Waffle, powder e wilderness
È come muoversi in una tazza di latte. Il vento soffia, nevica di traverso e ho freddo. Non vedo molto, le croci rosse che segnano il percorso sono l’unico indizio che mi indica dove andare e a volte scompaiono del tutto nella desolazione bianca e infinita. Forse non è stata una buona idea fare un giro con gli sci oggi, ma dopo il lungo viaggio fino a Björkliden, nella Lapponia svedese, 195 chilometri a Nord del Circolo Polare Artico, volevamo sgranchirci le gambe e prendere un po’ d’aria fresca. Presto ci pentiamo della nostra decisione, mentre ci spostiamo in cerchio per ritrovare la strada di ritorno al Låktatjåkka Mountain Lodge, una casa di legno nero circondata da enormi muraglie di neve a 1.228 metri sul livello del mare. Questo è il rifugio più alto della Svezia e, per la cronaca, bisogna sapere che la montagna più alta del Paese, il Kebnekaise, è di soli 2.097 metri. Alla fine ritroviamo la strada del ritorno. Qualche croce rossa ci riporta sulla traccia e così eccoci sciare nella polvere fino al rifugio.
La nostra breve avventura rende i deliziosi waffle - la specialità del rifugio - ancora più graditi durante il tè del pomeriggio. Låktatjåkka è una base perfetta per spettacolari escursioni scialpinistiche nella Lapponia svedese. Låktatjåkkastugan, come lo chiama la gente del posto, si trova a circa 100 chilometri dalla città di Kiruna e 9 chilometri a Sud-Ovest della stazione sciistica per famiglie di Björkliden. È una baita isolata tra i monti Loktacohkka (1.404 m) e Bajip Gohpácohkka (1.410 m), ma lo standard è sorprendentemente alto. Prima del Covid-19 Låktatjåkkastugan poteva ospitare 18 persone, una capienza ora ridotta a 11. Il ristorante serve ogni sera una cena con tre portate e in un angolo si sviluppa quello che definiscono come il bar più alto della Svezia. C’è anche una sauna, un accogliente soggiorno con una piccola biblioteca e uno speciale menu di waffle. Ma l’aspetto più importante è che si respira un’atmosfera molto genuina.
La storia di Björkliden, Låktatjåkka e dintorni è iniziata quando alla fine dell’Ottocento è stato trovato il ferro a Kiruna e Gällivare. La regione montuosa tra Kiruna e il confine norvegese era molto selvaggia, non c’erano strade e pochissimi la attraversavano. Per trasportare il minerale dalle miniere al porto di Narvik i governi di Svezia e Norvegia decisero di costruire una ferrovia e i lavori iniziarono nel 1898: solo quattro anni più tardi fu inaugurata la Ofoten Railway. Il percorso tra la stazione ferroviaria di Låktatjåkka, attraverso il passo di Låktatjåkka e fino a Björkliden, divenne popolare per gli escursionisti e gli sciatori, però le condizioni meteo da queste parti sono spesso avverse, così è nata l’idea di costruire una baita al passo. Le porte del Låktajåkko Mountain Lodge si aprirono nel 1939. La guerra fermò il tempo, ma quando finì il rifugio divenne una meta popolare per gli scialpinisti svedesi. L’apice arrivò negli anni ’70 e ’80 quando le vittorie di Ingemar Stenmark fecero decollare l’interesse per lo sci diverso da quello nordico.
La mattina dopo ci svegliamo con tanta neve fresca e i fiocchi cadono ancora abbondanti dal cielo. Ispirati dai rifugisti, usciamo decisi a fare qualche curva veloce sui pendii vicino al rifugio. C’è già la traccia nella neve e la nostra gitarella a Bijip Gohpacohkka è veloce. Quando inizio la discesa una vibrazione attraversa tutto il mio corpo. La neve è leggerissima, sembra di nuotare in una ciotola di cotone idrofilo. Non è certo una tipica giornata di sci svedese! Spesso qui le nevicate abbondanti sono accompagnate da forti venti che rendono la neve dura come la roccia. La gita è corta, ma il pendio ripido, quasi 50 gradi nella parte più esposta. In qualche modo la neve sembra ancora stabile, molto probabilmente perché la tempesta è arrivata dall’Atlantico, con molta umidità. Siamo a soli 40 chilometri in linea d’aria dal mare, sul versante norvegese.
