Tutto è iniziato da un cassonetto dei rifiuti

«Danilo Noro – Titolare del negozio di culto XL Mountain di Quincinetto (TO), sta dietro le quinte (anche se è una belva di sciatore e alpinista). É lui che prepara, valuta, monta e analizza al banco tutti gli sci, scarponi e attacchi che trovate in queste pagine. Diciamo che senza di lui la Skialper Buyer’s Guide non sarebbe come la conoscete oggi. Temuto e Rispettato». La scheda di presentazione di Danilo, in apertura della Buyer’s Guide 2025, è identica a quella dell’edizione precedente, salvo un particolare che ci incuriosisce: nel 2024 non c’era scritto “temuto e rispettato”. Questo ci ha fatto pensare che il Signor Noro, con l’avanzare degli anni, stia evolvendo in una sorta di Hattori Hanzo delle pelli di foca, con tutte quelle definizioni che gli girano intorno, come ‘culto’, ‘belva’, ‘rispetto’. Noi, che in redazione ci occupiamo in prevalenza degli Skialper Points e della diffusione della rivista, non abbiamo mai avuto la fortuna di partecipare alle giornate sul ghiacciaio dove si svolgono i micidiali test della Buyer’s Guide, quindi decidiamo di incontrarlo per verificare tutto con una bella intervista. Un martedì di gennaio usciamo dalla consueta rotta autostradale Torino-Aosta, casello di Quincinetto, penultimo paese del Canavese prima di varcare i confini della Vallée, e dopo soli 200 metri siamo davanti alle vetrine di XL Mountain. 

Entriamo e veniamo accompagnati nelle fucine sotterranee da Erika, moglie (e complice, come scopriremo presto) di Danilo. Scendendo le scale, per un attimo fantastichiamo di trovare il Maestro Hanzo intento a forgiare le sue spade. Il nostro eroe è invece concentrato nell’atto sacro di rianimare la soletta di un asse da 95 mm di un cliente, transitato su di una pietraia il giorno prima. La nostra attenzione viene però attratta da un paio di stampelle appoggiate al banco di lavoro. Intuiamo subito cosa possa essere accaduto, perché sappiamo che il giorno precedente, lunedì, é giorno di chiusura, e si sa che Danilo una cosa sola fa quel giorno: scia.         «Sì, ieri, mentre scendevo nel bosco, ho lasciato un piede sotto una radice, ma il mio corpo ha proseguito» sono le sue prime parole, e ripensandoci ci rendiamo conto che non poteva esserci presentazione più aderente al personaggio. Da lì in avanti il tempo vola e trascorriamo due ore tra amarcord spassosissimi, dall’improbabile tentativo al Rosa con gli amici (minorenni come lui, mentendo loro sulla propria esperienza) concluso scolandosi diversi grappini al rifugio Mezzalama per superare lo shock di aver staccato una slavina ed esserci rimasto sotto per un po’, fino alla partecipazione alla spedizione delle guide valdostane al Dhaulagiri, nel 2022, lui che guida non è. «Ancora oggi non ho capito perché mi avessero invitato» è il suo commento dissacrante, che strappa risate intorno. Erika lo guarda sorniona e ci viene in mente il proverbio Chi si somiglia si piglia. Ora però, dopo che i due gestori di XL ci hanno rosolati per un’ora, siamo curiosi a puntino, e vogliamo sapere per quale motivo questo piccolo negozio-laboratorio sia diventato il punto di riferimento per gli scialpinisti che bazzicano questa fetta di nord-ovest. Più che altro perché qui non siamo esattamente nella culla dello sci. 

