella vita di Arnaud Cottet: sci e curiosità. Da quando aveva 16 anni viaggia, sia per le gare di sci (è anche giudice olimpico in gare di freestyle) che per esplorare e raccontare luoghi incredibili. Dall’Alaska all’Iran, dall’Afghanistan alla Nuova Zelanda: Arnaud ha sciato davvero dappertutto. Inoltre si diverte a dirigere documentari e programmi radiofonici.
Eric Girardini
Quarantadue anni, nato a Feltre, ai piedi delle Dolomiti. Scia da quando aveva tre anni, prima sulle piste dietro casa, poi sulle cime delle Pale, in cerca di luoghi ripidi, selvaggi e poco battuti. Perché? Naturalmente perché in montagna c’è cresciuto, ma anche e soprattutto perché considera lo sci un modo di esprimere chi si è veramente. Lavora come Guida alpina per due ragioni: per vivere tutti i giorni la propria passione, e per far scoprire ad altre persone la magia delle sue montagne. Eric Girardini è Guida alpina delle Aquile di San Martino - www.aquilesanmartino.com
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