Dopo una pausa e un pranzo veloce a base di waffle, ci avviamo verso Loktachohkka, sul versante opposto rispetto al rifugio. Individuiamo il percorso da seguire nella bufera e togliamo le pelli in cima, in prossimità del tipico omino di pietre. Non ha smesso di nevicare un attimo e il vento ha trasportato molta neve, per questo affrontiamo con molta prudenza la discesa verso Kopparåsen, una sciata di mille metri secchi di dislivello, fino alla strada tra Kiruna e Narvik. Il terreno è ripido, aritmico ed esposto, quindi il pericolo è molto maggiore su questo versante della montagna. Completamente soli, là fuori ci sentiamo abbastanza piccoli e di conseguenza le nostre scelte di percorso sono conservative. Il vento ulula, ma all’improvviso il cielo si apre e usciamo dal mare di nuvole. I restanti 600 metri di dislivello sono magici, soprattutto l’ultimo tratto fino alla stazione ferroviaria di Kopparåsen. Siamo a metà aprile, ma qui, nell’Artico, sono condizioni da pieno inverno.
La discesa ci ha ricaricato e ora c’è un gruppo di sciatori felici di pellare fino al Låktatjåkka Mountain Lodge quando il giorno volge al termine. Il vantaggio di soggiornare in questo rifugio è che si trova in quota e permette un rapido accesso al terreno al mattino. È un mondo al contrario per gli scialpinisti, con poco dislivello per raggiungere le discese e poi la risalita nel pomeriggio. Qualcosa di insolito in Svezia, ma molto redditizio. Stare al rifugio trasmette un senso di intimità. Gli ospiti e il personale la sera si incontrano nel soggiorno e nel bar per leggere e parlare. Si arriva a conoscersi tutti, soprattutto perché non c’è internet e gli smartphone non hanno praticamente campo. Invece ci sono un sacco di buoni libri e una selezione sorprendentemente di birra, vino e whisky di qualità. La cucina è di livello e si possono provare i piatti svedesi, a partire dalla carne di renna e alce.
Colazione anticipata e rotta verso Ovest per il nostro ultimo giorno al Låktatjåkka Mountain Lodge. C’è silenzio assoluto, l’unico suono proviene dagli sci e dalle pelli che scivolano sulla neve fredda. Copriamo una discreta distanza per raggiungere la cima del Gearggecorru (1.419 m). Il panorama è da wow: grandi vette tutto intorno e le montagne norvegesi a Ovest. Il terreno è selvaggio e impressionante. Non sembra di essere in Svezia, ma piuttosto sulle Alpi o in Norvegia. Non c’è una sola persona oltre a noi, anche se siamo relativamente vicini alla civiltà, a molte cime e località sciistiche famose. Sotto le punte dei nostri sci ci sono pendii che non avevo mai visto in Svezia. Ci dirigiamo verso Rissajaure, il lago più limpido del Nord Europa, e mi godo ogni secondo della discesa, fino alla stazione ferroviaria di Låktatjåkko. E vorrei schiacciare il tasto rewind.
IN BREVE
Låktatjåkka Mountain Lodge si trova a 1.228 metri di quota e a 9 chilometri dalla stazione sciistica di Björkliden, raggiungibile in auto o in treno (ci sono diretti da Stoccolma, la capitale della Svezia - sj.se per orari e prezzi). L’aeroporto più vicino è a Kiruna, a un’ora e mezza di auto. La stagione invernale del Låktatjåkka Mountain Lodge va da febbraio a metà maggio. Aprile è un’ottima scelta perché la neve è ancora fredda, ma le ore di luce maggiori e il bel tempo più frequente. Le gite sono abbastanza lunghe per gli standard svedesi, soprattutto quelle che finiscono alla stazione della ferrovia e richiedono di ripellare per salire al rifugio. La particolarità del Låktatjåkka Mountain Lodge è proprio questa: si dorme in quota e si raggiungono le cime velocemente, ma poi bisogna mettere in conto la pellata più lunga alla fine. Alcuni pendii intorno al lodge sono facili e non comportano rischi eccessivi, mentre altri sono l’opposto. È consigliabile affidarsi a una Guida alpina locale, anche perché ci si trova in ambienti molto selvaggi e con condizioni meteo estremamente variabili. Su sbo.nu ci sono i contatti di tutte le Guide alpine svedesi.