É vero che il Monte Rosa è a soli 40 km, ma ci troviamo in un paesino di 970 abitanti/quota 250 mt., a una manciata di chilometri da Ivrea, la città della fu Olivetti, macchine per scrivere e computer, e poco oltre l’ansa del fiume c’è Pont Saint Martin, dove la “ILSSA Viola” produsse ottimo acciaio inox fino al 1986. In questa valle scavata dalla Dora Baltea, diciamo da Saint Vincent in giù, la cultura del lavoro prevalente è stata per decenni quella della sicurezza del posto in fabbrica abbinato alla conduzione dei terreni e delle vigne degli avi, nel tempo libero che rimaneva. Una sorta di evoluzione di quell’agricoltura povera, di pura sussistenza, che aveva costretto tanta gente di qui all’emigrazione in Francia, fino al primo dopoguerra, quando grazie all’industria molti sono potuti tornare e i contadini hanno visto i figli prendere un diploma.
Come nasce dunque questa scelta professionale, in un contesto come questo? Passione tramandata dalla famiglia? Danilo ridacchia, anche se la caviglia lo tormenta: «Nella mia famiglia di origine erano tutti agricoltori e allevatori, io sono l’unico ad aver perso la testa per la montagna. Da piccolo andavo a vedere in TV – quella dei vicini, perchè noi non l’avevamo -, qualsiasi gara sulla neve, fosse anche il salto con gli sci. Un giorno, non avevo ancora 16 anni, ho visto sbucare da un cassonetto un paio di sci, senza attacchi (i Rossignol nella foto di apertura, ndr) e mi sono detto che sarebbe bastato legarmici ben ben forte con una corda per sacchi. Così sono andato lì – ci indica un prato scosceso attraverso la finestra – sì, perché negli anni ’80 qui la neve resisteva per un mese, e mi sono buttato come veniva. Ho preso tante botte ma è nato l’amore, solo che di comprare attrezzatura non se ne parlava. Ho perso mio padre che avevo 5 anni, e con due fratelli e una madre rimasta sola, c’era poco da scherzare, esisteva solo il lavoro in campagna e su in alpeggio, giusto qui sopra in Borgata Scalaro, a 1.400 metri. Tutto il resto era considerata perdita di tempo, per cui mi sono messo a vendere quello che nei boschi e nei torrenti della zona non mancava, cioè funghi e trote (sorvoliamo sui permessi, e poi tanto ormai è tutto prescritto) così alla fine sono riuscito a comprarmi qualcosa di decente. Ma i primi imbraghi per arrampicare erano le cavezze del nostro toro, le corde quelle per legare le fascine di legna, e le scarpe… meglio che non te lo dico. E tu pensa che oggi vado forte con il Bootfitting». 

Entra in negozio un amico e il racconto si interrompe, ne approfittiamo per guardarci intorno: la scelta per lo skialper è molto ampia su sci, scarponi, zaini. Per l’estivo idem, scarpe per trekking, hiking e da arrampicata a profusione. Abbigliamento tecnico e meno tecnico di marchi selezionati, come Dynafit e Patagonia. Ci soffermiamo a pensare che ora Danilo si è preso la sua bella rivincita sulle ristrettezze giovanili, riempiendo il negozio di bellissimi oggetti ultra- tecnici, ma ora ha attaccato a parlare con l’amico di quando lavoravano insieme e ci avviciniamo. «Abbiamo imparato a riparare sci e affilare lamine da ragazzi, in un negozio di articoli sportivi a Ivrea, totalmente da autodidatti, ma è stata una bella scuola. Poi vent’anni fa mia moglie Erika ed io ci siamo buttati, e con i pochi risparmi che avevamo abbiamo aperto XL Mountain a qualche km da qui, in quella che possiamo definire una stanza, ma che affacciava sulla strada statale per la Valle d’Aosta. Giorno dopo giorno ci siamo circondati di aficionados, che ci lasciavano gli sci la domenica sera e li riprendevano il weekend successivo. Il mondo della vendita è arrivato dopo e devo ringraziare i rappresentanti delle aziende, anche importanti, che ci diedero la merce a credito, sulla fiducia». 

Due anni fa, il ritorno nell’amata Quincinetto, qualche metro quadro in più, tanta disponibilità di prodotto in pronta consegna e soprattutto ancora più comodità per il cliente, con il casello autostradale vista vetrine. «C’è stato un enorme passaparola in questi vent’anni. Assistiamo da anni sciatori liguri e lombardi, e questa mattina abbiamo spedito uno sci ad un ragazzo abruzzese. Non sappiamo come ci abbia trovato, visto che non abbiamo nemmeno il sito e-commerce». ll lavoro prende 6 giorni su 7, quindi appena nevica Erika e Danilo, dopo la chiusura, indossano la pila frontale e salgono in Borgata Scalaro per una gita notturna a Cima Bonze, che sfiora i 2.600 metri ed è una gita niente male. «Scalaro è stata anche la nostra casa per sette anni, estate e inverno, in motoslitta quando necessario. É l’alpeggio della mia famiglia di origine come dicevo, e ci voglio tornare quando non lavorerò più». Controlliamo su Google e in effetti non sembra un luogo troppo stressante: verdissimi prati da foraggio, ruscello che fa la serpentina, una chiesa e una ventina di casette risistemate nel rispetto della tipicità, ovvero tutte con i tetti in losa, la pietra locale usata da secoli come copertura.

É ora di salutarci e notiamo che Danilo in queste due ore di chiacchiere non ha mai smesso di montare attacchi o prendere prenotazioni per il Bootfitting, oltre a dispensare consigli, come a due ski bum che si sono sparati cento chilometri per far sistemare gli attrezzi, oppure, con gran pazienza, ad una madamina disorientata che cercava “un paio di scarpe da ginnastica per passeggiare in paese”. Ce ne andiamo con la voglia di tornare presto per ascoltare altre storie e con la sensazione di aver passato del tempo di qualità con una di quelle rare persone vere. Termine abusato che vuol dire tutto e niente, ma che stavolta ci sta tutto.

XL MOUNTAIN

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