Racconto in presa diretta della Night & Winter vertical Kilometer

Go, go! A manetta! 8 dicembre. Sono in pieno lancio al ‘Night & Winter Vertical Kilometer di Sansicario’, al primo appuntamento del circuito Piemonte Skialp by Night: luci delle frontali si incrociano come lampade stroboscopiche dando forma al fiato degli atleti impegnati a tutta. Damiano Lenzi, Dennis e Teo già sono dove devono essere, in testa al gruppo. Il cuore arriva alla gola. In oltre centosessanta siamo schizzati verso il buio contrassegnato solo da una serie di led rossi ed azzurri che salgono al cielo, indicano la massima pendenza: un muro nero che risale la vertiginosa pista che fu teatro della libera alle Olimpiadi di Torino. Skyrunner e skialper uniti da un unico immediato futuro di scenografica fatica per questa manifestazione che riprende la formula della più nota Vertical Up di Kitzbuehel: 1.000 metri di ripidissima salita su neve, chi con gli sci, chi – come me – a piedi. Il primo muro mi accoglie impietoso, devo pagare il prezzo del lancio iniziale. Il conto è salato, ma almeno il gelo che prima della partenza mi rovistava nelle ossa, se ne è andato. I miei compagni, Diego e Carlotta, sono avanti, hanno quasi la metà dei miei anni, e si sono lasciati coinvolgere in questa lucida follia; Paolo, collega sessantenne del Foro di Piacenza, alla sua prima esperienza race con gli sci, è invece dietro, si gode la salita con spirito meno competitivo.  Inizio a far finta di avere sci e pelli. Cerco un ritmo, il mio ritmo da scialpinista di mezz’età che vuole ingannare se stesso per sentirsi skyrunner. 30 – 35 gradi di pendenza: i bastoni da skialp fanno il loro dovere, le Sportiva mi danno un ottimo grip, inizio a trovare il giusto passo; le ripetute con gli skiroll fatte nell’ultimo mese sull’Appennino piacentino seguendo i consigli di Guido mi hanno fatto bene. Sorpasso tanti trailrunner abituati a correre più che ad arrancare al passo. A metà percorso l’efficiente organizzazione ben orchestrata da Stefano e Silvio ci immortala con foto e video. Spettatori che incitano e riscaldano gli animi dopo essere saliti con gli sci per applaudirci. Ringrazio, e proseguo ringalluzzito.  Sto bene: sorpasso i giovani miei compagni di viaggio; mi giro a guardare a valle: un presepio di luci si confonde con le stelle che incoronano il profilo severo e siderale dello Chaberton. Ma quando tutto sembrava andare per il meglio sono al buio, completamente al buio. Le batterie della frontale mi hanno lasciato a piedi. Cerco quelle di scorta nello zainetto, ma il problema è montarle. Le mani infreddolite sono scollegate dal cervello. Perdo almeno quattro o cinque minuti. Per fortuna una ragazza che sale con gli sci capisce, s’impietosisce, e mi illumina facilitandomi l’operazione. Luce sia. Riprendo a salire, guardo l’orologio: 800 metri di dislivello in 52 minuti, non male, peccato che ora la benzina stia per finire, anche perché si affonda. Siamo a 2.500 metri di quota e la neve fresca scesa nei giorni scorsi è più cedevole. Provo a salire anche zigzagando, ma non va meglio. Mi pento di non aver partecipato con gli sci, ma sino ad ora li ho utilizzati solo una volta, in Marmolada…. Affondando, ad ogni passo perdo preziose energie, ed allora scelgo di diventare l’ultimo vagone di un trenino di skialper per sfruttare la scia di neve ben battuta dalle loro solette: ottima scelta. Le antenne della cima del Fraiteve e il rifugio illuminato sono nel mirino insieme al traguardo. Stringo i denti e in breve sono all’arrivo. La classifica? In quella della gara sono a metà, in quella delle emozioni di certo sul podio. Buona la prima!