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 132
Stian Hagen, i miei primi 40 anni
Stian Hagen è uno dei pro skier più anziani ancora in attività. Insieme a leggende come Mike Douglas e Chris Davenport fa parte di questo mondo da più di un ventennio e non sembra avere nessuna intenzione di rallentare. Stian Hagen è lo ski bum che non ha mai rinunciato al suo sogno. È arrivato la prima volta a Chamonix con i suoi genitori, Unn e Finn Hagen, quando aveva 12 anni.
«Era estate e facevamo hiking. Ero totalmente rapito dalle montagne ma allora praticavo prevalentemente salto con gli sci e sci di fondo e quindi il free skiing non faceva in alcun modo parte della mia vita».
Stian torna a Chamonix a 19 anni con gli amici per una settimana bianca e, questa volta, l’impatto è dirompente. L'inverno successivo carica i bagagli nella sua Fiat ridotta male e guida fino a Chamonix per la prima stagione invernale da ski bum nella valle.
«I primi anni ho vissuto in una tenda all’Argentière per alcun mesi ogni inverno; sciavo tutti i giorni e conducevo una vita molto semplice. Mi alzavo la mattina, raggiungevo gli impianti e disegnavo curve con chi incontravo in montagna. La maggior parte delle persone aveva a mala pena un telefono prima dell'avvento dei social media quindi tutto era molto più spontaneo».
«Sono molto grato per le esperienze vissute e per il modo in cui le ho vissute. È stato fantastico vivere le prime stagioni invernali esclusivamente per me stesso, senza alcuna pressione degli sponsor, dei social media o di chiunque altro; potermi concentrare sullo sci e lavorare sui miei progressi».
Stian sciava tanto, ogni giorno, diventando sempre più bravo. Molto bravo. Era un telemarker quando arrivò a Chamonix ma già alla seconda stagione passò a sci e scarponi tradizionali. Si rese conto subito che l’attrezzatura per il telemark non gli avrebbe permesso di migliorare il suo modo di sciare e di affrontare le linee di ripido che aveva iniziato a frequentare. Una decisione saggia, visto come sono andate le cose. A quel tempo era una delle poche persone che sciavano sulle discese classiche del ripido nel massiccio del Monte Bianco come Mallory, Gervasutti e Colouir Jager.
«Oggi sciare sulla faccia nord dell’Anguille di Midi o su qualsiasi altra classica discesa ripida non rappresenta più una grande sfida per le persone. È spaventoso come tutto sia cambiato nel corso degli anni. Non fa per me, non mi interessa rischiare che qualcuno mi piombi addosso».
Stian parla spesso del tempo di esposizione: se ti trovi in montagna per molto tempo, sei dentro un elemento pericoloso che non può essere controllato.
«È importante sentirsi a proprio agio nel dire di no ed essere orgogliosi di aver preso una decisione prudente, essere tornati indietro o avere scelto un percorso più sicuro».
«15 anni fa, ero completamente selvaggio, non c'è dubbio al riguardo. Ho corso molti rischi, cercando di mettermi in mostra e di farmi un nome. Tipico per un ragazzo sui 20 anni, credo. Non ero totalmente al sicuro e cercavo l'adrenalina».
L’industria dello sci ha vissuto alcuni momenti difficili durante gli anni Novanta, all'ombra dello snowboard che esplodeva, attirando tutta l'attenzione. Però, proprio mentre Stian iniziava a imporsi come uno degli sciatori più completi della valle di Chamonix, il boom del free skiing stava per decollare. E improvvisamente tutti i marchi hanno riscoperto l’enorme potenziale degli sci in versione freeride.
«Fu del tutto fortuito per me, non avevo mai pianificato o immaginato di diventare uno sciatore professionista, è accaduto per caso. Sono stato molto fortunato e ne ho approfittato. Oggi sembra che i bambini abbiano già un piano a 12 anni e che sappiano esattamente quello che vogliono».
Nel corso di più di 10 anni, Stian è stato il protagonista di alcuni film per la Matchstick Productions e per altri produttori. Era, ed è ancora, l'unico sciatore big mountain norvegese star del cinema off piste. Per più di 20 anni è stato uno degli sciatori preferiti da alcuni dei migliori fotografi di sci e non si contano le riviste in tutto il mondo che hanno realizzato copertine con lui. È ancora un freeskier, ma in questa fase della sua vita lavora più come consulente e come sviluppatore di prodotti per i marchi che rappresenta.
