«Non sono cattiva, è che mi disegnano così» dice Jessica, avvenente moglie di Roger Rabbit. Mi è capitato più volte, circumnavigando il mondo con gli sci, d’incontrare paesi e villaggi che vengono dipinti dagli organi d’informazione in maniera del tutto contraddittoria con la realtà. La fame di potere dell’uomo lo porta a fare guerre e creare tensioni in luoghi dove le popolazioni vorrebbero ritrovare il sorriso e venir dipinte in maniera più positiva.

Figuriamoci in Siberia, regione russa che va dai monti Urali alla Kamchakta, terra del freddo e dei Gulag, ma anche dei monaci della Buriazia, della Transiberiana e dei monti Altai. Già, i monti Altai… In un’intervista sul libro Uomini & Neve avevo letto che sui monti Altai in novembre si trova il cristallo perfetto. Chi si è lanciato in una simile dichiarazione è Taro Tamai, surfer e snowboarder giapponese che in una delle sue esplorazioni nevose ha colto l’opportunità di essere nel posto giusto al momento giusto.

Cartina in mano, uno dei posti della terra più lontani dal mare, dove nevica e fa freddo, è proprio la zona dei monti Altai. Taro parlava della Mongolia, nel mese di novembre, con il  rischio di rimaner bloccato fino a primavera. Cristallo perfetto in novembre? Temperatura media -30 gradi, boschi, neve che si alza con un soffio? Non si può resistere bisogna andare! Proviamoci, ma dalla parte russa che ha strade in più, un minimo di organizzazione e qualche impianto di risalita per sgranchirsi le gambe dopo l’estate.

© Martino Colonna

L’impatto con il clima all’uscita dall’aereo a Novokuznetsk è proprio un impatto! Pietrificati, montiamo su un pulmino guidato da un autoctono: il freddo è tale che lo sterzo quasi non gira. Arriviamo a Seregesh, gli impianti girano, ma le nostre gambe no. È talmente freddo che sembra di avere le gambe di vetro, mi sento disconnesso dagli sci e dalla neve, come se avessi la febbre, ma non sono io quello caldo, è fuori da me che fa freddo! Dopo la sgranchita e il primo contatto con il cristallo perfetto il viaggio continua nel cuore dei monti Altai e, per raggiungere il mitico villaggio di Luzhba, ci tocca un trasferimento a bordo della ferrovia suburbana. Il percorso dalla cittadina di Mezdurecensk è surreale: questa piccola linea ferroviaria collega una miniera di carbone alla cittadina da dove siamo partiti. I treni che la percorrono sono pesantissimi e il nostro convoglio trasporta gli operai che seguono la manutenzione continua che questa linea necessita, trasportando con loro enormi attrezzi ferrosi che non so come riescano a maneggiare con quelle temperature.

A guardare fuori dal finestrino sembra sembra un posto normale, ci sono bambini che salgono e scendono, scuole, signore che vendono ciambelle alle stazioni un po’ come in campagna su un treno di terza classe. Lo sbarco a Luzhba riporta alla realtà delle cose: fa talmente freddo che le ciglia si aggrovigliano tra loro. Cristiano corre inutilmente per scaldarsi, Pasti si mette la maschera da sci e perde la parola, Martino quasi perde un’unghia per scattare foto.Michele mi affianca con la barba che sembra un cono gelato al contrario e mi dice: «hei uomo!». Io mi guardo attorno, sono la Guida alla ricerca del cristallo perfetto, ma vorrei essere un bagnino con una piadina su un pedalò. Mi faccio coraggio, raggiungiamo la casetta, che per fortuna è calda, e sorseggiamo una buona zuppa che Alexey ci ha preparato. Siamo i primi ospiti della stagione, le montagne intorno a noi sono piccole, nessuna traccia. Però non usciamo… ci vuole una bella motivazione. Il sole si alza, ma cambia ben poco, il mercurio del termometro si è ritirato sotto il minimo.

© Martino Colonna

Per non sentirsi ancora più impotenti patiamo a esplorare la zona. Dimitri e Grigory ci spiegano i segreti delle montagne, battere traccia è una libidine: la neve è talmente leggera che si sposta con lo sguardo. Sarò mica diventato il Mosè delle nevi? In discesa guardo Giacomo e il Furla, sembrano sottomarini mentre Martino scompare urlando. Ogni discesa viene ripetuta due o tre volte per linee diverse, alla fine fine sono sempre più di mille metri al giorno. A un certo punto del nostro soggiorno si presenta un fronte ‘caldo’: la temperatura sale fino ai -20 e nevica! Fiocca con questo freddo? Sì! E il cristallo perfetto diventa pure abbondante. Io mi sento un po’ meno Mose’ e batter traccia diventa un tantino più difficile. Mi scordo del colore dei miei sci e raggiungo il record negativo di due ore per 250 metri di dislivello, neanche in Himalaya! Ma la sensazione dì sciare dentro tutta quella neve, accarezzati in ogni poro dalla fata bianca è qualche cosa di indescrivibile, è come essere avvolti nella seta. Fare il bagno con tanta schiuma fa passare qualsiasi fatica e freddo.

Mentre scrivo queste righe l’inverno è quasi finito. È stato un inverno balordo questo sulle Alpi e in Dolomiti. Quelle sciate siberiane hanno sconvolto tutti i gradi di paragone con le altre. Qualche giorno fa ho incontrato in un bar a Mestia Grygori, eravamo entrambi a cercare cristalli in Svanezia, Georgia, ma ci siamo dati appuntamento per il prossimo autunno: chi viene?

Un viaggio sui Monti Altai richiede una buona dose di sopportazione del freddo. Non basta coprirsi bene, se siete freddolosi meglio evitare. Oltre ai vestiti ci vuole anche del grasso di foca da mettere sulla pelle. Il freddo è accentuato anche dal vento, sempre presente nell’area. Bisogna mettere in conto circa 11 giorni, con due di trasferimenti. Si vola su Mosca e Novokuznetsk. I pernottamenti sono in hotel o strutture simili, con un buon livello di calore e la cucina locale, con prevalenza di carne e pesce di fiume e qualche rara verdura. A Seregesh ci sono anche degli impianti di risalita e la località è famosa perché ospita il più grande raduno al mondo di bikini sugli sci.

© Martino Colonna

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