Senza quasi accorgersene, capita di gestire alcune situazioni tipiche dello skialp e dello sci lontano dalle piste battute secondo procedimenti euristici, cioè attraverso metodi di approccio alla soluzione dei problemi che non seguono un percorso rigoroso ma, piuttosto, affidandoci all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze. Così facendo, siamo portati a prevedere un risultato che tuttavia resta da convalidare. Ovvero la certezza di essere al riparo da una situazione di distacco di valanga non ce l’abbiamo, anzi, con questi comportamenti quasi la escludiamo. Incappiamo appunto nelle cosiddette trappole euristiche. Entrando nello specifico, Igor Chiambretti e Anselmo Cagnati, nell’ambito dei corsi per osservatore nivologico dell’AINEVA (Associazione Interregionale Neve e Valanghe), hanno cercato di classificare i profili psicologici di scialpinisti e freerider e quei meccanismi che inducono anche i più esperti a esporsi a un eccessivo rischio di essere travolti da una valanga. Per semplicità, ecco le più comuni trappole euristiche: 

familiarità: 

siamo sempre passati di qui, è già tracciato. Invece di cercare le scelte e i comportamenti più adatti alla situazione del momento, si tende a ripercorrere scelte precedenti; 

eccesso di determinazione: 

ormai siamo arrivati fin qui, dai che ci siamo, la cima è li sopra. Una volta presa una decisione, le altre devono essere conseguenti a essa perché ormai sembrano più ovvie; 

euforia: 

mamma che polvere che c’è oggi! Giù a cannone!; consenso sociale: 

chi sono io per dire qualcosa, poi passo da sfigato. Si è generalmente più disponibili al rischio in presenza di persone, specie se le stimiamo e ammiriamo, ritenendole più esperte di noi; 

competitività sociale: 

dal francese celodurismo; 

aura dell’esperto: 

sa sciare bene, va sempre in montagna, quindi saprà valutare dov’è il pericolo, fidatevi di me, l’ho già fatta 100 volte; 

istinto gregario – potere del gruppo: 

non so bene chi prende le decisioni, ma siamo in gruppo, se è effettivamente pericoloso qualcuno lo dirà. Più è grande il gruppo, tanto maggiore è il rischio. Oltre al fatto oggettivo dell’au- mento della probabilità di incidente derivante dal numero, aumentano le possibilità di comportamenti indisciplinati e al contempo si riduce molto la percezione del pericolo; 

effetto dell’apprendimento negativo: 

non diamo per scontata la riuscita di una gita anche quando tutto è andato bene poiché non si sa con certezza quanto in realtà si è andati vicini al pericolo; 

sindrome del cavallo: 

ho poco tempo, oggi ho fretta di tornare indietro; 

sindrome dell’orso: 

per chi va da solo. 

Ingannati dal fatto che a volte nella vita quotidiana l’euristica è conveniente, dobbiamo considerare che non va bene in un contesto di alta montagna, con rischio reale e presente. E i numeri dicono che questo vale anche per chi ha una certa esperienza. In quasi tutti gli incidenti da valanga che hanno coinvolto anche vittime educate alle valanghe i malcapitati sono generalmente incorsi in una di queste tre situazioni: 

  1. non sono riusciti a notare indizi evidenti di instabilità;
  2. hanno sovrastimato la loro capacità di affrontare il rischio;
  3. si sono resi conto del pericolo, ma hanno continuato comunque.

Trovare la chiave per risolvere l’enigma decisionale non è certo così immediato. Per questo abbiamo deciso di fare due chiacchiere con qualcuno che di montagna ne macina, e parecchia, che sia d’estate o d’inverno. Un professionista del settore che in quota ci lavora, sia nel campo dell’accompagnamento, che della formazione e del soccorso. Insomma, uno che ha una visione a 360°, completa, perché nei suoi lavori spesso vede i due lati della stessa medaglia. 

Daniele Fiorelli vive in Valmasino, nel regno del granito, dove è nato e cresciuto come alpinista e come professionista proseguendo la tradizione di famiglia. È Guida alpina e Istruttore nazionale delle Guide alpine Italiane, membro del CNSAS con le qualifiche di Istruttore nazionale e tecnico di elisoccorso. Svolge la sua attività su tutto l’arco alpino e all’estero: arrampicata su roccia, ghiaccio, scialpinismo e freeride. Daniele ha recentemente ritenuto che questi argomenti dovessero essere trattati anche nell’ambito della formazione del corso per Aspiranti Guida alpina della Regione Lombardia, di cui è responsabile. Ed eccoci a fare due chiacchiere, con la schiettezza che lo contraddistingue. 