«Mi sono sempre interessato all’attrezzatura, quindi avere la possibilità di lavorare con alcune delle aziende leader nel settore dello sci per sviluppare nuovi prodotti è sia divertente che appagante».
Forse è stata solo una transizione naturale in una lunga carriera, ma probabilmente anche la famiglia ha avuto la sua parte in questa scelta. Stian ha incontrato sua moglie Andrea Binning già nel 1999 quando è venuta a Chamonix per trascorrere un inverno ai piedi del Monte Bianco. Anche lei era una pro skier e la coppia ha condiviso tante avventure in montagna per molti anni. Andrea ha deciso di abbandonare la vita da sciatrice professionista sei anni fa, dopo la nascita del figlio Aksel. Adesso la coppia ha anche una figlia, Camilla, di tre anni.
«Il mio atteggiamento verso le montagne e il rischio è gradualmente cambiato. Quando vedi morire amici e persone nella tua comunità, ovviamente, diventi sempre più consapevole. Con i bambini e la famiglia che ti aspettano la cosa più importante alla fine della giornata è tornare a casa tutto intero».
A un certo punto Stian decise di provare a diventare Guida alpina, principalmente perché un suo amico si era iscritto al corso.
«Era un po’ un piano di riserva, qualcosa da fare dopo la carriera da sciatore. Non avrei mai pensato che sarei stato in grado di continuare a essere un pro skier dopo i 30 anni e sicuramente non dopo i 40. Fortunatamente ho continuato a fare lo sciatore professionista quindi, sinceramente, non ho lavorato molto come Guida». (ride)
«Però è bello avere il patentino in tasca. Sarà sempre possibile guadagnarsi da vivere facendo la Guida alpina qui a Chamonix. Avere questa possibilità mi ha dato una sicurezza in più per continuare nella mia carriera come sciatore, specialmente ora che abbiamo due figli. Posso sempre passare a fare la Guida se qualcosa dovesse andare storto e continuare a mantenere la mia famiglia».
Stian ha certamente fatto buon uso della sua formazione come Guida alpina quando ha aperto la Jotunheimen Haute Route qualche anno fa. È una Haute Route che attraversa il massiccio più alto della Norvegia, toccando i punti più alti al Galdhøpiggen (2.469 m) e al Glittertind (2.465 m). Il percorso collega sei stazioni di montagna, misura 77 chilometri e 7.208 metri di dislivello positivo. Fu durante un viaggio sulla catena dell’Atlante, in Marocco, che Stian e un amico ebbero l'idea della Jotunheimen Haute Route.
«Ci siamo resi conto che la Norvegia, nonostante le enormi opportunità per lo scialpinismo, non aveva un tour che collegasse le nostre vette più alte. Era davvero giunto il momento di fare qualcosa, così abbiamo progettato un giro di prova e ha subito funzionato perché c’erano già i rifugi necessari tra una tappa e l’altra».
La Jotunheimen Haute Route è diventata velocemente una haute route di successo e, dopo quasi cinque anni, migliaia di persone la percorrono ogni inverno. Due anni fa Stian ha scritto anche una guida per la casa editrice Fri Flyt che ovviamente ha contribuito a fare conoscere il percorso e a renderlo ancora più famoso.
Stian, che ora ha 42 anni, si sta destreggiando tra il ruolo di pro skier e uomo di famiglia. E non immagina di modificare la propria vita ma di andare avanti nello stesso modo.
«Mi piace davvero trovarmi nel punto dove mi trovo ora e tra cinque anni penso che starò esattamente qui. Mi diverte partecipare allo sviluppo di un prodotto, testare i prodotti e, ovviamente, tutto ciò che riguarda lo sci. Penso che le aziende abbiano capito che hanno bisogno di diversi personaggi come ambasciatori, quindi anche una vecchia carretta come me potrà ancora avere un posto nell'industria dello sci».
Originario di Oslo, classe 1974, con un passato come atleta giovanile nel salto con gli sci e nel fondo, Stian è stato una delle leggende del freeski e dello sci ripido quando in pochi affrontavano i couloir più ripidi del Monte Bianco. Ha anche partecipato per un paio di anni al Freeride World Tour, ma si è subito trovato più a suo agio come star dei film off piste di case produttrici del calibro di Matchstick Productions o Warren Miller.
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 116