Avvicinandosi l’inizio della stagione abbiamo pensato che fornire agli appassionati di sport sulla neve un piccolo focus sul meccanismo delle trappole euristiche potesse essere utile per tentare di accendere qualche lampadina e far riflettere un po’ su questi meccanismi comportamentali. L’intento, non esaustivo, di aprire un piccolo spunto di riflessione in merito a situazioni in cui tutti ci troviamo. Sei d’accordo col dire nessuno escluso? 

«Certo. Nei meccanismi delle trappole euristiche ci saltan dentro tutti. I neofiti, gli esperti e a volte i professionisti stessi. Nessuno escluso. Permettimi la franchezza, per quanto riguarda le valanghe, specie nello scialpinismo, è meno difficile di quanto si pensi mettere il culo nelle pedate». 

Puoi raccontarci qualche episodio significativo dove l’errore commesso и stato uno dei meccanismi che abbiamo elencato? 

«Sinceramente ne avrei diversi, specie di interventi su cui mi è capitato di lavorare in ambito di Soccorso. Purtroppo non sono episodi belli da raccontare per via di esiti spesso fatali. Preferisco quindi non entrare nei dettagli, ma un esempio che ti posso fare risale a un incidente che ha visto coinvolti due local sulla classica montagna che si fa dopo una nevicata sul lato valtellinese delle Orobie. I due conoscevano bene il percorso. Era un itinerario che percorrevano più volte in stagione, praticamente con qualsiasi condizione di neve. Quando c’è stata la valanga, avevano scelto di percorrere il pendio classico di discesa leggermente più a destra rispetto al solito, la variazione di pendenza non era quasi significativa, eppure… Nel corso del mio lavoro ho visto una marea di casi simili purtroppo. E non solo con persone inesperte, anzi». 

La percezione del rischio passa attraverso diversi aspetti: la conoscenza del rischio stesso, la propensione soggettiva allo stesso di ciascun individuo, le influenze esterne, le valutazioni di probabilità. È un meccanismo estremamente complesso, specie per chi si avvicina allo scialpinismo ed è alle prime armi. Quali sono le trappole euristiche che ritieni piщ frequenti? 

«A mio avviso sono quelle legate alla familiarità perché è assolutamente trasversale, quasi democratica. Tocca tutti, dai meno esperti, ai garisti, ai professionisti. Capita che in montagna, specie su itinerari conosciuti, ci si muova con i paraocchi. Sono stato qui due giorni fa, la conosco come le mie tasche, faccio sempre questo fuoripista dopo le nevicate. Sono tutti ragionamenti che ciascuno di noi fa quasi inconsciamente, ma sono pericolosi. L’abitudine ci porta a pensare meno, ad abbassare il livello di attenzione tralasciando tutto un processo decisionale di scelte che invece va sempre affrontato. In montagna devo sempre ricordarmi di pensare. Altrimenti ci si ritrova sull’altra trappola, l’effetto gregge: riguarda spesso persone meno esperte, vedono tanta gente alla partenza di un itinerario, bella giornata, bella neve, e vanno dietro, seguono la traccia. Questo non ci mette assolutamente al riparo dai pericoli e dai rischi che potrebbero innescare le scelte sbagliate di chi è davanti. Magari il primo gruppo sta proseguendo perché è confortato dalla vostra presenza sull’itinerario! E non mi riferisco solo alle carovane di scialpinisti viste dopo la prima nevicata in Marmolada quest’anno. Anche se poi le condizioni di stabilità permettessero di muoversi su certi terreni in piccoli gruppi, trovarsi in molti su un pendio (inducendo quindi forti sovraccarichi) potrebbe generare spiacevoli sorprese». 

Lo scialpinista deve sempre pensare con la sua testa quindi? 

«Certamente. E se un membro del gruppo ha dei dubbi, anche se non è il più esperto, è utile che li esterni agli altri. Nella trappola che viene definita del consenso sociale il meccanismo che si innesca è quello che a uno o più componenti inizia magari a sorgere un dubbio sulla neve o sull’itinerario. Però sta zitto, non voglio mica passare da sfigato, da primo che si tira indietro. Posto che non bisogna arrivare a questo punto, occorre ragionare con la propria testa e confrontarsi nel gruppo, perché è quando si è con altri che si innesca questa trappola. 

QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 133

© Andrea Bormida